Corte di Cassazione, sezione V penale, sentenza 9 febbraio 2017, n. 6061

Legittima la restrizione in carcere per la persona addestrata a commetter atti di terrorismo

Suprema Corte di Cassazione

sezione V penale

sentenza 9 febbraio 2017, n. 6061

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FUMO Maurizio – Presidente

Dott. CATENA Rossella – Consigliere

Dott. SCARLINI Enrico V.S. – Consigliere

Dott. MICHELI Paolo – rel. Consigliere

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di:

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale di Catanzaro in data 11/02/2016;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.ssa MARINELLI Felicetta, la quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avv. (OMISSIS), il quale ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso e l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

RITENUTO IN FATTO

Il difensore di (OMISSIS) ricorre avverso l’ordinanza indicata in epigrafe, recante il rigetto di una richiesta di riesame presentata nell’interesse del suddetto nei riguardi di un precedente provvedimento restrittivo emesso dal Gip del Tribunale di Catanzaro; a carico dell’ (OMISSIS) risulta disposta la misura cautelare della custodia in carcere per il delitto di cui all’articolo 270 quinquies c.p., quale soggetto che – secondo la ricostruzione compiuta dal Tribunale, con riferimento alla condotta tipica prevista dall’ultima parte del precetto normativo, in base alla novella del 2015 – avrebbe posto in essere comportamenti univocamente finalizzati alla commissione di atti di terrorismo, dopo avere autonomamente acquisito informazioni strumentali a quel fine.

L’ordinanza, richiamando le argomentazioni adottate dal primo giudice, segnala che la norma incriminatrice “equipara, ai fini della punibilita’, la condotta dell’addestratore a quella della “persona addestrata”, dovendosi intendere per addestramento la trasmissione di nozioni al fine di rendere edotto qualcuno circa un qualcosa, ovvero di renderlo abile in una qualche attivita’; non e’, poi, strettamente necessario che l’addestramento abbia un contenuto pratico, potendo limitarsi ad averne uno soltanto teorico. Vale a dire, non e’ richiesto che l’addestramento si concreti in un’attivita’ anche pratica o manuale, o di verifica di quanto appreso, ovvero venga posto in essere in contesti strutturati, essendo bastevole che vengano comunicate cognizioni volte a “fornire la preparazione” da impiegare nell’espletamento di atti finalizzati al terrorismo. Le modalita’ attraverso le quali viene impartito l’addestramento hanno quindi forma libera, nel senso che possono essere praticate attraverso qualsivoglia sistema, anche anonimo, comprensivo (ovviamente) pure dell’uso del mezzo telematico, attraverso il quale possono essere visionati dei files contenenti programmi specifici. E’ pertanto indifferente, ai fini della configurabilita’ del reato in questione, che l’attivita’ di addestramento venga espletata in un contesto “scolastico” o semplicemente individuale”.

Sulla base di tali premesse, il Gip aveva raggiunto la conclusione che l’ (OMISSIS) non si fosse limitato ad una mera raccolta di informazioni, procedendo invece ad un vero e proprio auto-addestramento, come emerso dall’esame dei telefoni cellulari rinvenuti in suo possesso e da attivita’ di intercettazione; i comportamenti che egli aveva tenuto (fra cui un tentativo di raggiungere la (OMISSIS), la programmazione di un viaggio in (OMISSIS), i ripetuti contatti con ambienti islamici radicali e con soggetti collegati a vicende afferenti l’impiego di armi od esplosivi) apparivano al contempo il risultato della chiara volonta’ dell’indagato di orientare in chiave terroristica, in contrapposizione con il mondo occidentale, le proprie scelte di vita. Per il collegio, la condotta ascritta all’ (OMISSIS) deve invece intendersi rientrare nella seconda parte dell’articolo 270 quinquies c.p., comma 1: egli, infatti, avrebbe acquisito informazioni ed istruzioni per compiere condotte qualificabili come terroristiche, ma senza un effettivo addestramento, in proprio o indotto da altri.

Anche ad avviso del Tribunale del riesame, in ogni caso, dovrebbe riconoscersi specifica rilevanza agli aspetti gia’ evidenziati dal primo giudice in punto di condotte materiali realizzate dall’ (OMISSIS). In particolare, viene sottolineato il dato che, nella rubrica di uno dei cellulari in uso a lui (sia al rientro dalla (OMISSIS), all’atto del primo controllo, sia nell’ultima fase delle indagini ed al momento dell’esecuzione della misura), era memorizzata un’utenza belga, sotto il nome ” (OMISSIS)”: detto numero, con il quale l’indagato aveva avuto varie comunicazioni, anche dopo il suo ritorno in Italia, era risultato a sua volta in contatto con un’altra utenza belga, nella disponibilita’ di tale (OMISSIS), arrestato in territorio francese nell’agosto 2015, a bordo di un treno sulla tratta (OMISSIS), perche’ in possesso di armi ed esplosivi.

La difesa deduce:

– inosservanza ed erronea applicazione della legge penale.

Si legge nel ricorso che, secondo il Tribunale di Catanzaro, il reato contestato all’ (OMISSIS) dovrebbe intendersi di pericolo presunto e connotato da dolo generico, ma in tal modo verrebbe a sconfessarsi l’orientamento gia’ espresso dalla giurisprudenza di legittimita’, ancor prima della riforma di cui alla L. 17 aprile 2015, n. 43, nell’interpretazione delle norme incriminatrici previste nella materia de qua. Il difensore dell’indagato sottolinea la necessita’ di chiarire la nozione di “condotte con finalita’ di terrorismo”, come desumibile dal precetto disegnato dall’articolo 270 sexies, nonche’ di quelle di “addestramento”, “fornire istruzioni” e “atti di violenza”, contemplate nella previsione oggetto di addebito; e debbono, al contempo, tenersi presenti le indicazioni della migliore dottrina sulla necessita’ di garantire il rispetto – a fronte di fattispecie volte ad anticipare drasticamente la soglia della rilevanza penale – dei principi costituzionali di proporzione e di offensivita’.

Vero e’ che il legislatore “ha inteso attribuire rilevanza penale alle attivita’ meramente preparatorie degli atti terroristici”, ma occorre – ad esempio, quanto all’addestramento od alla raccolta di informazioni – che questi siano strumentali, su base oggettiva, “ad uno specifico e concreto programma di violenza, con conseguente pericolo per la struttura statale e l’ordine pubblico”, pena la evidente incostituzionalita’ di un precetto penale che sanzioni una mera idea eversiva. Analogo rigore si impone in punto di verifica della sussistenza dell’elemento psicologico, atteso che si e’ di fronte ad un reato a doppio dolo specifico (volonta’ di commettere atti di violenza o di sabotaggio di servizi pubblici essenziali, nonche’ perseguire una finalita’ terroristica), il che rende imprescindibile l’accertamento dell’idoneita’ degli atti realmente compiuti a raggiungere gli scopi indicati.

