Corte di Cassazione, sezione terza civile, ordinanza 30 novembre 2017, n. 28652. La responsabilità presunta ex art. 2052 c.c.

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Con il primo motivo denunciano l’inosservanza e/o erronea applicazione dell’art. 2052 c.c., nella parte in cui la sentenza non avrebbe dato conto dell’effetto interruttivo del rapporto causale tra il fatto dell’animale ed il danno, da attribuire alla omessa vigilanza della nonna sul nipotino. Tale comportamento omissivo avrebbe determinato l’interruzione del nesso di causalità, con superamento della presunzione di responsabilità in capo ai proprietari del cane. Il motivo è inammissibile, ai sensi dell’art. 360 bis n. 1 c.p.c, in quanto la sentenza impugnata ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte, in assenza di motivi per confermare o mutare l’orientamento della medesima.
Nell’ambito dell’istruttoria si è accertata la mancanza di una copertura assicurativa dei proprietari del cane, circostanza che ha consolidato il giudice d’appello nel convincimento della prevalente responsabilità dei medesimi nella produzione del danno. A prescindere da tale aspetto occorre ribadire che, ai sensi dell’art. 2052 c.c., la responsabilità dei proprietari dell’animale è presunta, fondata non sulla colpa ma sul rapporto di fatto con l’animale, di guisa che il proprietario risponde in ogni caso e in toto per i danni cagionati al terzo, a meno che non dia la prova del fortuito. Se la prova non è fornita, il giudice deve condannare il proprietario dell’animale ai danni per l’intero (Cass., 3, n. 6454 del 19/3/2007; Cass., 3, n. 7260 del 22/3/2013; Cass., 3, n. 17091 del 28/7/2014; Cass., 3, n. 10402 del 20/5/2016 ).

La sentenza impugnata, nell’accertare la prevalente responsabilità dei proprietari del cane, con una quota minore riservata alla nonna per omessa vigilanza sul minore, è del tutto conforme alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, sicché il motivo è inammissibile. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano l’inosservanza e/o erronea applicazione dell’art. 2059 c.c. in cui la sentenza sarebbe incorsa nel liquidare, in forma equitativa, il danno non patrimoniale in favore dei genitori del danneggiato, in misura eccessiva e disancorata da effettivi elementi fattuali. Anche il secondo motivo è inammissibile sia perché richiede un riesame del merito, inaccessibile in questa sede, sia perché l’impugnata sentenza ha giudicato in modo conforme alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, e dunque ai sensi dell’art. 360 bis n. 1 c.p.c. L’impugnata sentenza ha liquidato il danno morale, richiesto iure proprio dai genitori, quale danno non patrimoniale, nell’ampia accezione ricostruita da questa Corte a Sezioni Unite, con la sentenza n. 26972 dell’11/11/2008 ed ha ritenuto che il risarcimento debba essere integrale e liquidato in via equitativa, con ristoro tanto più elevato quanto più grave è la lesione riportata dalla vittima e la doverosità dell’assistenza familiare e del sacrificio totale ed amorevole verso il macroleso.
La sentenza è conforme alla consolidata giurisprudenza di questa Corte (Cass., 3, n. 5067 del 3/3/2010; Cass., 3, n. 24143 del 29/11/2010) che, a partire dalla sentenza “quadro” delle Sezioni Unite n. 26972 del 2008, ha distinto il danno in tre categorie biologico, morale ed esistenziale, ha valorizzato la terza specie di danno, quale danno non patrimoniale inteso quale lesione del fare a-reddittuale della persona, alterazione delle sue abitudini di vita e degli assetti relazionali ad esso propri, sconvolgimento della sua quotidianità e privazione di occasioni per la realizzazione della sua personalità secondo le garanzie costituzionali.
Conclusivamente il ricorso è dichiarato inammissibile con condanna dei ricorrenti alle spese e al raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna i ricorrenti alle spese del giudizio, liquidate in Euro 8.200 (oltre Euro 200 per esborsi), più accessori e spese generali al 15%. Ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del co. I-bis dello stesso art. 13.

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