Ai fini della valutazione della legalita’ della pena di cui e’ stata chiesta l’applicazione, deve aversi riguardo al risultato finale indicato dalle parti, indipendentemente dai singoli “passaggi” interni, in quanto e’ proprio tale risultato che assume valenza “esterna”, quale espressione ultima e definitiva dell’incontro delle volonta’ delle parti. Di conseguenza, ai fini del rispetto dell’articolo 99 c.p., u.c., occorre considerare l’aumento pena applicato per la recidiva al netto della riduzione per il rito e non l’aumento operato sulla pena base, prima della riduzione finale
Suprema Corte di Cassazione
sezione V penale
sentenza 5 dicembre 2016, n. 51736
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SABEONE Gerardo – Presidente
Dott. CATENA Rossella – Consigliere
Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere
Dott. LIGNOLA Ferdinando – rel. Consigliere
Dott. SETTEMBRE Antonio – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 25/02/2015 del TRIBUNALE di CATANIA;
sentita la relazione svolta dal Consigliere FERDINANDO LIGNOLA;
Letta la requisitoria scritta del sostituto procuratore generale, Dott.ssa LOY M. Francesca, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 25 febbraio 2015, il Tribunale di Catania, in composizione monocratica, applicava ex articolo 444 c.p.p. a (OMISSIS), imputato di violazione di domicilio aggravata dalla violenza sulle cose e dalla recidiva reiterata ed infraquinquennale, la pena di 1 anno, 1 mese e 10 giorni di reclusione; la sentenza da’ atto del seguente calcolo: pena base 1 anno di reclusione, aumentata per la recidiva ad 1 anno e 8 mesi di reclusione, ridotta per il rito prescelto ad 1 anno, 1 mese e 10 giorni di reclusione.
2. Avverso tale decisione ha proposto ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato, avv. (OMISSIS), deducendo inosservanza o erronea applicazione dell’articolo 99 c.p., u.c., perche’ l’aumento applicato per la recidiva di 8 mesi di reclusione e’ superiore al cumulo delle pene risultanti dalle condanne precedenti, equivalente a 7 mesi e 16 giorni di reclusione. Inoltre ci si duole della mancata concessione delle attenuanti generiche, che avrebbe consentito di ridurre ulteriormente la pena, peraltro senza alcuna motivazione sul punto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ infondato e pertanto va rigettato.
E’ vero che dal certificato penale in atti risultano due iscrizioni, per furto in abitazione tentato e furto aggravato in concorso, per le quali l’imputato ha riportato, su richiesta delle parti, rispettivamente la pena di 3 mesi e 16 giorni di reclusione e 4 mesi di reclusione. Pur tuttavia non e’ esatto affermare che l’aumento applicato la recidiva dal Tribunale di Catania e’ superiore a 7 mesi e 16 giorni di reclusione, poiche’ il ricorrente (ed il Procuratore Generale) non tengono conto della riduzione per il rito.
Come e’ noto, ai fini della valutazione della congruita’ della pena di cui e’ stata chiesta l’applicazione, deve aversi riguardo alla pena indicata nel risultato finale, indipendentemente dai singoli “passaggi” interni, in quanto e’ proprio tale risultato che assume valenza “esterna”, quale espressione ultima e definitiva dell’incontro delle volonta’ delle parti. L’accordo, infatti, si forma non sulla pena inizialmente indicata e sulle eventuali operazioni con le quali essa viene determinata, bensi’, appunto, sul risultato finale delle operazioni stesse. Ne costituisce riprova il fatto che eventuali errori di calcolo commessi nel determinare la sanzione concordata ed applicata dal giudice non assumono alcuna rilevanza, purche’ il risultato finale non si traduca in una pena illegale (cfr., ex multis, Sez. 3, n. 28641 del 28/05/2009, Fontana, Rv. 24458201; Sez. 6, n. 44907 del 30/10/2013, Marchisella, Rv. 257151; Sez. 1, n. 29668 del 17/06/2014, Cannizzo, Rv. 263217).
2. Tale regola va applicata anche dalla Suprema Corte, nella verifica della legalita’ della pena, poiche’ i passaggi intermedi restano esclusi dalla verifica del giudice di merito.
3. Pur nella consapevolezza di un diverso e recente orientamento espresso dalla Prima Sezione di questa Corte (Sez. 1, n. 32172 del 26/06/2015, Lalima, Rv. 264557), secondo il quale la valutazione giudiziale nella congruita’ della pena indicata dalle parti deve aver riguardo all’entita’ della sanzione concordata prima di operare la riduzione ai sensi dell’articolo 444 c.p.p., comma 1, il Collegio ha ritenuto di condividere l’orientamento tradizionale e consolidato, non adducendo la decisione difforme alcuna argomentazione per superare la considerazione decisiva, espressa da quello di segno contrario, secondo il quale l’accordo si forma solo sul risultato finale delle operazioni e non sui passaggi intermedi.
4. Va, pertanto, affermato il seguente principio di diritto:
“Ai fini della valutazione della legalita’ della pena di cui e’ stata chiesta l’applicazione, deve aversi riguardo al risultato finale indicato dalle parti, indipendentemente dai singoli “passaggi” interni, in quanto e’ proprio tale risultato che assume valenza “esterna”, quale espressione ultima e definitiva dell’incontro delle volonta’ delle parti. Di conseguenza, ai fini del rispetto dell’articolo 99 c.p., u.c., occorre considerare l’aumento pena applicato per la recidiva al netto della riduzione per il rito e non l’aumento operato sulla pena base, prima della riduzione finale”.
5. La seconda doglianza e’ manifestamente infondata, in quanto – che il ricorso va dichiarato inammissibile, in quanto nel procedimento speciale di applicazione della pena su richiesta delle parti, il riconoscimento delle attenuanti generiche puo’ avvenire soltanto allorquando la relativa domanda abbia formato oggetto della pattuizione intervenuta tra le parti e non quando, come nel caso di specie, non sia stata richiesta (Sez. U, n. 5882 del 11/05/1993, Iovine, Rv. 193417; piu’ di recente: Sez. 4, n. 34352 del 13/05/2003, Borzi, Rv. 228309).
6. In conclusione il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
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