Quanto alle decisioni gia’ adottate da questa Corte, la difesa richiama le sentenze: n. 29670/2011 della Sesta Sezione (ric. Garouan), con la quale i giudici di legittimita’ “hanno decisamente respinto un modello del diritto penale della prevenzione di fatti non ancora commessi e della pericolosita’ degli autori”; n. 4433/2014 del 06/11/2013, ric. El Abboubi (della Prima Sezione), sulle nozioni di “addestramento” e “fornire istruzioni”, dove si precisa che non e’ possibile “anticipare la soglia di punibilita’ a uno stadio della condotta che non sia ancora insegnamento ma mera divulgazione ovvero (…) proposta ideologica”; n. 28009/2014 della Sesta Sezione, ric. Alberto, sulla corretta esegesi dell’articolo 270 sexies c.p..

La difesa del ricorrente evidenzia poi che sulla condotta descritta nell’ultima parte dell’articolo 270-quinquies cod. pen., relativa al soggetto che, anche autonomamente, acquisisca dati informativi, non si e’ ancora registrato un indirizzo giurisprudenziale, ma reputa senz’altro necessario che vi siano “comportamenti” sul piano materiale, tali da leggersi come “sviluppo dell’acquisizione di istruzioni per il compimento delle attivita’ indicate nel primo periodo della disposizione”; comportamenti, inoltre, che debbono essere “univocamente finalizzati” alla commissione di condotte con finalita’ terroristica (il che si riflette sul piano, anche in questo caso, del peculiare dolo specifico). In definitiva, non basta la semplice acquisizione personale di istruzioni, lecita ex articolo 21 Cost., ma occorre un pericolo concreto – manifestato da attivita’ materiale – che quella raccolta di dati venga orientata verso le finalita’ illecite descritte dalla norma penale.

A questo punto, osserva la difesa che – anche secondo il Tribunale – la condotta dell’indagato si sarebbe “concretizzata nell’acquisizione personale di informazioni sulla propaganda jihadista (…), senza che, peraltro, alla acquisizione telematica delle istruzioni abbia fatto seguito un effettivo addestramento”; cio’ posto, il comportamento materiale si esaurirebbe nell’avere l’ (OMISSIS) mantenuto nella propria rubrica telefonica un numero di cellulare belga, con il quale vi erano stati contatti vari (ma in (OMISSIS) viveva comunque un suo cugino, e quell’utenza non era intestata ad un soggetto sospettato di atti di terrorismo, ma risultava semplicemente in contatto con quella dell’uomo arrestato in Francia). Inoltre, l’indagato avrebbe compiuto un viaggio in (OMISSIS), con respingimento da parte di quelle autorita’, nel luglio 2015, ma era stato gia’ spiegato – senza che la versione difensiva avesse trovato smentita – che egli intendeva solo raggiungere il territorio turco per recarsi a pregare presso una grande moschea: ne’ il ricordato respingimento poteva dimostrare alcunche’, visto che la normativa turca non prevede alcuna regola di generalizzata accoglienza verso chi si rechi in quel paese. Percio’, l’episodio rimane da confinare al rango di spunto occasionale da cui derivarono le indagini a carico del ricorrente, e non consegui’ ad alcuna dimostrata attivita’ di auto-informazione verso le dinamiche del terrorismo internazionale.

In definitiva, non vi sarebbe alcun elemento da cui desumere, come invece ritengono i giudici di merito, che l’ (OMISSIS) si sarebbe determinato a “dare una svolta terroristica alla propria esistenza”.

– vizi della motivazione del provvedimento impugnato.

Riprendendo e sviluppando il contenuto delle doglianze precedenti, la difensore segnala che ai fini della contestazione in esame non puo’ rilevare il mero dato della accertata visione di filmati su internet (desunta dall’esame di uno dei cellulari in possesso dell’ (OMISSIS)): in concreto, ci fu solo comprovata curiosita’ del ricorrente per alcune riprese afferenti tematiche religiose o le iniziative dell’Isis, tratte da “You-Tube” r normalmente accessibili, tanto piu’ che durante tutto il periodo nel quale l’indagato fu attenzionato, vale a dire a far data dal viaggio in (OMISSIS), egli non tenne alcuna condotta indicativa di vicinanza a temi o movimenti integralisti. I video de quibus, in ogni caso, non hanno alcun contenuto di significativo insegnamento, risolvendosi nella riproduzione di scene dove un soggetto collega due fili ad un cellulare (con successiva esplosione, ma senza che si comprenda la dinamica dell’accaduto) o dove un istruttore spiega tecniche di difesa personale.

Inoltre, vero e’ che l’ (OMISSIS) aveva prenotato un viaggio in (OMISSIS), ma dalle intercettazioni emerge che egli voleva solo raggiungere il cugino anzidetto per cercare un lavoro, ed era stato quel suo parente a sconsigliarlo (a causa delle difficolta’ che avrebbe incontrato): l’assunto che l’indagato volesse ivi recarsi come destinazione ponte, per poi proseguire verso il Medio Oriente, e’ percio’ del tutto arbitrario.

La difesa lamenta infine che le osservazioni appena ribadite, unitamente alla sollecitazione ai giudici di merito affinche’ valutassero l’adeguatezza degli arresti domiciliari a fronteggiare le eventuali esigenze cautelari ritenute sussistenti, erano state gia’ sviluppate dinanzi al Tribunale, ma non avrebbero trovato risposta. In ogni caso, non si comprende perche’ la misura degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico non sarebbe idonea a soddisfare le esigenze di cautela, atteso che “non e’ chi non ve come il confinamento di un soggetto entro le mura domestiche renda ontologicamente impossibile l’integrazione della tipicita’ della condotta richiesta dalla norma incriminatrice”.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso non puo’ trovare accoglimento.

2. Deve innanzi tutto ricordarsi che l’articolo 270 quinquies c.p., sanziona con la reclusione da 5 a 10 anni “chiunque, al di fuori dei casi di cui all’articolo 270 bis, addestra o comunque fornisce istruzioni sulla preparazione o sull’uso di materiali esplosivi, di armi da fuoco o di altre armi, di sostanze chimiche o batteriologiche nocive o pericolose, nonche’ di ogni altra tecnica o metodo per il compimento di atti di violenza ovvero di sabotaggio di servizi pubblici essenziali, con finalita’ di terrorismo, anche se rivolti contro uno Stato estero, un’istituzione o un organismo internazionale”; la stessa norma incriminatrice, di seguito, prevede l’irrogazione della medesima pena sia nei confronti dell’addestrato, sia nei confronti “della persona che avendo acquisito, anche autonomamente, le istruzioni per il compimento degli atti di cui al primo periodo, pone in essere comportamenti univocamente finalizzati alla commissione delle condotte di cui all’articolo 270-sexies”.

