Le misure necessarie per poter procedere alla confisca totale o parziale dei beni che appartengono a una persona condannata per un reato suscettibile di produrre un vantaggio economico, sussiste laddove l’autorità giudiziaria sia convinta che i beni in questione derivino da condotte criminose.

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3. I ricorsi vanno rigettati per essere i motivi non fondati e/o manifestamente infondati.

3.1. Infondate sono, anzitutto, le doglianze che attengono alla corretta applicazione, da parte del giudice del merito, dei principi stabiliti da questa Corte di legittimita’ in tema di confisca di prevenzione.

3.1.1. Le misure patrimoniali – in principio elaborate in funzione di mero supporto a quelle personali, al fine di potenziarne l’efficacia preventiva, tanto da porsi in rapporto di mera accessorieta’ a quest’ultime, pure in termini di contestualita’ di applicazione – hanno conosciuto, nel tempo, un processo di progressivo sganciamento dalle prime, che ha avuto il suo epilogo nell’affermazione della loro piena autonomia per come sancito anche dalla normativa primaria di riferimento (Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 18) e dalla giurisprudenza in materia. Autonomia da intendere nel senso dell’applicabilita’ non solo in distinto contesto procedimentale, ma anche nei casi – quale quello in esame – in cui non sia applicabile la misura personale, o perche’ la relativa proposta sia stata rigettata o perche’, inizialmente applicata, sia stata poi revocata o, comunque, non sia piu’ attuale e finanche in caso di morte del soggetto inciso. Cio’ del resto e’ coerente non solo con l’affermazione di linee strategiche di politica criminale volte a farne strumento di efficace contrasto a fattispecie delittuose mafiose od eversive che siano, ritenute comunque capaci di mettere in pericolo gli assetti dell’ordinamento democratico, ma soprattutto con la giudiziale constatazione che vi sono alcuni reati, tra cui in primis assume rilievo proprio quello di associazione mafiosa – per la cui partecipazione il ricorrente e’ stato condannato con sentenza irrevocabile che sono ontologicamente forieri di reddito in quanto diretti proprio all’acquisizione, con le tipiche modalita’ delittuose, di profitti illeciti. A tale proposito, si e’ infatti affermato che il delitto di associazione di tipo mafioso puo’ costituire il presupposto dei reati di riciclaggio e di reimpiego di capitali, in quanto di per se’ idoneo a produrre proventi illeciti, rientrando negli scopi dell’associazione anche quello di trarre vantaggi o profitti da attivita’ economiche lecite per mezzo del metodo mafioso (vedi Sez. un. n. 25191 del 27/02/2014 – dep. 13/06/2014, Iavarazzo, Rv. 259586).

3.1.2. Occorre peraltro premettere che la individuazione dei soggetti destinatari delle misure di prevenzione puo’ nascere o in funzione di elementi di fatto da cui desumere il fondato indizio di appartenenza del soggetto alle associazioni di cui all’articolo 416-bis cod. pen. o, come nel caso che qui ricorre, da un accertamento giurisdizionale consacrato dalla res iudicata che dunque fa stato in ordine alla presenza del presupposto soggettivo dal quale scaturisce l’applicabilita’ delle misure di prevenzione tanto personali che reali. Il che evidenzia come nella presente vicenda il provvedimento ablatorio oggetto della odierna censura avrebbe astrattamente potuto formare materia di una autonoma determinazione Decreto Legge n. 306 del 1992, ex articolo 12-sexies sia da parte del giudice della cognizione che di quello dell’esecuzione. Il tutto non senza sottolineare come nell’ambito dell’odierna procedura sia stato ampiamente e puntualmente declinata da entrambi i giudici di merito una cospicua e convergente serie di elementi fattuali atti ad asseverare come il meccanismo di accumulo patrimoniale del tutto sproporzionato rispetto al reddito dichiarato o all’attivita’ economica svolta dal proposto, e che e’ risultato non giustificato quanto alla relativa provenienza alla luce delle deduzioni svolte dall’odierno ricorrente, fosse riconducibile ad un arricchimento necessariamente conseguita in ragione proprio dell’attivita’ svolta dallo stesso prevenuto come intraneo al sodalizio mafioso (“attivo nel ramo delle estorsioni”) e la cui esistenza e’ stata accertata con sentenza irrevocabile.

3.1.3. Va d’altra parte rammentato come la c.d. confisca estesa presenti tratti strutturali di marcata analogia rispetto alla figura della confisca di prevenzione, dal momento che entrambe le misure si saldano ad una sproporzione tra valore dei beni di verosimile origine delittuosa e le possidenze legittime del soggetto cui si riferiscono le anzidette misure. Al tempo stesso, tanto per la confisca allargata che per quelle di prevenzione si prescinde da qualsiasi profilo inerente al nesso di pertinenzialita’ tra i beni da confiscare ed una determinata ipotesi di reato (Sez. un., n. 920 del 17/12/2003, dep. 129/1/2004, Montella, Rv. 226490). Nonostante dunque gli innegabili tratti differenziali tra l’una e l’altra ipotesi di confisca (sul punto vedi Sez. Un., n. 33451 del 29/5/2014, Repaci ed altro, Rv. 260247) le analogie strutturali tra le due misure comportano una ontologica “riconducibilita’” dell’ingiustificato accumulo patrimoniale ad una qualita’ soggettiva (condanna per determinati delitti o qualita’ di indiziato di appartenenza ad un sodalizio mafioso) che a sua volta si qualifica per essere essa stessa generatrice di un meccanismo di illecito arricchimento. A tale riguardo, e in tale cornice di riferimento, finisce dunque per assumere particolare rilievo la recente sentenza della Corte costituzionale n. 33 del 2018 ove si e’ sottolineato come la tesi della “ragionevolezza temporale” risponde all’esigenza di “evitare una abnorme dilatazione della sfera di operativita’ dell’istituto della confisca allargata, il quale legittimerebbe – anche a fronte della condanna per un singolo reato compreso nella lista – un monitoraggio patrimoniale esteso all’intera vita del condannato”. Risultato, quest’ultimo che il Giudice delle leggi implicitamente censura in quanto esso “rischierebbe di rendere particolarmente problematico l’assolvimento dell’onere dell’interessato di giustificare la provenienza de beni (ancorche’ inteso di semplice allegazione) il quale tanto piu’ si complica quanto piu’ e’ retrodatato l’acquisto del bene da confiscare”.

