Le dichiarazioni della persona offesa possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità del dichiarante e dell’attendibilità del suo racconto.

segue pagina antecedente
[…]

3.2.3.- Con specifico riferimento, infine, alla deposizione della persona offesa, va ripetuto che le dichiarazioni della persona offesa possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilita’ dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilita’ soggettiva del dichiarante e dell’attendibilita’ intrinseca del suo racconto, che, peraltro, deve, in tal caso, essere piu’ penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (ex plurimis, sez. un., 19 luglio 2012, n. 41461, Rv. 253214). In altri termini, la testimonianza della persona offesa, ove ritenuta intrinsecamente attendibile, costituisce una vera e propria fonte di prova, sulla quale puo’ essere, anche esclusivamente, fondata l’affermazione di colpevolezza dell’imputato, purche’ la relativa valutazione sia adeguatamente motivata. Tale principio di diritto vale, in particolare, proprio in tema di reati sessuali, l’accertamento dei quali passa, nella maggior parte dei casi, attraverso la necessaria valutazione del contrasto delle opposte versioni di imputato e parte offesa, soli protagonisti dei fatti, in assenza, non di rado, anche di riscontri oggettivi o di altri elementi atti ad attribuire maggiore credibilita’, dall’esterno, all’una o all’altra tesi (ex plurimis, sez. 5, 27 aprile 1999, n. 6910; sez. 4, 21 giugno 2005, n. 30422; sez. 3, 11 novembre 2010, n. 42501; sez. 3, 24 marzo 2011, n. 16577; sez. 3, 13 febbraio 2013, n. 28116).

Si tratta di principi che trovano applicazione, a fortiori, nel caso di specie, in cui – come si vedra’ – la prova della responsabilita’ penale dell’imputato e’ stata raggiunta non solo sulla base delle coerenti e precise dichiarazioni della persona offesa, ma, come sopra evidenziato, sulla base degli oggettivi riscontri alle stesse, rappresentati, in particolare, dalle testimonianze dei soggetti ai quali nel tempo i fatti erano stati riportati (in particolare le dichiarazioni di (OMISSIS) che ha confermato pienamente quanto riferito dalla persona offesa, raccontando di aver subito a sua volta molestie. V. terzultima pag. sentenza impugnata).

La sentenza impugnata, poi, ha escluso la rilevanza delle denunciate contraddizioni, ritenendo con logica motivazione che non riguardassero elementi essenziali del racconto e che costituissero indice di genuinita’ piuttosto che di calunniosa pre-costituzione dello stesso (v. ibidem, in relazione alla censura riproposta anche in sede di ricorso per cassazione) con cio’ conformandosi pienamente all’orientamento di legittimita’ in base al quale le contraddizioni intrinseche al narrato di uno stesso testimone o tra diverse dichiarazioni testimoniali devono essere valutate dal giudice in termini di rilevanza rispetto alla complessiva attendibilita’ e non possono essere prese in considerazione e valutate singolarmente. In altri termini, si puo’ pervenire a un giudizio di inattendibilita’ del testimone solo qualora l’incompatibilita’ tra le dichiarazioni del suo testimone e gli altri fronti probatorie vertono su elementi essenziali della deposizione e non su elementi di contorno, relativamente ai quali appare ragionevolmente probabile che il teste sia caduto in errore di percezione o ricordo, senza per questo perdere la credibilita’ complessiva (ex plurimis, sez. 1, 11 giugno 1992, n. 6911; sez. 6, 12 novembre 2003, n. 7180, Rv. 228013; sez. 4, 10 ottobre 2006, n. 35984, Rv. 234830; sez. 3, 13 febbraio 2013, n. 28116).

4.- La sentenza impugnata non presenta dunque i vizi denunciati con il primo e il terzo motivo, ed ha correttamente applicato i principi sviluppati dal diritto vivente, enucleando nell’ambito del compendio probatorio, gli elementi ritenuti rilevanti ai fini dell’affermazione della responsabilita’ penale dell’imputato, evidenziandone motivatamente la decisivita’, e confutando ogni deduzione difensiva circa la presenza di imprecisioni o contraddizioni, intrinseche ed estrinseche, nel narrato della vittima, che qui riproposte risultano inammissibili.