Secondo i giudici di merito, in definitiva, (OMISSIS) emerge dalle indagini compiute come un soggetto che avrebbe acquisito in via autonoma istruzioni concernenti l’uso di armi, esplosivi o sostanze comunque pericolose, ovvero di tecniche strumentali al compimento di atti violenti per fini di terrorismo, e che, conseguentemente, avrebbe posto in essere comportamenti orientati a commettere condotte con finalita’ di terrorismo: ergo, a suo carico appaiono ravvisabili gravi indizi di colpevolezza quanto al reato sanzionato dall’ultima parte della norma appena richiamata, come modificata per effetto del Decreto Legge 18 febbraio 2015, n. 7, convertito dalla L. 17 aprile 2015, n. 43.

Appare evidente come la previsione incriminatrice descriva una ipotesi di reato di pericolo, recante la punibilita’ anticipata di atti prodromici al compimento di condotte terroristiche: ed e’ altrettanto pacifico che, per individuare i limiti della fattispecie sanzionata, sia sul piano oggettivo che in tema di ricerca di un adeguato standard di riferibilita’ psicologica del fatto all’agente, le indicazioni della giurisprudenza anteriore alla novella appena ricordata possono comunque valere come avvertenza generale, per l’interprete, al fine di garantire il rispetto dei canoni costituzionali di materialita’ e sufficiente determinatezza. Fermo restando che un conto e’ discutere di addestramento vero e proprio, o quanto meno di istruzioni mirate, vuoi dal lato di chi impartisce indicazioni operative obiettivamente orientate ad atti di terrorismo, vuoi dal punto di vista di chi ne riceve; altra cosa e’ riconoscere penale rilevanza – come impone la scelta compiuta dal legislatore nel 2015 – alla condotta del soggetto che riceve autonomamente informazioni utili a compiere violenze, sabotaggi o quant’altro, con la conseguente necessita’ di discernere quale uso egli abbia fatto o renda manifesto di voler fare delle informazioni medesime, acquisite senza che altri avessero inteso fornirle specificamente a lui.

2.1 Procedendo ad una essenziale rassegna degli interventi maggiormente significativi della giurisprudenza di legittimita’ nell’interpretazione dell’articolo 270 quinquies c.p., deve ricordarsi che nel 2011 la Prima Sezione di questa Corte (sentenza n. 38220 del 12/07/2011, ric. Korchi) affermava come la fattispecie delittuosa in esame contemplasse quali soggetti attivi soltanto “l’addestratore, ossia colui che non si limita a trasferire informazioni ma agisce somministrando specifiche nozioni, in tal guisa formando i destinatari e rendendoli idonei ad una funzione determinata o ad un comportamento specifico, l’informatore, ossia colui che raccoglie e comunica dati utili nell’ambito di un’attivita’ e che, quindi, agisce quale veicolo di trasmissione e diffusione di tali dati, e, infine, l’addestrato, ossia colui che, al di la’ dell’attitudine soggettiva di esso discente o dell’efficacia soggettiva del docente, si rende pienamente disponibile alla ricezione non episodica di quelle specifiche nozioni alle quali si e’ fatto sopra riferimento”. Venivano quindi escluse dal novero delle condotte di rilievo penale sia – da un lato – quella del responsabile di attivita’ di semplice divulgazione o proselitismo, sia – dall’altro, in virtu’ dei limiti del precetto allora sanzionato – quella del mero “informato”, individuabile in colui che rimane “occasionale percettore di informazioni al di fuori di un rapporto, sia pure informale, di apprendimento e che non agisce a sua volta quale informatore/addestratore”.

2.2 La quasi coeva sentenza Garouan, citata dalla difesa (Sez. 6, n. 29670 del 20/07/2011), si occupava piu’ diffusamente della nozione di “addestramento” e degli addentellati di questa, osservando che “la ratio dell’articolo 270 quinquies c.p., e’ agevolmente individuabile nella necessita’ di reprimere specifici comportamenti funzionali alla preparazione di veri e propri attentati. Si e’, infatti, in presenza di un delitto a consumazione anticipata inserito dal Decreto Legge 27 luglio 2005, n. 144, articolo 15, comma 1, convertito dalla legge 31 luglio 2005, n. 155, emanato in attuazione dell’articolo 7 della Convenzione di Varsavia del 16 maggio 2005 che descrive l’addestramento per il terrorismo come quella condotta consistente nel fornire istruzioni per la fabbricazione o l’uso di esplosivi, armi da fuoco od altre armi ovvero di sostanze nocive e pericolose nonche’ su altri metodi o tecniche specifiche allo scopo di commettere un reato di terrorismo o di contribuire alla sua commissione, con la consapevolezza che la formazione procurata ha lo scopo di servire alla realizzazione di tale obiettivo (…). Sul piano oggettivo, viene perseguita un’attivita’ di tipo conoscitivo consistente, da un lato, nell’addestramento o nella fornitura di istruzioni alla preparazione o all’uso di materiali esplosivi, di armi da fuoco, di altre armi, di sostanze chimiche o batteriologiche nocive o pericolose, nonche’ di ogni altra tecnica o metodo (e qui la condotta assume una proiezione finalistica che sintetizza le poliformi attivita’ di addestramento e di istruzione, cosi’ da esorbitare dal dato puramente oggettivo) per il compimento di atti di violenza ovvero di sabotaggio di servizi pubblici essenziali”. La stessa sentenza Garouan, dato atto della necessita’ di un doppio orientamento finalistico della condotta tipica sanzionata dalla norma (strumentale, al contempo, alla realizzazione di violenze o sabotaggi ed al perseguimento di scopi di terrorismo, comuni sia all’addestratore che all’addestrato), avvertiva comunque l’esigenza “di proteggere il principio di offensivita’, da ricollegare ai fini corrispondenti a momenti teleologici non necessariamente interagenti ma comunque scomponibili e senza che sia individuabile tra di essi un vincolo di continenza. Una precisazione davvero indispensabile perche’, proprio dal rilievo giuridico assegnato a ciascuna delle due finalita’ e’ possibile attribuire alle condotte descritte dall’articolo 270 quinquies c.p., valore designante pure per la necessita’ di verificare la possibilita’ di realizzazione dello scopo divisato”.

