Corte di Cassazione, sezione terza civile, sentenza 12 dicembre 2017, n. 29640. La natura diffamatoria di una articolo non si evince sulla base di una “lettura atomistica” delle singole espressioni

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RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Col primo motivo, il ricorrente denuncia la “violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 595 c.p. con riferimento al pacifico principio di diritto (diritto vivente) relativo alla valutazione necessariamente complessiva e globale dello scritto ritenuto diffamatorio”, nonche’ la “violazione dell’articolo 132 c.p.c., n. 4, sotto il profilo della mancanza di motivazione in ragione della sua incoerenza per manifesta illogicita’”.
Il (OMISSIS) censura la sentenza nella parte in cui ha accolto il motivo di appello “relativo alla misura sproporzionata della liquidazione come effettuata dal Tribunale” ed evidenzia che, al fine di valutare l’entita’ e la gravita’ del fatto diffamatorio, la Corte avrebbe dovuto apprezzare l’articolo nella sua integralita’, considerando le specifiche notizie riferite al ricorrente anche alla luce del titolo e del sottotitolo (che trascrive a pagg. 1 e 5 del ricorso); assume pertanto che si era determinato un inammissibile “travisamento” del fatto come accertato e sanzionato dal giudicato penale, cui si era associata la “mancanza (per manifesta “incoerenza”) della motivazione”.
1.1. Il motivo e’ fondato.
La sentenza impugnata ha basato la riduzione del risarcimento sul rilievo che la notizia era “riportata in poche righe riferite specificamente all’odierno appellato, e quindi non con particolare enfasi, il che contribuisce a ridurre notevolmente la gravita’ del fatto e quindi del danno, in quanto la eco della sua diffusione e’ cosi’ evidentemente limitata”.
Cosi’ facendo, la Corte ha tuttavia (OMISSIS)to il criterio – consolidato (cfr., per tutte, Cass. n. 25157/2008 e Cass. n. 9746/2000) – secondo cui la natura diffamatoria di un articolo non dev’essere apprezzata sulla base di una lettura atomistica delle singole espressioni, ma con riferimento all’intero contesto della comunicazione, comprensiva di titoli e sottotitoli e di tutti gli altri elementi che “rendono esplicito, nell’immediatezza della rappresentazione e della percezione visiva, il significato di un articolo, e quindi idonei, di per se’, a fuorviare e suggestionare i lettori piu’ frettolosi” (Cass. n. 20608/2011 cit.), dovendosi dunque riconoscere particolare rilievo alla titolazione dell’articolo, in quanto il titolo e’ “specificamente idoneo, in ragione della sua icastica perentorieta’, ad impressionare e fuorviare il lettore, ingenerando giudizi lesivi dell’altrui reputazione” (Cass. n. 18769/2013).
Tale criterio, ancorche’ affermato in funzione dell’accertamento della natura diffamatoria di una comunicazione, non puo’ non valere anche al fine di apprezzare la gravita’ dell’offesa alla reputazione ai fini della liquidazione del danno e risulta violato laddove, come nel caso in esame, il giudice di merito abbia mostrato di considerare esclusivamente il contenuto della notizia relativa al singolo diffamato (l’articolo “in senso stretto”), a prescindere dal contesto complessivo in cui la stessa si colloca, quale delineato – innanzitutto – dai titoli e dai sottotitoli.
In accoglimento della censura, deve quindi disporsi che la Corte di rinvio riesamini i profili liquidatori avendo presente il contesto complessivo dell’articolo, alla luce dei principi sopra richiamati.
2. Col secondo motivo (che deduce la violazione o falsa applicazione dell’articolo 2043 cod. civ. e la violazione dell’articolo 132 c.p.c., n. 4), premesso di avere richiesto il risarcimento con riferimento alla “duplice componente” del pregiudizio alla reputazione e all’immagine professionale e del pregiudizio afferente al turbamento psichico, il ricorrente si duole che la Corte abbia sostanzialmente omesso di valutare il secondo profilo di danno, pur nell’ambito della valutazione globale prevista da Cass., S.U. n. 26972/2008.