5.- Manifestamente infondati sono anche i residui motivi di ricorso.

5.2.- Il secondo motivo, in particolare, con il quale il ricorrente evidenzia una nullita’ della sentenza impugnata, quando, nel riconoscere la correttezza della applicazione dell’istituto della continuazione, richiama l’articolo 609 quinquies c.p., con riferimento al fatto originariamente contestato quale corruzione di minore e riqualificato gia’ in primo grado, lo stesso risulta manifestamente infondato, giacche’ dalla mera lettura della sentenza (cfr. pag. 10) emerge che la Corte intendesse il riferimento al fatto per come poi riqualificato, non emergendo quindi alcuna rilevante contraddizione, peraltro le cui conseguenze non sono neppure vagamente enunciate nella generica doglianza.

5.3.- Del pari il terzo motivo, ove del tutto genericamente, il ricorrente si duole che la Corte abbia ritenuto, contestata in fatto, la aggravante di cui all’articolo 61 c.p., n. 11, affermando egli stesso che la frequentazione, pure se definita saltuaria e senza obbligo familiare, sussisteva.

5.4.- Infine manifestamente infondati sono gli ultimi due motivi di ricorso, sostanzialmente sovrapponibili perche’ denuncianti motivazione illogica e contraddittoria nella sentenza che, per un verso, riconosce le circostanze attenuanti generiche sia pure non prevalenti e, per altro verso, non ravvisa il mancato riconoscimento dell’attenuante di reato “di minore gravita’”.

Appare al riguardo opportuno ricordare che la valutazione dei vari elementi rilevanti ai fini della dosimetria della pena rientra nei poteri discrezionali del giudice il cui esercizio (se effettuato nel rispetto dei parametri valutativi di cui all’articolo 133 c.p., come nel caso di specie) e’ censurabile in cassazione solo quando sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico. Cio’ che qui deve senz’altro escludersi (sez. 2, n.45312 del 03/11/2015; sez. 4 n.44815 del 23/10/2015) avendo il giudice riconosciuto le circostanze attenuanti generiche, sia pure non prevalenti, con congrua motivazione, ossia in considerazione della natura del fatto (segnatamente valorizzando, unitamente agli altri elementi considerati, la circostanza che la violenza non avesse raggiunto le sue estreme conseguenze), e con adeguata motivazione, tuttavia, ritenuto al tempo stesso, che i fatti, per le loro caratteristiche (avendo dovuto subire la minore palpeggiamenti e partecipare ad atti di autoerotismo) non potessero essere considerati di minore gravita’.

6. Conclusivamente, una volta accertata la legittimita’ e la coerenza logica della sentenza impugnata, deve ritenersi che il ricorso, nel rappresentare l’inaffidabilita’ degli elementi posti a base della decisione di merito, pone solo questioni che esorbitano dal limiti della critica al governo dei canoni di valutazione della prova, per tradursi nella prospettazione del fatto storico alternativa a quella fatta argomentatamente propria dai giudicanti e nell’offerta di una diversa (e per il ricorrente piu’ favorevole) valutazione delle emergenze processuali e del materiale probatorio. Questioni, queste, che sfuggono al sindacato di legittimita’ (sez. 6, n. 13170 del 06/03/2012).

7. – Il ricorso deve essere, dunque, dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte Costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’”, alla declaratoria dell’inammissibilita’ medesima consegue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonche’ quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 2000,00. L’imputato deve essere anche condannato al rimborso delle spese sostenute nel presente grado di giudizio dalla parti civile, da liquidarsi in Euro 4200,00, oltre accessori di legge.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2000,00 in favore della Cassa delle ammende, nonche’ alla rifusione delle spese di parte civile che si liquidano in complessivi Euro 4200,00, oltre 15% per spese generali e accessori di legge.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita’ e gli altri dati identificativi a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *