Le misure necessarie per poter procedere alla confisca totale o parziale dei beni che appartengono a una persona condannata per un reato suscettibile di produrre un vantaggio economico, sussiste laddove l’autorità giudiziaria sia convinta che i beni in questione derivino da condotte criminose.

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La confisca al contrario presenta connotati, come si e’ detto, di pericolosita’ in rem di tipo relazionale, nel senso che non e’ il bene in quanto tale a presentare i requisiti di res intrinsecamente pericolosa, ma il fatto che quel bene appartenga e, quindi, continui ad essere gestito, da un determinato soggetto che ne dispone in ragione specifica dei propri connotati e trascorsi di persona “penalmente qualificata”.

E’ d’altra parte un dato di comune esperienza quello secondo il quale l’autore di reati destinati direttamente o indirettamente a generare un arricchimento sul versante patrimoniale, eviti di regola di provocare fenomeni di “appariscenza” del suo nuovo status economico, ontologicamente incompatibile con i redditi dichiarati o l’attivita’ svolta, anche perche’, non a caso, il sistema non solo tende a prevenire e reprimere le intestazioni fraudolente e le altre manovre volte a rendere “etera vestite” le disponibilita’ patrimoniali, ma espressamente fa riferimento (Decreto Legge n. 306 del 1992, articolo 12-quinquies) a condotte elusive, volte proprio a scongiurare l’applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali.

In tale contesto appare dunque evidente come, nelle ipotesi quale quella in esame, accanto alla mancanza di fondate deduzioni idonee ad asseverare la legittima provenienza dei beni, risulti al contrario ben corroborata la condizione della “ingiustificatezza degli incrementi patrimoniali”, con la conseguenza che l’elemento del ragionevole raccordo temporale di cui si e’ fatto piu’ volte riferimento, risulti ampiamente soddisfatto.

Infatti, allorche’ gli acquisti si realizzino in un periodo immediatamente successivo a quello per cui e’ stata asseverata la pericolosita’ qualificata ed il giudice del merito dia conto dell’esistenza di una pluralita’ di indici fattuali altamente dimostrativi che dette acquisizioni patrimoniali siano la diretta derivazione causale proprio della provvista formatasi nel periodo di illecita attivita’, legittimamente puo’ applicarsi la misura ablatoria, in quanto esistente un collegamento di tipo logico tra il fatto presupposto, la pericolosita’ del proposto e l’incremento patrimoniale “ingiustificato” che ha generato i beni oggetto di confisca.

Nel caso di specie, invero, i giudici di merito risultano avere, da un lato, escluso che i beni acquistati dal proposto in limine (2005) e successivamente alla cessazione del periodo di pericolosita’ qualificata (2006, 2007 e 2010) siano ascrivibili a proventi esistenti prima del coinvolgimento del ricorrente nell’ambito dell’associazione di stampo mafioso denominata “(OMISSIS)”, nonche’, dall’altro, che siano frutto della propria attivita’ lavorativa o di redditi leciti percepiti durante o successivamente a detto periodo, anche avvalendosi di apposta perizia di stima che da’ conto di come la natura simulata dei contratti rispondesse ad una logica di occultamento di disponibilita’ economiche illecitamente formatesi.

Conseguentemente, dinanzi a tale evidente sproporzione, risulta logico aver ricondotto tali molteplici acquisizioni proprio ai proventi percepiti dal proposto quale partecipe del sodalizio mafioso dedito al “settore delle estorsioni”, trattandosi di delitto che, in ragione delle sue modalita’ e dei fini avuti di mira, e’ idoneo, come detto, di per se’ a generare illecita ricchezza.