2.1. Il terzo motivo denuncia la “violazione dell’articolo 132 c.p.c., n. 4 sotto il profilo della mancanza assoluta di motivazione” in relazione al rigetto del secondo motivo dell’appello incidentale, con cui il (OMISSIS) si era doluto della liquidazione degli interessi “dalla data della sentenza” anziche’ dalla data dell’illecito.
2.2. Entrambe le censure, afferenti alla concreta quantificazione del danno e degli accessori, restano assorbite dall’accoglimento del primo motivo.
3. Col quarto motivo (che denuncia la violazione della L. n. 47 del 1948, articolo 12 e dell’articolo 132 c.p.c., n. 4), il ricorrente censura la Corte di merito per avere ritenuto che la sanzione di cui alla L. n. 47 del 1948, articolo 12 sia applicabile soltanto in sede penale e non anche in quella civile e per avere conseguentemente escluso la sanzione pecuniaria che il Tribunale aveva applicato al (OMISSIS).
3.1. Al riguardo, la Corte ha richiamato Cass. n. 17395/2007, secondo cui “la sanzione pecuniaria prevista dalla L. n. 47 del 1948, articolo 12 aggiuntiva e non sostitutiva del risarcimento del danno stesso, presuppone la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi del delitto di diffamazione, sicche’ non puo’ essere comminata alla societa’ editrice e puo’ essere irrogata nei confronti del direttore responsabile, purche’ la sua responsabilita’ sia dichiarata per concorso doloso nel reato di diffamazione e non per omesso controllo colposo della pubblicazione diffamatoria”.
3.2. Il motivo e’ fondato.
Va premesso che il precedente di legittimita’ richiamato dalla sentenza e’ del tutto inconferente rispetto al motivo di appello e alla statuizione adottata dalla Corte, giacche’ si limita a ribadire il principio – consolidato – secondo cui la sanzione non puo’ applicarsi all’editore e al direttore responsabile che, senza concorrere nella diffamazione, abbia colposamente omesso il controllo sulla pubblicazione, ma non pone in dubbio che il giudice civile possa applicare la sanzione al giornalista (cosi’ come era stato fatto dal primo giudice, che aveva condannato il solo (OMISSIS) alla riparazione pecuniaria aggiuntiva).
Tanto premesso, deve ritenersi che, sebbene presupponga l’accertamento di una condotta diffamatoria commessa a mezzo stampa, non sussistano indici normativi o ragioni sistematiche per ritenere che la riparazione pecuniaria di cui alla L. n. 47 del 1948, articolo 12 non possa essere applicata all’esito del giudizio civile (nell’ambito del quale si terra’ conto dell’eventuale giudicato penale sulla diffamazione o si procedera’ ad autonomo accertamento sulla sussistenza degli elementi costitutivi del reato), dovendosi pertanto escludere che la pronuncia sia riservata al giudice penale.
Va dunque superato l’opposto (isolato) orientamento espresso da Cass. n. 2300/1965, basato sulla considerazione che l’articolo 12 prevede “una sanzione non destinata a risarcire il danno, ma a rafforzare la repressione penale, e, in quanto tale (…) inscindibilmente collegata con la pena”; invero, la successiva giurisprudenza di legittimita’ non ha mai dubitato della possibilita’ di disporre la riparazione pecuniaria nell’ambito del giudizio risarcitorio civile (la stessa Cass. n. 17395/2007 si e’ limitata ad escludere la sanzione per l’editore, confermandola per il resto) e non ha mancato di rimarcare che la riparazione “integra una ipotesi eccezionale di pena pecuniaria privata prevista per legge, che come tale puo’ aggiungersi al risarcimento del danno autonomamente liquidato a favore del danneggiato” (Cass. n. 14761/2007).
4. Accolti, pertanto, il primo ed il quarto motivo e dichiarati assorbiti il secondo e il terzo, deve disporsi la cassazione della sentenza, con rinvio alla Corte di merito, che provvedera’ anche sulle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e il quarto motivo, dichiarando assorbiti il secondo e il terzo, cassa e rinvia, anche per le spese di lite, alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione.

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