Ai sensi dell’art. 2901, comma 3, c.c. non è soggetto a revoca l’adempimento di un debito scaduto. L’esenzione trova la sua ragione nella natura di atto dovuto della prestazione del debitore

Corte di Cassazione, sezione terza civile, ordinanza 20 aprile 2018, n. 9816.

Ai sensi dell’art. 2901, comma 3, c.c. non è soggetto a revoca l’adempimento di un debito scaduto. L’esenzione trova la sua ragione nella natura di atto dovuto della prestazione del debitore, una volta che si siano verificati gli effetti della mora ex art. 1219 c.c., e deve essere estesa alla alienazione di un bene eseguita per reperire la liquidità necessaria all’adempimento di un proprio debito, purché essa rappresenti il solo mezzo per lo scopo, poiché in tale ipotesi la vendita si pone in un rapporto di strumentalità necessaria con un atto dovuto, che vale ad escludere il carattere di atto di disposizione pregiudizievole per i creditori richiesto per la revoca. La prova dell’unicità del mezzo deve essere fornita dal debitore/venditore, tenendo conto dei principi generali che regolano il riparto degli oneri probatori, fra i quali deve essere ricompreso anche il c.d. “principio di non contestazione” declinato, in suo favore, nel senso di non ritenerlo onerato della prova di fatti a lui favorevoli già allegati dalla controparte.

Ordinanza 20 aprile 2018, n. 9816
Data udienza 11 gennaio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI AMATO Sergio – Presidente

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11451/2015 proposto da:

(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato MAURIZIO LATTANZIO giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

(OMISSIS) SPA, in persona del Presidente del C.d.A. Dott. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1969/2014 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 03/11/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/01/2018 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO.

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che:

1. La (OMISSIS) (da ora Cassa) convenne in giudizio dinanzi al locale Tribunale i coniugi (OMISSIS) e (OMISSIS) per sentir dichiarare, fra le altre cose, la simulazione assoluta del contratto di compravendita fra loro stipulato in data 30.11.2005 ed avente per oggetto il trasferimento del 50% dell’immobile di proprieta’ dello (OMISSIS) in favore della moglie (OMISSIS), titolare della restante quota, ed in via subordinata la revoca del medesimo ex articolo 2901 c.c., n. 1: premetteva che in data 5.3.2001 lo (OMISSIS) aveva rilasciato una fideiussione omnibus a garanzia del contratto di conto corrente stipulato da (OMISSIS) con la stessa Cassa, e che, a seguito del fallimento di quest’ultimo, era stato richiesto un decreto ingiuntivo nei confronti del fideiussore (OMISSIS) per il recupero del saldo passivo del predetto conto corrente; ed assumeva che rispetto a cio’ il trasferimento della quota dell’immobile doveva essere ricondotto all’intento distrattivo denunciato.

2. I convenuti si costituirono eccependo la regolarita’ dell’atto di compravendita ed il pagamento del prezzo fissato attraverso la stipula, da parte della (OMISSIS), di un mutuo ipotecario con la (OMISSIS) Spa: ritenendo insussistenti i presupposti di entrambe le domande proposte, in ragione del fatto che la vendita della quota dell’immobile era stata determinata dalla necessita’ di estinguere un debito contratto nel 2000 dallo (OMISSIS) con l’Istituto (OMISSIS) (che aveva iscritto ipoteca sull’immobile ed aveva gia’ proceduto a pignoramento immobiliare), ne chiedevano il rigetto assumendo che, in relazione alla revocatoria proposta, ricorresse l’ipotesi di cui all’articolo 2901 c.c., comma 3.

3. Il Tribunale di Asti ha respinto entrambe le domande della (OMISSIS).

4. La Corte d’Appello di Torino ha confermato il rigetto della domanda di simulazione assoluta, accogliendo invece la domanda di revocatoria.

