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Suprema Corte di Cassazione

sezione tributaria

sentenza n. 11633  del 15 maggio 2013

Ritenuto in fatto

1. Il Ministero dell’economia e delle finanze e l’Agenzia delle entrate propongono ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte indicata in epigrafe, con la quale, rigettando l’appello dell’Ufficio, è stata confermata l’illegittimità dell’avviso di accertamento emesso, per IRPEF ed IVA relative all’anno 1996, nei confronti di A. B., in applicazione dei parametri di cui all’art. 3, commi 181 e ss., della legge n. 549 del 1995 e al d.P.C.M. 29 gennaio 1996.
Il giudice di merito, dato atto che il contraddittorio endoprocedimentale non aveva dato esito positivo in quanto la proposta dell’Ufficio di riduzione del reddito accertato non era stata accolta dalla contribuente (che aveva – chiesto di procedere nei suoi confronti con la normale attività accertativa), ha ritenuto che il mero scostamento tra l’ammontare dei ricavi dichiarati e quello attribuibile in base ai parametri non costituisce presunzione dotata dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, “ma rimane una presunzione <semplice> sulla quale si può senz’altro iniziare a lavorare per poter, ammesso che ve ne siano, scovare delle prove gravi, precise e concordanti”; i parametri, pertanto, ha concluso il giudice a quo, non possono essere applicati in modo acritico, senza operare un seppur minimo riscontro contabile e senza tenere conto – e in ciò il contraddittorio assume un’enorme rilevanza – la situazione del contribuente e la realtà socio-economica in cui opera.

2. La B. resiste con controricorso.

Considerato in diritto

1. Con l’unico motivo del ricorso, la riportata ratio decidendi viene censurata per violazione dell’art. 3, comma 181 e ss., della legge n. 549 del 1995, sostenendo che l’utilizzazione del metodo di accertamento parametrico ivi previsto esonera l’Ufficio da ogni ulteriore dimostrazione, spostando sul contribuente l’onere di provare di aver percepito un reddito inferiore a quello risultante dallo scostamento rispetto ai parametri.
Il motivo è fondato nei sensi di seguito precisati.
Con sentenza n. 26635 del 2009, le Sezioni unite di questa Corte hanno affermato il seguente principio di diritto: <La procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards in sé considerati · meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli standards o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello standard prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli standards al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte. In tal caso, però, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli standards, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito>.
La sentenza impugnata non risulta conforme a detto principio.
Il giudice, infatti, non ha tenuto conto del fatto che il contraddittorio endoprocedimentale – pur da egli stesso ritenuto di “enorme rilevanza” – nella fattispecie non aveva dato esito positivo a causa del rifiuto della contribuente di accettare una proposta di riduzione avanzata dall’Ufficio (con richiesta, anzi, di procedere con metodo ordinario), senza tuttavia, almeno stando a quanto risulta dalla sentenza, che la stessa contribuente avesse fornito, in quella sede, specifiche prove della inapplicabilità dei parametri al caso concreto. Ciò, in base al principio suddetto, legittimava l’Ufficio all’emissione dell’avviso di accertamento sulla base dello scostamento del reddito dichiarato da quello risultante dallo standard applicabile, senza necessità, contrariamente a quanto affermato dal giudice di merito, di ulteriori riscontri, fermo rimanendo il potere del giudice di valutare, trattandosi di accertamento basato su presunzione semplice, la fondatezza della pretesa tributaria sulla base degli elementi probatori fomiti in giudizio dall’Ufficio e dalla contribuente (come viene riferito nel controricorso).
2. Il ricorso va, pertanto, accolto, la sentenza impugnata deve essere cassata e la causa rinviata ad altra sezione della Commissione tributaria regionale del Piemonte, la quale procederà a nuovo esame della controversia, uniformandosi all’enunciato principio, oltre a provvedere sulle spese anche del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale del Piemonte.
Così deciso in Roma il 23 gennaio 2013.

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