I giudici di legittimita’, in quell’occasione, mostravano di aderire “all’opinione che ravvisa l’addestramento come contrassegnato da una vera e propria interazione tra l’addestratore e l’addestrato, che presupporrebbe (almeno di norma) un contatto diretto tra il primo ed il secondo, secondo i caratteri tipici dell’attivita’ militare o paramilitare; addestrare e’, dunque, rendere abile alle attivita’ oggetto dell’addestramento, cosi’ da rendere punibile, allorche’ l’addestramento si sia compiuto e la “recluta” sia divenuta un vero e proprio “addestrato”, anche quest’ultimo (articolo 270 quinquies, ultimo periodo). Una soluzione, quella adesso prospettata, da ritenere addirittura costituzionalmente necessitata perche’ se l’addestramento non sortisce il risultato voluto dall’addestratore che diviene correo dell’addestrato solo nel caso in cui la sua opera abbia esito positivo, la distanza anche rispetto al primo fine (oggetto del primo dolo specifico) renderebbe inipotizzabile, non soltanto l’elemento psicologico ma anche la condotta tipica descritta dall’articolo 270 quinquies (…). L’addestramento, inteso come esercizio alla preparazione o all’uso di armi, etc., si realizza sia attraverso dimostrazioni pratiche sia attraverso dimostrazioni teoriche, alternate (…) a letture o prediche sul valore religioso del martirio e sui vantaggi post mortem, “completando cosi’ un’opera di condizionamento mentale e di distacco dalla vita reale, che e’ il presupposto per compiere gli attacchi terroristici e le missioni suicide”. Cio’ se e sempre che venga dimostrata la concreta idoneita’ della condotta di addestramento (che solo in tal caso puo’ denominarsi tale) a mettere in condizione l’addestrato di porre in essere gli atti descritti nell’articolo 270-quinquies”.

Anticipando profili problematici utili alla comprensione e valutazione della odierna fattispecie concreta, la sentenza Garouan segnalava che “la sola punibilita’ dell’addestrato, e non anche della persona “istruita” in ordine alle attivita’ descritte dall’articolo 270 quinquies c.p., pur in presenza della medesima pena comminata per le due corrispondenti condotte di addestramento e di istruzione, rende possibile una piu’ puntuale distinzione tra le due condotte. Esclusa, anche in base al periodo di chiusura della norma in esame, che le due attivita’ possano identificarsi, pare corretta la tesi di quella dottrina che ravvisa nel “fornire istruzioni” (anche) una diffusione ad incertam personam, che puo’ essere effettuata pure a distanza, attraverso mezzi telematici e, quindi, nei confronti di soggetti che non si e’ in grado di stabilire se siano in grado di apprendere realmente le istruzioni impartite. Una distinzione che puo’ dirsi valida pure nel caso (…) di partecipazione a veri e propri fori telematici con possibile scambio di informazioni ed in cui la persona dell’istruttore e dell’istruito finiscono talune volte per confondersi, stante l’intercambiabilita’ dei ruoli stessi. Tutto cio’ sempre discriminando tra attivita’ di istruzione e propaganda ideologico-religiosa pure significativa (…) della metodologia composita che contrassegna entrambe le condotte”.

In ogni caso, la pronuncia richiamata affermava con chiarezza che, gia’ in ordine alla prima delle peculiari connotazioni soggettive della condotta sanzionata, “la finalizzazione dell’addestramento e dell’istruzione verso il compimento di atti di violenza, etc. postula, perche’ la fattispecie venga realizzata, l’idoneita’ del contatto a realizzare il risultato perseguito. I piu’ accreditati orientamenti dottrinari in materia (…) tendono a ravvisare sempre e comunque nei reati a dolo specifico caratterizzati dall’assenza di un evento naturalistico, delle ipotesi di reato di pericolo concreto entro il quale allo scopo perseguito deve corrispondere – proprio per l’eccesso del momento volitivo, qui per ben due volte chiamato in causa – l’oggettiva idoneita’ della condotta a realizzare l’evento costituente l’obiettivo della condotta. Tanto da far ritenere che tale idoneita’ (pur nell’immanenza della sua esclusiva base finalistica) costituisce un requisito immancabile per l’individuazione della stessa tipicita’ della condotta. In altri termini, la consumazione anticipata nei reati a dolo specifico presuppone, perche’ il fatto non si esaurisca entro una fattispecie in cui assume un rilievo esorbitante l’elemento volonta’ di scopo, che sussistano atti che oggettivamente rendano la detta volonta’ idonea a realizzare lo scopo; un’esigenza metodologica necessitata perche’ la costruzione sistematica di tali reati postula, di per se’, solo il valore quasi assorbente della finalita’ perseguita; cosicche’ se tale finalita’ non sia concretamente perseguibile perche’ le attivita’ poste in essere sono inidonee al raggiungimento dello scopo, si perviene a costruire una fattispecie di pura volonta’; con un’anticipazione della consumazione non riconoscibile sul piano del possibile giuridico perche’ resta inipotizzabile ogni offesa, non soltanto (quel che qui interessa) sotto il profilo del pericolo concreto, ma anche sotto il profilo del pericolo presunto, costruendosi una figura di reato contrassegnata da una sorta di “pericolo del pericolo” che, per cio’ solo, non puo’ essere verificato se non utilizzando criteri di inferenza palesemente arbitrari (…). Puo’ dirsi, dunque, che sotto il profilo rappresentativo assume valore dirimente l’oggetto dello scopo che muove l’agente verso l’azione che diviene tipica soltanto se e’ riferibile ad un momento esterno da individuarsi in quel risultato specifico descritto nella prima parte dell’articolo 270 quinquies; nel senso che tale risultato, pur ovviamente non dovendo raggiungere le soglie del tentativo, deve comprovare la serieta’ dell’azione rispetto al primo fine, proiettandosi all’esterno attraverso momenti concreti di corrispondenza nei confronti della fattispecie”.

Quanto al secondo corno del dolo specifico richiesto dalla norma incriminatrice, la Sezione Sesta si soffermava sulla nozione di “condotte con finalita’ di terrorismo”, desumibile dal successivo articolo 270 sexies c.p. (facendo presente che debbono considerarsi tali le “condotte che, per la loro natura o contesto, possono arrecare grave danno ad un Paese o ad un’organizzazione internazionale e sono compiute allo scopo di intimidire la popolazione o costringere i poteri pubblici o un’organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto o destabilizzare o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali di un Paese o di un’organizzazione internazionale, nonche’ le altre condotte definite terroristiche o commesse con finalita’ di terrorismo da convenzioni o altre norme di diritto internazionale vincolanti per l’Italia”): percio’, doveva ritenersi indispensabile ravvisare quella connotazione teleologica nel comportamento dell’addestratore o dell’istruttore e, come espressamente avvertiva la sentenza Garouan, “il problema rimanda, ancora una volta, al tema della idoneita’ degli atti (…) a realizzare l’ulteriore finalita’, riproducendosi altrimenti il medesimo deficit di offensivita’ di quella che si e’ definita la finalita’ strumentale”.

2.3 Con la sentenza El Abboubi, parimenti evocata dalla difesa dell’odierno ricorrente, la Prima Sezione tornava a distinguere la condotta di addestramento od istruzione da quella non qualificabile come insegnamento, bensi’ quale mera divulgazione o proposta ideologica. Nella motivazione della pronuncia de qua (n. 4433/2014 del 06/11/2013), in particolare, si legge che nella configurazione della fattispecie criminosa “auto ed etero addestramento sono reato, l’informazione e il proselitismo no, rientrando nel perimetro delle liberta’ individuali costituzionalmente protette (…). E’ proprio la norma in contestazione dell’articolo 270 quinquies c.p., che, punendo condotte di addestramento o istruzione di tipo militare (sulla preparazione o uso di materiali esplosivi, di armi da fuoco o altre armi, di sostanze chimiche o batteriologiche nocive o pericolose, nonche’ di ogni altra tecnica o metodo per il compimento di atti di violenza o di sabotaggio di servizi pubblici essenziali) con finalita’ di terrorismo (il comma 2 della norma estendendo la punizione delle condotte vietate alle persone addestrate e quindi anche al soggetto che si auto addestri), impone la distinzione tra formazione e informazione (ovvero tra insegnamento e divulgazione), senza potersi anticipare la soglia di punibilita’ a uno stadio della condotta che non sia ancora insegnamento ma mera divulgazione ovvero (laddove la finalita’ sia di terrorismo) di proposta ideologica. Per il principio di legalita’ di cui all’articolo 1 c.p., non si possono, cioe’, promuovere manifestazioni di pericolosita’ sociale (sia pur grave e qualificata) a condotte penalmente rilevanti: le nozioni fornite (od acquisite) di tipo militare devono essere, appunto, idonee a costituire in chi le riceve (o le acquisisce) un bagaglio tecnico sufficiente a preparare o ad usare armi e quant’altro, non solo (…) a suscitare o ad aumentare il proprio o altrui interesse in tale settore”.

2.4 Nel 2014, la Sesta Sezione Penale di questa Corte (con una pronuncia a sua volta menzionata dal difensore dell’ (OMISSIS) nel proprio ricorso, dedicata alle vicende del movimento c.d. “no TAV”) si soffermava in termini assai approfonditi ed analitici sulla nozione di “finalita’ di terrorismo” di cui all’articolo 270-sexies cod. pen.; nozione che – secondo una delle massime ufficiali ricavate dalla decisione – non puo’ ritenersi integrata solo in base alla direzione dell’atteggiamento psicologico dell’agente, essendo invece necessario che la condotta posta in essere “sia concretamente idonea a realizzare uno degli scopi indicati nel predetto articolo (intimidire la popolazione, costringere i poteri pubblici a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto, destabilizzare o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali ecc. di un Paese o di un’organizzazione internazionale), determinando un evento di pericolo di portata tale da incidere sugli interessi dell’intero Paese” (Cass., Sez. VI, n. 28009 del 15/05/2014, Alberto, Rv 260076).

La sentenza Alberto muoveva il proprio excursus dal rilievo che il soggetto attivo del reato in argomento, “sul piano della rappresentazione e della volizione (…), opera in una duplice direzione. In primo luogo vuole un “grave danno per un Paese od una organizzazione internazionale”, o almeno vuole creare condizioni che seriamente conducano in quella direzione. In secondo luogo, persegue un fine alternativo, fra i tre indicati dalla norma: intimidire la popolazione, destabilizzare o distruggere strutture politiche fondamentali, o infine costringere il potere pubblico o una organizzazione internazionale a compiere o a non compiere un qualsiasi atto (…). Subito si evidenzia la particolare struttura del dolo. Salva ogni osservazione in punto di idoneita’ dell’azione al fine, quale profilo strutturale dei casi di dolo specifico, la prima parte della norma descrive un evento di pericolo, che deve concretamente profilarsi e che, nei riflessi soggettivi, deve pienamente riprodursi. La legge non si limita ad esigere il fine di produrre un “grave danno”, ma esige l’obiettivo compimento di condotte che possono determinare quel danno (e dunque sono idonee in quel senso) (…): gia’ il tenore letterale della norma implica che non basta l’intenzione del danno, posto che la condotta deve creare la possibilita’ che si verifichi. Un evento di pericolo concreto, dunque, da valutare secondo l’ordinario paradigma della prognosi postuma”.

La Sezione Sesta giungeva poi ad affermare che il finalismo terroristico descritto dall’articolo 270 sexies c.p., non poteva considerarsi un fenomeno esclusivamente psicologico, dovendosi piuttosto “materializzare in un’azione seriamente capace di realizzare i fini tipici descritti nella norma medesima”. In ordine alle caratteristiche oggettive e soggettive dei delitti di attentato, i giudici di legittimita’ precisavano altresi’ come gli stessi dovessero intendersi “segnati sul piano materiale dalla univoca direzione degli atti verso un evento determinato e dalla idoneita’ degli atti medesimi a produrre la relativa lesione, con la conseguenza che la loro integrazione, sul piano del dolo, resta esclusa nel caso di mera accettazione del rischio che il bene giuridico subisca l’offesa”, per poi aggiungere – attraverso una parallela disamina delle tematiche correlate alla disciplina del tentativo – che “il requisito di idoneita’ concorre anche a circoscrivere il fatto punibile secondo il principio di tassativita’, poiche’ in sostanza inserisce nella previsione di legge il divieto di creare situazioni pericolose per un determinato interesse. Ma per lo stesso scopo e’ indispensabile che il criterio concorrente dell’univocita’ sia inteso quale essenza del fatto criminoso, e non semplicemente quale tema di prova o caratteristica dell’elemento psicologico. Occorre cioe’, sul piano obiettivo, che le condizioni in cui matura l’azione denuncino univocamente l’orientamento causale della condotta verso un evento dato, tipicamente previsto dalla legge penale e diverso da ogni altro. Solo a queste condizioni la tecnica di tipizzazione del tentativo si accosta ad altre, fondate appunto sull’orientamento e non sulla descrizione (e’ il caso ad esempio del reato concorsuale ex articolo 110 c.p.), e con esse condivide, secondo l’opinione ampiamente maggioritaria, uno status di compatibilita’ con l’articolo 25 Cost. (…). Dal punto di vista pratico, del resto, la corrispondenza tra il fine concreto di un determinato agire e la congruenza allo scopo degli atti compiuti, secondo un criterio di comune apprezzamento, rappresenta la modalita’ di gran lunga piu’ frequente di accertamento del dolo punibile. Se la univocita’ “obiettiva” e’ elemento costitutivo della fattispecie, l’atteggiamento della volonta’ non puo’ che conformarsi sulla medesima. A maggior ragione, l’unidirezionalita’ del momento volitivo risulta indefettibile qualora il requisito dell’univocita’ venga invece concepito in termini essenzialmente soggettivi Nei delitti di attentato manca, in realta’, il riferimento esplicito a quei fattori tipizzanti che invece caratterizzano la previsione dell’articolo 56 c.p., cioe’ l’idoneita’ e l’univocita’ degli atti. Se si guarda per altro al panorama dottrinale recente, e’ comune l’opinione che si tratti di requisiti necessari anche per le figure in questione. L’assunto, talvolta motivato in base ad una pretesa sovrapponibilita’ fra tentativo e attentato, e’ oggi generalmente giustificato quale implicazione essenziale del principio di offensivita’, e comunque quale condizione necessaria per la tassativita’ delle fattispecie. Anche in giurisprudenza, poi, si e’ affermata stabilmente l’esigenza che la condotta di attentato presenti un connotato di idoneita’, anche se le variazioni dovute alla pluralita’ delle fattispecie ed al correre del tempo varrebbero ad evidenziare, in esito ad un esame approfondito, concezioni non del tutto omogenee del relativo concetto”.

