Corte di Cassazione, sezione terza civile, sentenza 13 ottobre 2017, n. 24074. In caso di prestazione professionale medico-chirurgica di “routine”

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Occorre premettere che deve ritenersi definitivamente acquisito nella giurisprudenza di legittimita’ (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 18513 del 03/09/2007; id. Sez. 3, Sentenza n. 7237 del 30/03/2011; id. Sez. 3, Sentenza n. 20984 del 27/11/2012; id. Sez. 3, Sentenza n. 25764 del 15/11/2013; id. Sez. 3, Sentenza n. 14642 del 14/07/2015) che la manifestazione del consenso informato alla prestazione sanitaria, costituisce esercizio di un autonomo diritto soggettivo all’autodeterminazione, riferito alla persona fisica (la quale in piena liberta’ e consapevolezza sceglie di sottoporsi a terapia farmacologica o ad esami clinici e strumentali, o ad interventi o trattamenti anche invasivi, laddove comportino costrizioni o lesioni fisiche ovvero alterazioni di natura psichica, in funzione della cura e della eliminazione di uno stato patologico preesistente o per prevenire una prevedibile patologia od un aggravamento della patologia futuri), che – se pure connesso – deve essere tuttavia tenuto nettamente distinto – sul piano del contenuto sostanziale – dal diritto alla salute, ossia dal diritto del soggetto alla propria integrita’ psico-fisica (cfr. Corte costituzionale, sentenza 23.12.2008 n. 438 “….il consenso informato, inteso quale espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico, si configura quale vero e proprio diritto della persona e trova fondamento nei principi espressi nell’articolo 2 Cost., che ne tutela e promuove i diritti fondamentali, e negli articoli 13 e 32 Cost., i quali stabiliscono, rispettivamente, che “la liberta’ personale e’ inviolabile”, e che “nessuno puo’ essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”. La circostanza che il consenso informato trova il suo fondamento negli articoli 2, 13 e 32 Cost. pone in risalto la sua funzione di sintesi di due diritti fondamentali della persona: quello all’autodeterminazione e quello alla salute, in quanto, se e’ vero che ogni individuo ha il diritto di essere curato, egli ha, altresi’, il diritto di ricevere le opportune informazioni in ordine alla natura e ai possibili sviluppi del percorso terapeutico cui puo’ essere sottoposto, nonche’ delle eventuali terapie alternative; informazioni che devono essere le piu’ esaurienti possibili, proprio al fine di garantire la libera e consapevole scelta da parte del paziente e, quindi, la sua stessa liberta’ personale, conformemente all’articolo 32, secondo comma, della Costituzione….”). Al diritto indicato corrisponde l’obbligo del medico (di fonte contrattuale o derivante dalla analoga obbligazione ex lege che comporta il cd. “contatto sociale”: cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 2847 del 09/02/2010) di fornire informazioni dettagliate, in quanto strettamente strumentale a rendere consapevole il paziente della natura dell’intervento medico e/o chirurgico, della sua portata ed estensione, dei suoi rischi, dei risultati conseguibili e delle possibili conseguenze negative (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 20984 del 27/11/2012; id. Sez. 3, Sentenza n. 27751 del 11/12/2013). Con la conseguenza che, in applicazione della regola del riparto dell’onere della prova, viene a gravare sul medico, in caso di contestazione del paziente, la dimostrazione di aver fornito tutte le indicazioni necessarie a compiere la scelta consapevole, e dunque di aver correttamente adempiuto all’obbligo informativo preventivo (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 20984 del 27/11/2012; id. Sez. 3, Sentenza n. 19220 del 20/08/2013), mentre, nel caso in cui tale prova non venga fornita e dunque sussista inadempimento colpevole (il cui accertamento e’ del tutto indipendente dalla corretta esecuzione della terapia somministrata o dell’intervento chirurgico o dall’eventuale danno alla salute ad essi conseguito), occorrera’ distinguere ai fini della valutazione della fondatezza della domanda risarcitoria proposta dal paziente, l’ipotesi in cui alla omessa informazione (od al consenso non idoneamente acquisito dal paziente: Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 24791 del 08/10/2008) sia conseguito un danno alla salute che costituisca esito non attendibile dalla prestazione tecnica se correttamente eseguita – e quindi imputabile a colpa professionale -, nel qual caso la mancanza del consenso informato si inserira’ nella serie causale produttiva del danno non patrimoniale, dalla ipotesi in cui, invece, il peggioramento della salute corrisponda ad un rischio attendibile e cioe’ ad un esito infausto prevedibile “ex ante” nonostante la esatta esecuzione della prestazione tecnica-sanitaria che si rendeva comunque necessaria, nel qual caso, ai fini dell’accertamento del danno, gravera’ sul paziente l’onere della prova, anche tramite presunzioni, che il danno alla salute e’ dipeso causalmente dal fatto che, ove compiutamente informato, egli avrebbe verosimilmente rifiutato l’intervento, non potendo altrimenti ricondursi all’inadempimento dell’obbligo di informazione alcuna rilevanza causale sul danno alla salute (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 2847 del 09/02/2010; id. Sez. 3, Sentenza n. 20984 del 27/11/2012, secondo cui “il rispetto dell’autodeterminazione del paziente – che e’ cio’ che si vuole tutelare, con il conseguente risarcimento del danno per mancato consenso – deve essere valutato in concreto, tenendo presenti le reali possibilita’ di scelta che si ponevano di fronte al paziente, nel caso in cui fosse stato adeguatamente informato”).
Orbene, tanto premesso, la censura deve essere ritenuta inammissibile, atteso che la ricorrente non viene a censurare una carenza del minimo costituzionale richiesto per la motivazione dei provvedimenti giurisdizionali dall’articolo 111 Cost., comma 6, ma viene a richiedere alla Corte una nuova non consentita rivalutazione del materiale probatorio gia’ esaminato dal Giudice di appello: non viene, infatti, dedotto alcun fatto storico decisivo, non considerato dal Giudice di appello, ma solo una diversa valutazione degli elementi indiziari. Inoltre la censura difetta comunque di autosufficienza in quanto la ricorrente neppure allega che l’intervento chirurgico non era indicato come necessario, ne’ che, qualora fosse stata adeguatamente informata, avrebbe con certezza – di elevato grado probabilistico – rifiutato di sottoporsi all’intervento chirurgico, circostanze di fatto indimostrate e che, secondo la richiamata giurisprudenza di questa Corte, devono intendersi determinanti ai fini del riconoscimento del diritto al risarcimento del danno alla salute.
In conclusione il ricorso trova accoglimento limitatamente alla censura riportata in motivazione sub lettera a) – relativa a vizio di apparente motivazione della sentenza impugnata in ordine alla esclusione di responsabilita’ contrattuale e da contatto sociale, per danno alla salute, determinato da lesione iatrogena della via biliare principale -; inammissibili le altre censure; la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione alla censura accolta, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Palermo, in diversa composizione, per nuovo esame e liquidazione, all’esito, anche delle spese del giudizio di legittimita’.
P.Q.M.
accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione; cassa la sentenza in relazione alla censura accolta; rinvia alla Corte di appello di Palermo, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimita’.
Dispone che, in caso di utilizzazione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalita’ di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa la indicazione delle generalita’ e degli altri dati identificativi di (OMISSIS) riportati nella sentenza.

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