Il percorso adottato dal giudice del merito risulta dunque del tutto coerente rispetto ai parametri ed ai presupposti normativi senza alcun meccanismo di automatica traslazione tra il compendio oggetto di ablazione e la qualita’ soggettiva ascritta al prevenuto, dal momento che la riconduzione dei cespiti – o meglio della relativa provvista – ad un periodo cronologicamente compatibile con lo status di associato, ha formato oggetto di analisi che non soltanto non ha trovato smentita nelle allegazioni difensive (mancata dimostrazione della legittima origine di quei cespiti), ritenute infondate da entrambi i giudici di merito, ma si e’ trovata saldamente ancorata ad una palese sperequazione di valori tra quei cespiti e i redditi legittimi del prevenuto.

D’altra parte, il parametro della “ragionevolezza temporale” non esclude affatto la possibilita’ che siano acquisiti elementi di univoco spessore indiziante atti a ricondurre la genesi di accumulazioni patrimoniali o di singole possidenze, anche se materializzatesi in epoca di gran lunga successiva alla cessazione delle condizioni di pericolosita’ soggettiva, proprio all’epoca di permanenza di quelle stesse condizioni. Ove cosi’ non fosse, il dato temporale anziche’ fungere da indice della logicita’ di un costrutto argomentativo sulla cui base dedurre l’esistenza dei presupposti, diverrebbe esso stesso parametro “scriminante” agli effetti dell’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale: cio’ che ne’ la lettera, ne’ la ratio del sistema tollererebbero.

3.1.5. Manifestamente infondate si rivelano, invece, le altre censure mosse al provvedimento impugnato con il primo motivo di ricorso.

3.1.5.1. Anzitutto va escluso che la misura reale abbia colpito in modo indiscriminato tutti i beni del proposto, avendo il giudice del merito compiuto una puntuale verifica in relazione a ciascun bene suscettibile della misura, descrivendo i beni sottoposti a sequestro ed argomentando in merito alla relativa sproporzione, tanto che per alcuni beni (in particolare per i conti correnti bancari ed i libretti di deposito e risparmio, nonche’ per la ditta individuale intestata alla moglie) e’ stato disposto il dissequestro.

3.1.5.2. Inammissibili sono anche le doglianze attinenti al differente giudizio svolto dal giudice del merito in punto di esclusione della valenza giustificatrice dei redditi leciti vantati dal ricorrente, della realita’ delle operazioni di acquisto effettuate e della ritenuta sproporzione esistente tra beni da un lato e loro valore dall’altro, in quanto non proponibili in questa sede poiche’ attinenti, in ipotesi, al vizio di motivazione e dovendosi escludere qualsiasi profilo di mancanza o di apparenza della stessa nell’ambito del provvedimento impugnato.

3.2. Infondato e’ anche il secondo motivo di ricorso. I rilievi mossi dai ricorrenti, per quanto evidenziato nelle decisioni di merito, muovono dal presupposto che il valore degli immobili sia quello indicato negli atti notarili e, dunque, di gran lunga inferiore a quello determinato dallo stesso giudice del merito sulla scorta della perizia svolta. Pertanto, allorche’ il giudice di prevenzione, nell’esercizio dei suoi poteri valutativi, abbia motivatamente disatteso i rilievi avanzati in ordine alla stima peritale, l’esclusione della richiesta di sentire testi a comprova della realta’ di quanto formalmente indicato negli atti di acquisto ne e’ conseguenza legittima e non puo’ chiedersi a questa Corte di sostituirsi sul punto al giudice del merito. Di conseguenza, le doglianze addotte con il ricorso per cassazione volti a censurare l’esclusione delle prove a “discarico”, ossia quegli elementi tendenti a dimostrare l’esistenza di una lecita ed idonea provvista a far fronte agli acquisti “incriminati”, sono prive della necessaria decisivita’, in quanto inadeguate a superare quel profilo di fattuale discrasia relativo al valore dei beni, oggetto di questio facti non proponibile in questa sede, ove, in ragione della natura del provvedimento emesso, sono consentite soltanto doglianze di violazione di legge.

4. Al rigetto dei ricorsi consegue, ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

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