5. I coniugi (OMISSIS) – (OMISSIS) ricorrono per la cassazione della predetta sentenza affidandosi a tre motivi, illustrati da memoria ex articolo 380 bis c.p.c..

6. La Cassa ha resistito con controricorso.

Considerato che:

1. con il primo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione, ex articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5, del principio di non contestazione, ricondotto all’articolo 111 Cost., articoli 115, 116 e 167 c.p.c., e articolo 2697 c.c., i ricorrenti lamentano, sotto il primo profilo, che la Corte d’appello aveva erroneamente applicato le norme sopra indicate ponendo a loro carico un improprio onere probatorio, visto che le stesse allegazioni della Cassa contenute nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado – in cui era stata denunciata la sua condizione di impossidenza e l’unicita’ del bene oggetto di disposizione – dovevano indurre a ritenere provata, senza necessita’ di ulteriori dimostrazioni la circostanza, non solo incontestata ma perfino ammessa, che era impossibile saldare il debito precedente senza vendere la quota della casa di cui era contitolare. Si dolgono, inoltre, in relazione al secondo profilo di censura (articolo 360 c.p.c., n. 5), del fatto che la Corte non aveva esaminato la documentazione da loro prodotta dalla quale risultava sia che gli altri immobili di proprieta’ erano stati sottoposti a procedimenti esecutivi, sia che il credito dell’Istituto (OMISSIS) (al quale, anche, era conseguito un pignoramento immobiliare) era antecedente alla fideiussione prestata, sia che la somma ad esso corrispondente era stata pagata nella medesima data della stipula del contratto di vendita sub iudice.

2. Con il secondo motivo, inoltre, i ricorrenti deducono la violazione, ex articolo 360 c.p.c., n. 3, degli articoli 1298, 1854, 2727 e 2729 c.c.: lamentano, al riguardo, che la Corte d’appello aveva erroneamente ritenuto come non dimostrato che il prezzo pagato dalla (OMISSIS) fosse effettivamente servito per estinguere il debito scaduto, facendo derivare dalla cointestazione del conto dove era confluito il danaro versato dall’ (OMISSIS) Spa l’impossibilita’ di determinare, con certezza, l’imputazione allo (OMISSIS) dell’effettivo utilizzo della corrispondente somma per l’adempimento in favore dell’istituto di credito torinese.

3. Con il terzo motivo i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione dell’articolo 2901 c.c., lamentando che erano stati erroneamente ritenuti sussistenti gli elementi costitutivi della revocatoria, nonostante che la progressione cronologica degli eventi fosse idonea a smentirli e che, comunque, l’appellante, onerata, non avesse fornito al riguardo alcuna concreta dimostrazione.

4. Le eccezioni sollevate dalla controricorrente Cassa astigiana, concernenti l’inammissibilita’ del ricorso per erronea sussunzione dei vizi dedotti e per sostanziale richiesta di un riesame del merito della controversia, devono essere respinte, in quanto, in ordine al primo profilo, questa Corte ha reiteratamente affermato che “ai fini dell’ammissibilita’ del ricorso per cassazione, non costituisce condizione necessaria la corretta menzione dell’ipotesi appropriata, tra quelle in cui e’ consentito adire il giudice di legittimita’, purche’ si faccia valere un vizio della decisione astrattamente idoneo a inficiare la pronuncia” (cfr. Cass. 1370/2013; Cass. 24553/2013 e Cass. 23381/2017); quanto al secondo, tutti i rilievi contenuti nei motivi, pur passando logicamente attraverso l’esame della motivazione della sentenza impugnata, sono ricondotti alla violazione delle norme coerentemente indicate: e, tanto premesso, si rileva che i primi due motivi sono fondati ed assorbono il terzo.

