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E’ del tutto corretto, invero, ritenere di scarso significato ai fini della produzione di reddito l’alto volume dei ricavi maturati: un organismo economico puo’, infatti, generare alti ricavi, ma in assenza di indicazioni riguardanti i costi sostenuti, semplicemente non e’ dato stabilire se l’attivita’ da esso svolta sia produttiva di reddito o invece avvenga in perdita.
Del pari corretta l’affermata irrilevanza del condono tributario tombale di cui alla L. n. 289 del 2002, articolo 9, comma 10 riguardo alla liceita’ dei redditi con esso dichiarati.
La giurisprudenza di questa Corte di legittimita’ ha, infatti, gia’ espressamente sancito l’assenza di valenza giustificativa del diretto antecedente di tale misura premiale, quale previsto dalla L. 30 dicembre 1991, n. 413, in tema di confisca di beni di soggetto sottoposto a misure di prevenzione patrimoniali, affermando che “l’illiceita’ originaria del comportamento” di evasione delle imposte con cui il soggetto “se le e’ procurate continua a dispiegare i suoi effetti ai fini della confisca” (Sez. 2, sent. n. 2181 del 06/05/1999, Sannino, Rv. 213853).
La ratio di tale statuizione ha, poi, notoriamente trovato autorevole conferma nella pronuncia delle Sezioni Unite n. 33451 del 29/05/2014, Repaci e altri, Rv. 260244 che ha stabilito come “in tema di confisca di prevenzione di cui alla L. 31 maggio 1965, n. 575, articolo 2-ter (attualmente Decreto Legislativo 6 settembre 2011, n. 159, articolo 24), la sproporzione tra i beni posseduti e le attivita’ economiche del proposto non puo’ essere giustificata adducendo proventi da evasione fiscale, atteso che le disposizioni sulla confisca mirano a sottrarre alla disponibilita’ dello interessato tutti i beni che siano frutto di attivita’ illecite o ne costituiscano il reimpiego, senza distinguere se tali attivita’ siano o meno di tipo mafioso”.
Non e’ dato, dunque, individuare ragioni per mutare l’atteggiamento dell’interprete di fronte all’ultimo e piu’ recente in ordine cronologico condono tributario tombale di cui alla citata L. n. 289 del 2002, articolo 9, comma 10 che vale unicamente da causa di esclusione della punibilita’ per alcuni reati tributari (Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articoli 2, 3, 4, 5 e 10).
Insostenibile la tesi dell’efficacia giustificativa della misura premiale, in termini piu’ generali la piu’ recente giurisprudenza di questa Corte di legittimita’ non esclude in maniera assoluta che, in tema di sequestro e confisca L. n. 356 del 1992, ex articolo 12-sexies, l’interessato possa dimostrare la proporzione tra redditi impiegati da un lato ed acquisiti e/o investimenti dall’altro mediante la disponibilita’ di redditi non regolarmente dichiarati, tuttavia affermando che in questo caso e’ suo onere dimostrare in maniera specifica “che i beni sequestrati sono stati acquistati con il provento di attivita’ economiche non denunciate al fisco” (Sez. 2, sent. n. 49498 del 11/11/2014, Pucillo e altro, Rv. 261046) a superamento di un precedente ed invece piu’ possibilista approccio ermeneutico alla questione (Sez. 1, sent. n. 9678 del 05/11/2013, Creati e altri, Rv. 259468; Sez. 1, sent. n. 13425 del 21/02/2013, Coniglione, Rv. 255082; Sez. 1, sent. n. 6336 del 22/01/2013, Mele e altro, Rv. 254532), oggi pero’ contrastante con la ricordata pronuncia delle Sezioni Unite.
Il principio va, dunque, ribadito nel senso che ferma restando l’astratta possibilita’ di giustificare la proporzione tra acquisti e disponibilita’ economiche con redditi ulteriori rispetto a quelli regolarmente dichiarati (ad es. lasciti ereditari, vincite di gioco, redditi derivanti da attivita’ lecita prima della scadenza del termine di dichiarazione), sempre che non costituiscano provento di evasione tributaria tout court, in tale eventualita’ l’interessato non puo’, pero’, limitarsi ad allegarne l’esistenza, dovendo invece dimostrare che l’acquisto e’ avvenuto con impiego di provviste lecite e tracciabili (a mero titolo di esempio: corrispettivi della vendita di beni regolarmente fatturati e iscritti nei registri contabili e successivo reimpiego nell’acquisto dei beni poi confiscati).
Tornando alla fattispecie in esame, sulla base di tale principio la Corte territoriale ha escluso, in maniera puntuale e circostanziata (pagg. 11-15 sent.), che l’imputato abbia fornito positiva dimostrazione in tal senso, talche’ non ravvisandosi profili critici di ordine logico nelle argomentazioni svolte sul punto, le ulteriori critiche mosse dal ricorrente finiscono per investire il merito del provvedimento, esulando come tali dall’oggetto proprio del sindacato di legittimita’.
4. Al rigetto dell’impugnazione segue, come per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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