Corte di Cassazione, sezione sesta civile, ordinanza 8 marzo 2018, n. 5613. Il danno patrimoniale da mancato guadagno, concretandosi nell’accrescimento patrimoniale effettivamente pregiudicato o impedito dall’inadempimento dell’obbligazione contrattuale, presuppone la prova, sia pure indiziaria, dell’utilità patrimoniale che il creditore avrebbe conseguito

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Premesso che il legislatore estende agli atti unilaterali le norme che regolano i contratti e quindi anche quelle sull’interpretazione, va osservato che, per giurisprudenza costante di questa Corte, l’interpretazione di un atto negoziale e’ tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimita’, se non nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui all’articolo 1362 c.c. e segg., o di motivazione inadeguata (ovverosia, non idonea a consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito per giungere alla decisione). Sicche’, per far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione (mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti), ma altresi’ precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato; con l’ulteriore conseguenza dell’inammissibilita’ del motivo di ricorso che si fondi sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realta’, come nel caso di specie, nella proposta di una interpretazione diversa (Cass. 26 ottobre 2007, n. 22536). D’altra parte, per sottrarsi al sindacato di legittimita’, quella data dal giudice del merito al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni (tra le altre: Cass. 12 luglio 2007, n. 15604; Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178). Ne consegue che non puo’ trovare ingresso in sede di legittimita’ la critica della ricostruzione della volonta’ negoziale operata dal giudice di merito che si traduca esclusivamente nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi gia’ dallo stesso esaminati; sicche’, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o piu’ interpretazioni, non e’ consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimita’ del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (Cass. 7500/2007; 24539/2009; Sez. 1, Sentenza n. 6125 del 17/03/2014 e, piu’ di recente, Sez. 2 -, Ordinanza n. 20964 del 08/09/2017 Rv. 645246).

Nel caso di specie, la critica sull’interpretazione del fax 1.3.2006 inviato dall’avvocato Ponzano su incarico dell’ (OMISSIS), tende unicamente a sollecitare una interpretazione diversa da quella, sicuramente plausibile, fornita dalla Corte d’Appello che ha analizzato il documento attribuendogli il significato di atto di revoca dall’incarico ed e’ giunta poi alla conclusione della contrarieta’ e buona fede del contegno del cliente per avere revocato un incarico della durata di circa undici mesi dopo tre settimane dal conferimento, tempo secondo l’apprezzamento della Corte d’Appello – “cosi’ ridotto, da non consentire neppure al mediatore di ottemperare a tale obbligazione”.

Rivalutare oggi il significato di elementi istruttori e’ un compito non consentito al giudice di legittimita’.

2 Col secondo motivo il ricorrente denunzia violazione dell’articolo 1223 c.c., dolendosi del riconoscimento del danno da lucro cessante.

Tale motivo e’ invece manifestamente fondato.

Va premesso che il rigetto del primo motivo di ricorso ha determinato il formarsi del giudicato sulla risoluzione del contratto di mediazione per inadempimento del cliente e quindi resta da affrontare la correttezza della sentenza sulla determinazione del quantum della pretesa risarcitoria.

Il danno patrimoniale da mancato guadagno, concretandosi nell’accrescimento patrimoniale effettivamente pregiudicato o impedito dall’inadempimento dell’obbligazione contrattuale, presuppone la prova, sia pure indiziaria, dell’utilita’ patrimoniale che il creditore avrebbe conseguito se l’obbligazione fosse stata adempiuta, esclusi solo i mancati guadagni meramente ipotetici perche’ dipendenti da condizioni incerte, sicche’ la sua liquidazione richiede un rigoroso giudizio di probabilita’ (e non di mera possibilita’), che puo’ essere equitativamente svolto in presenza di elementi certi offerti dalla parte non inadempiente, dai quali il giudice possa sillogisticamente desumere l’entita’ del danno subito (Sez. 3, Sentenza n. 24632 del 03/12/2015 Rv. 637952; Sez. 2, Sentenza n. 11254 del 20/05/2011 Rv. 618132; Sez. 3, Sentenza n. 27149 del 19/12/2006 Rv. 596641; Sez. 2, Sentenza n. 7647 del 03/09/1994 Rv. 487832).

Nel caso di specie la Corte d’Appello ha riconosciuto un danno da mancato guadagno parametrandolo alle provvigioni che la societa’ di mediazione avrebbe incassato ove avesse portato a termine l’incarico. In proposito ha rilevato che la (OMISSIS) in tre settimane aveva raccolto ben otto proposte d’acquisto ed ha quindi ritenuto altamente probabile che, ove l’accordo di mediazione avesse avuto regolare esecuzione, tutti i box sarebbero stati venduti entro il termine (ulteriori dieci mesi) di validita’ dell’incarico.

Il ragionamento non e’ conforme alla citata giurisprudenza perche’ la Corte territoriale ha in sostanza ritenuto altamente probabile la vendita di tutti box, nessuno escluso, nell’arco della durata contrattuale dell’incarico ancorando il giudizio (da svolgersi con rigore) di alta probabilita’ di tale evento ad un dato di fatto tutt’altro che significativo, rappresentato da mere proposte d’acquisto, che possono anche non essere accettate dal venditore sicche’ esse non sono automaticamente destinate a sfociare nella vendita e neppure a far sorgere un vincolo giuridico tra le parti.

La sentenza deve pertanto essere cassata con rinvio per nuovo esame sulla prova del danno conseguente alla risoluzione alla stregua del principio esposto. Il giudice di rinvio, che si individua in altra sezione della Corte d’Appello di Genova regolera’ anche le spese del presente giudizio.

3 Resta a questo punto logicamente assorbito l’esame del terzo motivo con cui il ricorrente, denunziando violazione dell’articolo 94 c.p.c., si duole della regolamentazione delle spese.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo e dichiara assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, ad altra sezione della Corte d’Appello di Genova.

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