Cassazione toga rossa

SUPREMA Corte di Cassazione

SEZIONE TRIBUTARIA

 sentenza 7 marzo 2014, n. 5365

Svolgimento del processo

A seguito di controllo effettuato nei confronti di A.M., il quale aveva dichiarato di avere acquistato due terreni per un valore complessivo di lire 940.000.000 grazie ai conferimenti in denaro della madre C.P., l’Ufficio procedeva alla rideterminazione del reddito dichiarato di quest’ultima in applicazione del d.m. del 10.9.1992 e 19.11.1992.
Il ricorso proposto dalla contribuente veniva parzialmente accolto dalla C.T.P. la quale rideterminava il reddito imponibile accertato.
La sentenza di primo grado, in accoglimento parziale dell’appello proposto sempre dalla contribuente, veniva riformata, con la sentenza indicata in epigrafe, dalla C.T.R. della Sicilia – sezione staccata di Caltanissetta la quale riduceva ulteriormente del 50% il reddito complessivo accertato per l’anno di imposta 1997.
In particolare, i Giudici di appello ritenevano la validità ed ammissibilità della provenienza dei mezzi finanziari ceduti dall’appellante al figlio con esclusione dell’ammontare percepito per i contributi AIMA e di parte degli altri redditi indennitari e pensionistici conferiti da terzi in quanto non sufficientemente provati.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione, affidato, a quattro motivi C.P.
Hanno resistono con controricorso il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate i quali hanno, inoltre, proposto ricorso incidentale affidato ad un motivo.
La contribuente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso -rubricato violazione dell’art. 1 c. 1, lett) della legge n. 413/91, in ragione dell’introduzione del 4° comma dell’art. 38 dpr n. 600/73, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. si deduce l’errore in cui sarebbe incorsa la C.T.R. siciliana nell’avere confermato la valutazione effettuata dal primo Giudice dell’aspetto reddituale di parte ricorrente in relazione alla capacità di sostentamento del nucleo familiare con connessione alla capacità di accumulare risparmio laddove, invece, secondo la prospettazione difensiva, detta comparazione riguarda la media reddituale quinquennale scaturente dall’investimento.
1.1. Il motivo è infondato.
In materia, costituisce orientamento consolidato quello per cui “in tema di accertamento in rettifica delle imposte sui redditi delle persone fisiche, la determinazione effettuata con metodo sintetico, sulla base degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e 19 novembre 1992, riguardanti il cosiddetto redditometro, da un lato non pone alcun problema di retroattività, per i redditi maturati in epoca anteriore, stante la natura procedimentale degli strumenti normativi secondari predetti (emanati ai sensi dell’art. 38, comma quarto, del d.P.R. n. 600 del 1973); dall’altro, essa dispensa l’amministrazione da qualunque ulteriore prova rispetto all’esistenza dei fattori-indice della capacità contributiva, giacché codesti restano individuati nei decreti medesimi. Ne consegue che è legittimo l’accertamento fondato sui predetti fattori-indice, provenienti da parametri e calcoli statistici qualificati, restando a carico del contribuente, posto nella condizione di difendersi dalla contestazione dell’esistenza di quei fattori, l’onere di dimostrare che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore”(cfr. da recente Cass.n.9539 del 19/04/2013). Si è, altresì, affermato che “con riferimento alla determinazione sintetica del reddito complessivo netto in base ai coefficienti presuntivi individuati dai decreti ministeriali previsti dall’art.38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (c.d. redditometri), la prova contraria ammessa dal sesto comma di tale disposizione, richiedendo la dimostrazione documentale non solo della sussistenza di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, ma anche del possesso di tali redditi da parte del contribuente, implica un riferimento alla complessiva posizione reddituale dell’intero nucleo familiare, per tale intendendosi esclusivamente la famiglia naturale, costituita dai coniugi conviventi e dai figli, soprattutto minori; la presunzione del concorso di tali soggetti alla produzione del reddito, che può fornire giustificazione agli indici rivelatori di maggiore capacità contributiva concretamente adoperati dall’Ufficio ai fini dell’accertamento sintetico, trovando fondamento nel vincolo che lega le predette persone, e non già nel mero fatto della convivenza, esclude infatti la possibilità di desumere da quest’ultima il possesso di redditi prodotti da un parente diverso o da un affine, in quanto tale estraneo al nucleo familiare.
1.2. La sentenza impugnata ha seguito tale interpretazione della normativa di riferimento tenendo in conto la complessiva produzione reddituale del nucleo familiare onde il motivo va disatteso.