Si osserva, al riguardo, che le censure in essi contenute possono essere congiuntamente esaminate, in quanto vertono sulla critica mossa alla sentenza impugnata in relazione alla falsa applicazione del principio di non contestazione, con particolare riferimento alla congiunta lettura dell’articolo 115 c.p.c., e articolo 2697 c.c.; la censura si estende anche alle conseguenze che la Corte avrebbe impropriamente tratto dalla circostanza che il conto corrente – sul quale era stato, dapprima, versato il danaro dalla (OMISSIS) alla (OMISSIS) (in ragione del mutuo ipotecario contratto) e dal quale era partito, poi, l’ordine di pagamento in favore della banca (OMISSIS) per l’estinzione del debito dello (OMISSIS) e la cancellazione del pignoramento immobiliare trascritto – era intestato ad entrambi i ricorrenti, deducendo da cio’ che la contitolarita’ della giacenza ivi presente rendeva impossibile “determinare con la necessaria certezza l’utilizzo dell’intera somma a scopo estintivo”.

5. Circa la prima doglianza, questa Corte ha costantemente affermato che “la mancata contestazione di un fatto addotto dalla controparte ne rende superflua la prova, conferendogli carattere non controverso, e cio’ sia per il sistema delle preclusioni, il quale comporta per le parti l’onere di collaborare al fine di circoscrivere la materia controversa, e sia per il principio di economia, che deve informare il processo, alla stregua dell’articolo 111 Cost.” (cfr. ex multis Cass. 8213/2013).

E, tanto premesso, si osserva che effettivamente la stessa Cassa, nell’atto di citazione del giudizio di primo grado, aveva dedotto, a sostegno delle proprie pretese, lo “stato di nullatenenza” dello (OMISSIS), nonche’ “le forti difficolta’ finanziarie” dello stesso; nel ricorso per decreto ingiuntivo prodotto nel fascicolo di primo grado, la Cassa aveva, altresi’, allegato la sua “grave illiquidita’ finanziaria” nonche’ l’avvenuto pignoramento dei beni di proprieta’ da parte della (OMISSIS) Spa.

Tali fatti, dunque, non necessitavano di alcuna ulteriore dimostrazione da parte dell’odierno ricorrente, visto che erano stati dedotti come la premessa delle domande proposte dalla stessa parte attrice, poi appellante: e, al riguardo, deve anche rilevarsi che la motivazione della sentenza (v. pag. 6 V cpv) da atto che il fabbricato venduto fosse l’unico bene immobile dello (OMISSIS), ragione per cui detta circostanza non imponeva al ricorrente alcun onere probatorio.

6. La Corte d’appello, nello stesso contesto, afferma che tale fatto “poteva al piu’ costituire un indizio dell’imprescindibile necessita’ di alienazione dello stesso per ottenere la provvista da utilizzarsi per l’estinzione di un debito pregresso ben avendo potuto lo stesso, almeno in astratto, reperire le sostanze altrimenti, o attraverso il proprio lavoro ovvero attingendo da altri risparmi”: e, conclude, ritenendo che gravasse sullo (OMISSIS) “allegare prima e provare poi l’inesistenza di altre fonti di reddito, dimostrazione neppure offerta”: in tal modo, tuttavia, la Corte Torinese continua, nonostante le emergenze processuali, ad applicare erroneamente le norme sopra richiamate.

Ed infatti, in primo luogo, la motivazione sopra riportata postula la prova di un fatto negativo, come tale contrario ad una corretta interpretazione dell’articolo 2697 c.c. (crf. ex multis Cass. 10752/2016); in secondo luogo – e si passa con cio’ all’esame del secondo profilo prospettato nel motivo di ricorso – pacifico che e’ a carico del proprietario del bene l’onere di provare che la vendita di esso rappresenta il solo mezzo per raggiungere lo scopo di adempiere ad un debito scaduto (trattandosi di un fatto sul quale si fonda la sua eccezione: cfr. Cass. 14420/2013; Cass. 7747/2016 e, per ragioni strettamente collegate, anche Cass. 7767/2007), si osserva che tale principio non puo’ trovare applicazione ove, attraverso le emergenze istruttorie, sia stata gia’ raggiunta la prova dello stato di nullatenenza che, nel caso di specie, risulta allegato, in relazione allo (OMISSIS), dalla stessa Cassa astigiana.

7. In ordine al secondo motivo, i ricorrenti lamentano la falsa applicazione degli articoli 1298 e 1854 c.c., assumendo che la Corte d’Appello aveva ritenuto che, pur pacifico che il debito con l’Istituto (OMISSIS) fosse sorto in precedenza, “sia il versamento del prezzo sia la provvista per il pagamento del debito contratto hanno interessato un conto corrente cointestato tra i coniugi, cointestazione che costituisce presunzione, nel caso non superata dalle parti, per non avere le stesse allegato circostanze idonee allo scopo, di contitolarita’ delle sostanze ivi contenute e transitate. Tale confusione del patrimonio dei coniugi rende impossibile determinare con la necessaria certezza l’utilizzo dell’intera somma allo scopo estintivo”.

8. Si osserva, al riguardo, che dalla documentazione precisamente indicata nel ricorso e rinvenibile in atti (e cioe’ il rogito notarile e l’estratto conto con l’indicazione di tutte le operazioni effettuate, dalle quali emergeva la perfetta coincidenza temporale fra la vendita, il versamento del ricavato e la disposizione di pagamento in favore della (OMISSIS) Spa), emerge pacificamente che la somma versata dal coniuge acquirente sul conto cointestato e’ stata utilizzata per intero per il pagamento del debito pregresso; da cio’ deriva che le conseguenze tratte dalla Corte, rispetto alla presunzione di contitolarita’ sancita dall’articolo 1854 c.c., per negare la sussistenza dei presupporti di cui all’articolo 2901 c.c., comma 3, contrastano con le previsioni dell’articolo 1298 c.c., rispetto alle quali nulla impedisce ai cointestatari del conto di regolare i propri rapporti di debito – credito, avvalendosi dello stesso.

9. Il terzo motivo, avuto riguardo alla motivazione sviluppata sui primi due, rimane assorbito.

La sentenza impugnata deve pertanto essere cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Torino in diversa composizione per un nuove esame della controversia, alla luce dei seguenti principi di diritto: “Ai sensi dell’articolo 2901 c.c., comma 3, non e’ soggetto a revoca l’adempimento di un debito scaduto. L’esenzione trova la sua ragione nella natura di atto dovuto della prestazione del debitore, una volta che si siano verificati gli effetti della mora ex articolo 1219 c.c., e deve essere estesa alla alienazione di un bene eseguita per reperire la liquidita’ necessaria all’adempimento di un proprio debito, purche’ essa rappresenti il solo mezzo per lo scopo, poiche’ in tale ipotesi la vendita si pone in un rapporto di strumentalita’ necessaria con un atto dovuto, che vale ad escludere il carattere di atto di disposizione pregiudizievole per i creditori richiesto per la revoca.

La prova dell’unicita’ del mezzo deve essere fornita dal debitore/venditore, tenendo conto dei principi generali che regolano il riparto degli oneri probatori, fra i quali deve essere ricompreso anche il c.d. principio di non contestazione declinato, in suo favore, nel senso di non ritenerlo onerato della prova di fatti a lui favorevoli gia’ allegati dalla controparte”.

“La presunzione di contitolarita’ di un conto corrente non impedisce ai cointestatari di regolare i propri rapporti di debito-credito avvalendosi dello stesso conto: ragione per cui il pagamento di un debito di un contitolare attraverso il conto corrente cointestato non costituisce prova della riconducibilita’ ad entrambi dell’avvenuto pagamento, in presenza di altri elementi idonei a ricondurre ad uno solo dei cointestatari l’adempimento stesso”.

La Corte provvedera’ anche in ordine alle spese del giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso;

cassa la sentenza impugnata e rinvia per il nuovo esame della controversia alla Corte d’Appello di Torino in diversa composizione che provvedera’ anche in ordine alle spese del giudizio di legittimita’.

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