Corte di Cassazione, sezione terza penale, sentenza 12 settembre 2017, n. 41555. Omicidio colposo per il titolare dell’hotel che non fa attenta manutenzione dello scaldabagno

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3.1. La Corte di appello di Perugia ha giustificato la propria decisione richiamando, in premessa, gli argomenti utilizzati dalla Corte di appello di Roma che, nel ribaltare la pronuncia assolutoria di primo grado, aveva sottolineato l’obbligo (non assolto dal titolare dell’albergo) di verificare, prima di consentirne l’uso, che lo scaldabagno non costituisse insidia per gli ospiti della stanza in cui esso era installato e di avvisare il responsabile della ditta incaricata dei lavori di ristrutturazione ed il direttore dei lavori dell’esistenza di un foro e di informarli altresi’ che lo stesso aveva la specifica funzione, solo a lui nota perche’ non immediatamente riconoscibile all’esterno, di scarico dei gas combusti provenienti dall’impianto scaldacqua installato nella stanza occupata dalle vittime (cosi’ anche la sentenza di questa Corte, Sez. 4, n. 39581 del 17/05/2007). Da tali premesse la Corte di appello ha tratto la conseguenza della irrilevanza della nuova prova proposta in quanto non idonea a inficiare il primo argomento di condanna (l’obbligo di verificare la fonte di pericolo prima del suo uso) di per se’ sufficiente. Questa Suprema Corte – si legge nell’ordinanza – aveva infatti chiaramente affermato che la sussistenza di tale obbligo prescindeva dalla concomitante esecuzione dei lavori di ristrutturazione in conseguenza dei quali il foro era stato chiuso dall’impresa.

3.2. La Corte di appello affronta anche ulteriori aspetti della vicenda come l’inadeguatezza, sotto vari profili, dell’impianto di scarico dello scaldabagno indipendentemente dall’installazione di una canna fumaria, argomento sostengono i Giudici distrettuali – non affrontato nell’istanza di revisione e gia’ valutato ai fini della pronuncia di inammissibilita’ di precedenti analoghe istanze cosi’ che anche la questione relativa alla dedotta rimozione, ad opera dell’impresa esecutrice dei lavori, della canna fumaria che, secondo le deduzioni del ricorrente, avrebbe consentito la regolare fuoriuscita all’esterno dei gas di scarico, non ha alcuna rilevanza.

3.3. La (nuova) testimone ha infatti affermato che l’impresa esecutrice dei lavori il 17/02/1995 aveva rimosso la canna fumaria che recapitava all’esterno i fumi dello scaldabagno introducendo cosi’ – secondo le deduzioni difensive – un elemento in grado di alterare a suo favore il quadro probatorio sul quale si era formato il giudizio di condanna, un quadro che presupponeva, invece, un’incolpevole chiusura del foro da parte dell’impresa stessa.

3.4. Sennonche’, richiamando quanto gia’ affermato dalla Corte di appello di Roma con la sentenza di condanna, la Corte di appello di Perugia sottolinea che la responsabilita’ del (OMISSIS) “non poteva venir meno neanche a motivo dell’intervento di terzi nelle opere di installazione” e cio’ proprio per il suo obbligo di accertarsi che la caldaia, prima dell’uso, non costituisse fonte di pericolo. Per cui, anche se si accertasse che la canna fumaria era stata effettivamente rimossa dall’impresa esecutrice dei lavori, cio’ non avrebbe inciso sulla autonoma responsabilita’ del (OMISSIS) che avrebbe dovuto comunque verificare che l’uso della stanza avvenisse in condizioni di sicurezza e cio’ a prescindere dall’ulteriore rilievo che, come sostiene la Corte di appello, “l’irregolarita’ dell’impianto di scarico dei fumi riferibile al (OMISSIS) andrebbe comunque a costituire a suo carico un profilo gravemente colposo, di rilievo nella causazione dei tragici eventi”.

3.5. Il ricorrente si lamenta del fatto che cosi’ facendo la Corte territoriale ha anticipato il giudizio riservato alla fase del merito, arrogandosi competenze che non le appartengono: “la Corte territoriale considerando la sussistenza di una responsabilita’ oggettiva del condannato pur sempre esistente, collegato all’obbligo di verifica degli impianti prima dell’uso da parte di terzi ed al difettoso funzionamento dell’impianto di scarico, non puo’ esimersi dal compiere approfonditi apprezzamenti di merito, al fine di escludere l’idoneita’ contestualizzata delle testimonianze assunte ritenendole inadatte a sostenere la richiesta di revisione”. E’ certamente vero che il giudice della fase rescindente non puo’ effettuare una valutazione della prova tipica della fase di merito riservata al contraddittorio, posto che l’accertamento della corrispondenza a vero del fatto da provare e’ riservato alla fase rescissoria (articolo 631 c.p.p.), sicche’ sono estranee a questa fase le valutazioni di attendibilita’ del testimone erroneamente effettuate dalla Corte di appello di Perugia.

3.6. Il punto, pero’, e’ un altro. Quel che sostiene l’ordinanza impugnata e’ l’indifferenza delle ragioni della condanna al (nuovo) argomento di prova, posto che, quand’anche si provasse che la canna fumaria era stata effettivamente tolta dall’impresa, resterebbe il dato indiscusso e non contestato della inidoneita’ dell’impianto a recapitare correttamente i fumi fuori dalla stanza e della violazione dell’obbligo di accertare che l’uso della stessa avvenisse in sicurezza. Il ricorrente lamenta che in realta’ la inidoneita’ dell’impianto a recapitare i fumi all’esterno, considerato l’uso precedente della caldaia, non assurgerebbe a causa esclusiva dell’evento provocato invece dall’inopinata chiusura del foro. Osserva questa Corte che tale ragionamento non tiene in debita considerazione il lungo lasso di tempo intercorso tra la dedotta rimozione della canna e l’evento letale, oltre un mese di tempo, di per se’ idoneo a non privare di valido sostrato fattuale l’obbligo (violato) di garantire l’uso in sicurezza della stanza occupata dai due turisti americani. Stando infatti alle stesse deduzioni difensive, l’eliminazione di tale canna fumaria non costitui’ un evento inatteso ed imprevisto perche’ rientrava nell’ambito dei lavori di ristrutturazione dello stabile nel quale si trovava l’hotel. La nuova prova, dunque, non altera le basi fattuali del rapporto di causalita’ tra la condotta omissiva del ricorrente e l’evento letale ma comporterebbe, semmai, l’estensione della responsabilita’ anche ad altre persone, senza escludere la propria. Ne risulta, piuttosto, rafforzato l’obbligo di avvisare l’impresa di non chiudere il foro, e cio’ benche’: a) non ne fosse nota solo a lui la funzione, visto che la rimozione della canna fumaria ad opera di terzi non lo esonerava in ogni caso dal dovere di consentire l’uso della stanza in condizioni di sicurezza; b) l’impianto non fosse in ogni caso a norma, con conseguente affermata irrilevanza dell’eventuale intervento di terzi.

4. Alla declaratoria di inammissibilita’ del ricorso consegue, ex articolo 616 c.p.p., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l’onere delle spese del procedimento nonche’ del versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 2.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

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