2. Con il secondo motivo, rubricato violazione e falsa applicazione del reg.CEE 2078/1992; reg.CEE 1257/1999 e Piano di sviluppo rurale Sicilia 2000 misura F in relazione all’art. 360 n.3 c.p.c., la ricorrente deduce l’errore commesso dalla CTR siciliana nel non avere ritenuto redditi i contributi erogati dall’AIMA in quanto finalizzati alla copertura di perdite laddove, secondo la prospettazione difensiva, detti contributi avendo la funzione di perequare i minori ricavi conseguiti dagli agricoltori nelle aeree svantaggiate costituivano redditi esenti come tali idonei alla formazione del coacervo dei redditi del nucleo familiare.
2.1. Il motivo va rigettato per inconducenza rispetto al decisum. La sentenza impugnata non contiene l’argomentazione denunciata in ricorso avendo la CTR escluso tali contributi in quanto (testualmente) “non esente ed avente natura di reddito dominicale e come tale partecipe della massa imponibile e dichiarabile”.
3. Con il terzo ed il quarto motivo si deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione rispettivamente al n. 3 ed al n. 5 dell’art. 360 c.p.c.
4. I motivi, nella loro estrema genericità, sono inammissibili non contenendo alcuna specifica censura alla sentenza impugnata. L’inammissibilità dei mezzi si riverbera, con ulteriore sanzione di inammissibilità ex art. 366 bis c.p.c., sui quesiti posti a conclusione dei motivi così formulati: “Dica la Corte se sussiste il vizio di ultra o extra petizione del Giudice di appello allorché la decisione trascende i limiti della domanda segnati dal petitum in relazione alla causa petendi e cioè quando il Giudice abbia attribuito una cosa maggiore o diversa da quella richiesta, ovvero si sia basato su fatti non dedotti dalle parti” (per il terzo motivo); “Dica la Corte se ai sensi dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c. se si sono realizzati i vizi attinenti all’omissione di pronuncia, all’ultrapetizione ed extrapetizione che costituiscono “errori in procedendo” con conseguente ulteriore effetto di ultra e/o extrapetizione del Giudice dello Appello, allorché la decisione trascende i limiti della domanda segnati dal petitum in relazione alla causa petendi e cioè quando il Giudice abbia attribuito una cosa maggiore o diversa da quella richiesta ovvero si sia basato su fatti non dedotti dalle parti” (per il quarto motivo).
A parte la considerazione, con specifico riferimento al quarto motivo, dell’erroneità della sussunzione nel n. 5, 1 comma, dell’art. 360 c.p.c.
della violazione dell’art. 112 c.p.c., va rilevata l’inidoneità dei quesiti ex art. 366 bis c.p.c. nei termini (sopra trascritti) in cui sono stati formulati meramente ripetitivi dell’enunciato normativo, dovendo darsi seguito al principio secondo cui “con riferimento al quesito di diritto richiesto dall’art. 366 bis c.p.c., lo stesso è inadeguato, con conseguente inammissibilità dei relativi motivi di ricorso, quando, essendo la formulazione generica e limitata alla riproduzione del contenuto del precetto di legge, è inidoneo ad assumere quali rilevanza ai fini della decisione del corrispondente motivo, mentre la norma impone la ricorrente di indicare nel quesito l’errore di diritto della sentenza impugnata in relazione alla concreta fattispecie” (Corte Cass. SU 9.7.2008 n. 18759).
4. Con il ricorso incidentale l’Agenzia delle Entrate ed il Ministero dell’Economia e delle Finanze deducono, in relazione al n. 3 dell’art. 360 c.p.c., la violazione dell’art. 38 del d.p.r. n. 600/73 per avere la C.T.R. siciliana rideterminato il reddito accertato in assenza di prove di segno contrario da parte della contribuente.
4.1. Preliminarmente va dichiarata l’inammissibilità del controricorso e del ricorso incidentale del Ministero dell’Economia e delle Finanze essendo l’Agenzia delle Entrate, alla data in cui fu pronunciata la sentenza di appello (2.7.2007), unica titolare dei poteri giuridici strumentali all’adempimento delle obbligazioni tributarie in quanto successore a titolo particolare del Ministero in ordine a tali rapporti a decorrere dalla di relativa operatività e, peraltro, già formalmente unica parte in quel giudizio.
4.2 II motivo di ricorso incidentale, ritualmente proposto dall’Agenzia delle Entrate – il cui quesito non appare idoneo ai sensi delle prescrizioni di cui all’art. 366 bis c.p.c. per genericità ed essendo, anch’esso, limitato alla riproposizione del dettato normativo – è, comunque, inammissibile anche sotto diverso profilo. Con il mezzo, infatti, senza sollevare alcuna specifica censura ai sensi del n.5 dell’art. 360 c.p.c., si prospetta, inammissibilmente in questa sede, un diverso accertamento in fatto rispetto a quello compiuto dal Giudice di merito.
5. In conclusione, dichiarate le inammissibilità del ricorso principale proposto nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze e del ricorso incidentale proposto da quest’ultimo, vanno rigettati sia il ricorso principale proposto nei confronti dell’Agenzia delle Entrate che quello incidentale da quest’ultima proposto.
La reciproca soccombenza comporta la compensazione tra le parti delle spese processuali.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze ed il ricorso incidentale da questo proposto.
Rigetta il ricorso proposto nei confronti dell’Agenzia dell’Entrate ed il ricorso incidentale proposto da quest’ultima.
Compensa integralmente tra le parti le spese processuali.

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