2.5 La giurisprudenza di questa Corte si e’ invece chiaramente espressa nel senso di ritenere reati di pericolo presunto quelli previsti dall’articolo 270 bis c.p., in tema di condotte di promozione, costituzione, organizzazione, direzione, finanziamento o partecipazione ad associazioni che si propongono il compimento di atti di violenza con finalita’ di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico: in tale prospettiva, richiamando anche precedenti conformi, una recente decisione di questa stessa Sezione (sentenza n. 48001 del 14/07/2016, ric. Hosni) ha precisato che “la ravvisabilita’ della condotta associativa, se non richiede la predisposizione di un programma di azioni terroristiche, necessita tuttavia della costituzione di una struttura organizzativa con un livello di effettivita’ che renda possibile la realizzazione del progetto criminoso (…). E’ determinante in tal senso il fatto che, nella previsione normativa, la rilevanza penale dell’associazione sia legata non alla generica tensione della stessa verso la finalita’ terroristica o eversiva, ma al proporsi il sodalizio la realizzazione di atti violenti qualificati da detta finalita’. Costituiscono pertanto elementi necessari, per l’esistenza del reato, in primo luogo l’individuazione di atti terroristici posti come obiettivo dell’associazione, quanto meno nella loro tipologia; e, in secondo luogo, la capacita’ della struttura associativa di dare agli atti stessi effettiva realizzazione”.

Ne deriva, sempre secondo la sentenza Hosni, che una “attivita’ di indottrinamento, finalizzata ad indurre nei destinatari una generica disponibilita’ ad unirsi ai combattenti per la causa islamica e ad immolarsi per la stessa, non da’ (…) la necessaria consistenza a quegli atti di violenza terroristica o eversiva il cui compimento, per quanto detto, deve costituire specifico oggetto dell’associazione in esame. Alla vocazione al martirio e’ stata invero attribuita significativita’ ai fini della ravvisabilita’ del reato; cio’, tuttavia, ai limitati fini della valutazione sulla sussistenza di gravi indizi per l’adozione di misure cautelari nei confronti del singolo partecipante ad una cellula terroristica, della quale sia stata aliunde riconosciuta l’effettiva operativita’ (..) e, comunque, laddove alle attivita’ di indottrinamento e reclutamento sia affiancata quella di addestramento al martirio di adepti da inviare nei luoghi di combattimento (…), che attribuisca all’esaltazione della morte, in nome della guerra santa contro gli infedeli, caratteristiche di materialita’ che realizzino la condizione per la quale possa dirsi che l’associazione, secondo il dettato normativo gia’ ricordato, si propone il compimento di atti di violenza con finalita’ di terrorismo”. In quella fattispecie concreta, pertanto, si e’ ritenuto che il gruppo delineato dagli inquirenti si fosse limitato solamente “ad un’attivita’ di proselitismo e indottrinamento, finalizzata ad inculcare una visione positiva del combattimento per l’affermazione dell’islamismo e della morte per tale causa. Attivita’ che puo’ costituire senza dubbio una precondizione, quale base ideologica, per la costituzione di un’associazione effettivamente funzionale al compimento di atti terroristici, ma che non integra gli estremi perche’ tale risultato possa dirsi conseguito; al piu’ realizzando presupposti di pericolosita’ dei soggetti interessati valutabili ai fini dell’applicazione di misure di prevenzione”.

3. Alla luce dei principi appena richiamati, deve senz’altro convenirsi con la tesi difensiva, secondo cui per la ravvisabilita’ del delitto di cui all’articolo 270 quinquies c.p., (anche con riguardo alla ipotesi descritta nell’ultima parte del comma 1) e’ pur sempre necessario che il soggetto attivo ponga in essere comportamenti significativi sul piano materiale, senza limitarsi ad una semplice attivita’ di raccolta di dati informativi, od a manifestare le proprie scelte ideologiche: ma nella vicenda in esame, a dispetto della contraria ricostruzione offerta dal ricorrente, i giudici di merito appaiono aver correttamente individuato siffatti comportamenti materiali.

3.1 Stando al succedersi dei fatti, come puntualmente evidenziati nella motivazione dell’ordinanza oggetto di ricorso, il 10 luglio 2015 l’ (OMISSIS) rientro’ in Italia, presso l’aeroporto di (OMISSIS), con un volo proveniente da (OMISSIS); il giorno prima era partito dallo stesso scalo alla volta della (OMISSIS), e qui era stato respinto. L’indagato aveva con se’ uno zaino multitasche, con all’interno un pantalone di tipo militare, un tappeto da preghiera ed un libro dei “Fratelli Musulmani” sulla condotta del buon osservante del Corano; inoltre, era in possesso di due cellulari, uno dei quali abilitato a navigare in internet (tra le pagine salvate, vi era il link ad una pagina web con rimando a siti recanti immagini e video sullo Stato islamico, ivi compresa la documentazione di atrocita’ commesse dagli appartenenti al medesimo). Come gia’ ricordato, uno dei cellulari aveva in rubrica il numero belga di tale (OMISSIS), ed il numero in questione era risultato in contatto con altra utenza belga in uso ad un maghrebino che sarebbe stato arrestato in (OMISSIS) – a bordo di un treno, con armi ed esplosivi al seguito – nell’agosto successivo.

L’ (OMISSIS), negando propositi da foreign fighter, aveva sostenuto di essere partito con un biglietto di sola andata e di una data compagnia perche’ piu’ economico, nonche’ di avere avuto il programma di trattenersi in (OMISSIS) per una decina di giorni al fine di pregare in una grande moschea; i suoi genitori, regolarmente domiciliati in Calabria, avevano invece riferito che il giovane si era allontanato nella notte fra l'(OMISSIS), perche’ doveva recarsi a lavorare presso un italiano, ma alla sera aveva chiamato (di fatto, pochi minuti prima di prendere l’aereo per (OMISSIS)) dicendo che sarebbe rientrato l’indomani. Durante la sosta in (OMISSIS) prima della formalizzazione del respingimento, egli era stato chiamato sul cellulare per 18 volte da un numero turco, risultato a sua volta in contatto con un’utenza intestata ad un soggetto marocchino ritenuto il fondatore, in Italia, di un movimento ultraradicale islamico.

Nel mese di settembre, l’indagato aveva prenotato un biglietto aereo per il (OMISSIS), previ contatti con un cugino residente in quel paese (che lo aveva comunque ammonito sulle difficolta’ di trovarvi un lavoro); poi aveva rinunciato alla partenza. Nel frattempo, dalle intercettazioni ritualmente disposte era emersa (oltre alla conferma di una stringente osservanza della religione musulmana da parte dell’ (OMISSIS)) la quotidiana dedizione del ricorrente a visualizzare e scaricare filmati od immagini riconducibili alla propaganda terroristica per la formazione dello Stato islamico; come si legge nella motivazione dell’ordinanza impugnata, egli aveva proceduto al download di “svariato materiale video che “esalta” la morte in nome di Allah nella lotta contro miscredenti ed infedeli. Taluni filmati evidenziano il chiaro intento di trasmettere un feroce insegnamento all’odio contro i non musulmani, e sono realizzati con immagini di attentati e di predicatori che inneggiano all’antisemitismo e che spronano i seguaci ad intraprendere una guerra contro gli infedeli, mentre, in sovraimpressione, scorrono brani coranici che, interpretati in chiave radicalista e militante, giustificano gli attentati e gli omicidi compiuti contro gli infedeli, sostenendo il dovere di combatterli e l’obbligo di ucciderli”.

Tra i video in questione, oltre a contenuti di propaganda (le riprese del crollo delle “Torri gemelle” di New York o di volti di presidenti di Stati occidentali con frasi di minaccia in sovraimpressione; la scena fittizia della Statua della Liberta’ crollata a terra ed in fiamme; immagini di ragazzi presentati, armati e sorridenti, come appena giunti da altri paesi per difendere la bandiera dello stato islamico; canzoni inneggianti al proposito di combattere sino a determinare la completa scomparsa dei non musulmani o degli ebrei, con il premio per chi combatte, consistente nel posto piu’ alto in paradiso), ve ne erano alcuni di immediata ispirazione violenta (la registrazione di uccisioni sommarie di presunti infedeli) o di carattere sostanzialmente didattico. In particolare, l’ (OMISSIS) risultava avere scaricato filmati illustrativi di tecniche di difesa personale e di allenamento, o su come accertare di essere o meno spiati attraverso il telefono, nonche’ relativi alla preparazione di ordigni: in uno di questi – visionato due volte, il (OMISSIS) – era ritratto un uomo intento a maneggiare esplosivi ed a collegarli ad un cellulare, mentre la voce di un altro gli chiedeva se quel che stava maneggiando gli facesse paura (con il primo a rispondere che l’importante era che gli esplosivi uccidessero i nemici di Allah, e che in quel momento stava “legando con le sue mani le chiavi del paradiso”).

3.2 Tanto precisato, va innanzi tutto escluso che, come allega la difesa dell’ (OMISSIS), la visione dei filmati sopra ricordati da parte dell’indagato sia stata sporadica od occasionale: al contrario, il provvedimento oggetto di ricorso segnala come egli attingesse quotidianamente ed in abbondanza a quel materiale, sino ad avere scaricato centinaia di video. E, limitandosi a prendere atto del contenuto di quelli segnalati da ultimo, sembra innegabile che dalla riproduzione degli stessi si ricavino informazioni preordinate ad atti non solo violenti, bensi’ di chiara ispirazione terroristica: a tacer d’altro, le immagini concernenti la preparazione di un ordigno, per quanto rudimentale, risultano chiaramente dedicate alla figura di un potenziale kamikaze, in un contesto nel quale l’uomo che armeggia con esplosivi ed apparecchi elettronici – come appare descritto nella ricostruzione offerta dai giudici di merito – viene dipinto non solo come degno di ammirazione ideologica, ma piuttosto di emulazione.

E’ chiaro che, sulla base della struttura della norma incriminatrice, la visione di un filmato che insegni tecniche di lotta armata o di impiego di materiali offensivi (ove le riprese in parola si intendano fonte delle informazioni di cui un soggetto intenda avvalersi) deve essere anteriore all’assunzione di una – diversa – condotta animata da finalita’ terroristica: la seconda parte del comma 1 dell’articolo 270 quinquies c.p., infatti, sanziona chi “pone in essere comportamenti univocamente finalizzati alla commissione delle condotte di cui all’articolo 270 sexies”, laddove costui abbia (gia’) acquisito il bagaglio informativo necessario per l’uso di armi, esplosivi od atti di violenza in genere. L’inciso “avendo acquisito, anche autonomamente, le istruzioni per il compimento degli atti…” descrive un nesso temporale, non eziologico: la fattispecie disegnata dal legislatore non richiede che il soggetto istruito riceva istruzioni specifiche per il ruolo che egli intendera’ rivestire una volta dedicatosi alla lotta armata, ma prescrive la consequenzialita’ cronologica della condotta qualificabile ex articolo 270 sexies, rispetto ad informazioni che ne siano il presupposto. Non a caso, anche il Tribunale di Catanzaro spiega che “alla acquisizione di informazioni si deve accompagnare l’esplicazione di una qualsiasi attivita’ materiale avente finalita’ terroristica, che possa quindi considerarsi come volta a dare attuazione alle istruzioni acquisite, senza peraltro, ai fini dell’integrazione del reato, che sia necessaria la effettiva realizzazione della finalita’”.

A questo punto, un dato rilevante – alla luce, si ribadisce, delle istruzioni ricavabili dai video minuziosamente descritti nell’ordinanza impugnata – appare il viaggio che l’ (OMISSIS) aveva programmato di effettuare alla volta del (OMISSIS) (anche se, in seguito, non vi dette corso): destinazione che, al di la’ del notorio coinvolgimento in vicende terroristiche del recente passato da parte di soggetti dimoranti in quel tessuto sociale, coincide con l’origine dell’utenza che il ricorrente aveva mantenuto nella memoria del cellulare, conservata in rubrica a dispetto dell’eliminazione di altre, cancellate fra il (OMISSIS) ed il (OMISSIS). Tuttavia, va soprattutto rimarcato che le incessanti attivita’ con cui l’indagato attingeva ad informazioni via internet appaiono si’ documentate dal monitoraggio della sua condotta, a mezzo di intercettazioni telematiche, dopo il respingimento dalla (OMISSIS); ma l’esame dei telefoni cellulari in uso all’ (OMISSIS), effettuato il (OMISSIS), rendeva evidente come il prevenuto avesse gia’ compiuto analoghe ricerche di informazioni, con tanto di link salvati stabilmente per navigare sui siti (OMISSIS) e (OMISSIS) (v. pag. 2 dell’ordinanza in epigrafe). Nella medesima prospettiva, non va trascurato che i contatti con l’utenza belga del non meglio identificato (OMISSIS) risultano accertati non solo per il periodo successivo al controllo dell’indagato al rientro da Istanbul, ma a partire da sei giorni prima (v. pag. 27). Contatti, questi, che sul piano indiziario ed ai fini della valutazione del coinvolgimento del ricorrente nelle dinamiche di fenomeni terroristici internazionali (nella prospettiva dell’adozione di misure cautelari) risultano oltremodo significativi: l’uomo in questione conversava di frequente con l’ (OMISSIS), anche immediatamente prima della partenza di quest’ultimo per (OMISSIS) (con un biglietto di sola andata, un paio di pantaloni di foggia militare ed un bagaglio del tutto inadeguato ad una presunta permanenza di piu’ giorni, neppure prospettata ai familiari); nel contempo, era in collegamento con chi sarebbe stato sorpreso a bordo di un treno, in viaggio tra due importanti capitali Europee, con indosso “armi, munizioni e materiale esplosivo di alto potenziale offensivo” (v., ancora, pag. 27).

Percio’, le informazioni ricevute dal ricorrente non si esauriscono in quelle monitorate durante le intercettazioni, giacche’ quelle navigazioni sul web costituiscono la manifesta conferma – sul piano della gravita’ indiziaria – di quel che l’ (OMISSIS) aveva gia’ fatto e delle istruzioni che egli aveva acquisito prima del viaggio in (OMISSIS): viaggio che, in definitiva, deve annoverarsi a sua volta tra i comportamenti finalizzati a condotte di terrorismo, ascrivibili all’indagato.

3.3 A quest’ultimo proposito, deve essere sottolineata la necessita’ che il comportamento ispirato dalle istruzioni autonomamente acquisite e sopra delineate sia “univocamente” orientato ad atti di terrorismo: avverbio che risulta introdotto, nella seconda parte dell’articolo 270 quinquies, comma 1, in sede di conversione dell’iniziale decreto legge, al chiaro fine di evitare problemi di indeterminatezza della fattispecie. Ha, dunque, ragione la difesa dell’ (OMISSIS), nel ricordare che la norma non sanziona la mera acquisizione personale di informazioni, condotta in se’ lecita e garantita dall’articolo 21 Cost., bensi’ (come si legge nel ricorso, richiamando commenti dottrinali alla riforma) “l’utilizzo che di queste viene fatto da parte del c.d. “lupo solitario”, per porre in essere comportamenti supportati dalla finalita’ terroristica, secondo il modello del c.d. pericolo concreto”. L’opzione del legislatore, non di meno, risulta significativa anche laddove, codificando il requisito di univocita’ del fatto materiale realizzato, non ha inteso richiamarne il – di norma, correlato – carattere di idoneita’: tale scelta sembra giustificarsi sia perche’ l’idoneita’ del comportamento posto in essere e’ in parte desumibile dal precetto di cui all’articolo 270 sexies c.p., (fra le condotte con finalita’ di terrorismo debbono considerarsi, in prima battuta, quelle che “possono arrecare grave danno ad un Paese o ad un’organizzazione internazionale”), sia in virtu’ della peculiarita’ della fattispecie sanzionata.

In vero, come si evince dai principi affermati da questa Corte nelle sentenze Garouan e Hosni, sopra ricordate, per la condotta di chi addestra all’uso di armi od a forme di violenza generalizzate, come pure per quella di chi costituisce un’associazione per fini terroristici, si impone che l’addestramento o l’affiliazione pongano il destinatario delle nozioni od il partecipe al programma criminoso nella effettiva condizione di porre in essere i comportamenti che le norme mirano a prevenire (in via anticipata). In altre parole, l’addestrare ed il fornire istruzioni, sul lato del “docente”, implicano senza dubbio una immediata strumentalita’ delle tecniche insegnate a realizzare sia atti di violenza che a perseguire finalita’ terroristiche, ed analogamente e’ a dirsi per l’addestrato stricto sensu, legato da un rapporto specifico, anche se non necessariamente stringente, con chi gli impartisce l’addestramento di cui si discute; un’identica connotazione obiettiva, invece, non si prospetta (se non nei gia’ ricordati limiti indicati dall’articolo 270 sexies) per chi si limita a raccogliere in via autonoma istruzioni fornite – con le caratteristiche anzidette, ma – ad incertam personam, vale a dire destinate a chiunque intenda avvalersene. Una fattispecie, questa, la cui pericolosita’ appare ictu oculi manifesta e che certamente giustifica una ancor piu’ accentuata anticipazione della soglia della rilevanza penale: non foss’altro per la potenziale, enorme diffusivita’ di quel bagaglio di conoscenze, messo a disposizione di un numero indeterminato e pressoche’ infinito di “lupi solitari”, con organizzazioni terroristiche pronte ad ascrivere a se’ la riferibilita’ dei comportamenti violenti posti in essere da soggetti “auto-informati”, rispetto ai quali le organizzazione medesime non avevano avuto alcuna occasione di contatto a dispetto della postuma – rivendicazione.

Anche sotto tale profilo, pertanto, i comportamenti ascrivibili all’ (OMISSIS) assumono, ai fini dell’adozione di provvedimenti de libertate, rilevanza penale: vuoi con riguardo a quelli certamente idonei al duplice scopo richiesto dalla norma (come il viaggio in (OMISSIS), compiuto ma non andato a buon fine), vuoi per quelli dove il carattere di idoneita’ risulta piu’ sfumato (come il viaggio in (OMISSIS), poi rinunciato, od il mantenimento dei contatti con l’ignoto (OMISSIS)).

4. Non e’ infine corretto affermare che il Tribunale non abbia dedicato analisi al tema delle esigenze cautelari, o che sia mancata una compiuta disamina delle obiezioni difensive (anche sul possibile ricorso al c.d. “braccialetto elettronico”): al di la’ dei riferimenti alla gravita’ delle condotte poste in essere e dell’impossibilita’ di contenere adeguatamente l’ (OMISSIS) presso il nucleo familiare di appartenenza, il provvedimento impugnato chiarisce infatti che l’indagato si era dimostrato conoscitore di tecniche utili ad eludere intrusioni – nelle sue comunicazioni o navigazioni in rete – da parte delle forze di polizia. A pag. 20 della motivazione dell’ordinanza, in particolare, si segnala che il ricorrente aveva non solo visionato filmati su come non essere spiati attraverso il telefono cellulare, ma aveva anche scaricato un corso on line utile a quelle finalita’.

2. Il rigetto del ricorso comporta la condanna dell’ (OMISSIS) al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimita’.

Dal momento che alla presente decisione non consegue la rimessione in liberta’ dell’indagato, dovranno essere curati dalla Cancelleria gli adempimenti di cui al dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

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