Peraltro verso, viene anche in discorso ai fini che qui interessano e nel quadro dell’identica ratio decedendi gli univoci dicta che promanano dalla direttiva 2014/42/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 3.4.2014 relativa al congelamento e alla confisca dei beni strumentali e dei proventi da reato dell’Unione Europea. Come infatti illustra il punto 21 del preambolo e come poi sancisce l’articolo 5 dello strumento sovranazionale innanzi evocato, e’ previsto che gli Stati membri dell’Unione sono chiamati ad adottare “le misure necessarie per poter procedere alla confisca, totale o parziale, dei beni che appartengono ad una persona condannata per un reato suscettibile di produrre, direttamente o indirettamente, un vantaggio economico, laddove l’autorita’ giudiziaria, in base alle circostanze del caso, compresi i fatti specifici e gli elementi di prova disponibili, come il fatto che il valore dei beni e’ sproporzionato rispetto al reddito legittimo della persona condannata, sia convinta che i beni in questione derivino da condotte criminose”.

Da tutto cio’ emerge come il sistema, oggi rafforzato alla luce delle pronunce della Corte costituzionale e del tenore della direttiva sopra indicata, con riferimento al tema della confisca estesa, evochi due paradigmi che appaiono essere certamente pertinenti anche ai fini e nel quadro della confisca c.d. di prevenzione.

Il primo, rappresentato dalla esigenza che si presupponga a monte una qualche condotta criminosa che sia in se’ foriera di una illecita accumulazione di denaro o altri beni; dall’altro, che la derivazione dell’illecito arricchimento possa essere tratta da tutte le circostanze del caso di specie, tra le quali, in particolare, finisce per assumere una pregnanza contenutistica determinante quella della incoerenza economica tra il valore di quei beni e il reddito legittimo della persona cui l’illecita condotta viene ad essere ascritta.

3.1.4. Il corollario che da tutto cio’ se ne puo’ trarre e’, dunque, che ove la misura di prevenzione tragga origine, come nella specie, non dal semplice indizio di appartenenza ad una associazione di stampo mafioso – delitto questo, che come si e’ accennato, la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto essere in se e per se’ idoneo a produrre reddito per i suoi partecipi – ma derivi da un accertamento giurisdizionale circa la partecipazione del proposto ad una associazione di stampo mafioso finalizzata alla consumazione di delitti contro il patrimonio e, dunque, ontologicamente idonei a produrre un reddito per gli associati, il primo termine di riferimento dell’applicabilita’ della confisca allargata, da un lato, o della misura di prevenzione patrimoniale dall’altro, puo’ dirsi integralmente soddisfatto.

A proposito, poi, del termine di “ragionevole correlazione temporale” tra la fase di locupletazione e quella relativa all’acquisto di beni esorbitanti dalle legittime attivita’ del prevenuto, e’ ben vero, come ricorda il ricorrente, che questa Corte ha avuto modo di affermare il principio secondo il quale “la pericolosita’ sociale, oltre ad essere presupposto ineludibile della confisca di prevenzione, e’ anche “misura temporale” del suo ambito applicativo; traendone da cio’ la conseguenza che, con riferimento alla c.d. pericolosita’ generica, sono suscettibili di ablazione soltanto i beni acquistati nell’arco di tempo in cui si e’ manifestata la pericolosita’ sociale, mentre, con riferimento alla c.d. pericolosita’ qualificata, il giudice dovra’ accertare se questa investa, come ordinariamente accade, l’intero percorso esistenziale del proposto, o se sia individuabile un momento iniziale ed un termine finale della pericolosita’ sociale, al fine di stabilire se siano suscettibili di ablazione tutti i beni riconducibili al proposto ovvero soltanto quelli ricadenti nel periodo temporale individuato (Sez. Un., n. 4880 del 26/06/2014 – dep. 02/02/2015, Spinelli ed altro, Rv. 262605)”.

Ed e’ altrettanto vero che questo principio e’ stato, piu’ di recente, ribadito con l’affermazione secondo la quale “in tema di misure di prevenzione, ove la fattispecie concreta consenta al giudice di determinare il momento iniziale ed il termine finale della pericolosita’ sociale qualificata, sono suscettibili di confisca solo i beni acquistati in detto periodo temporale, salva restando la possibilita’ per il proposto di dimostrare l’acquisto dei beni con risorse preesistenti all’inizio dell’attivita’ illecita (Sez. 6, n. 31634 del 17/05/2017 – dep. 27/06/2017, Lamberti e altro, Rv. 27071001)”.

Del pari, come pure focalizzato dal ricorrente, e’ ben vero che risulta nel caso di specie processualmente accertato il periodo di permanenza della qualita’ di associato, con conseguente elisione dei profili di pericolosita’ sociale a far tempo dal venire meno di tale condizione.

Tuttavia, a parere della Corte, da tale dato non puo’ essere tratta la conclusione, come pretenderebbe il ricorrente, di ritenere esaurito il “raccordo cronologico” tra la fase di insorgenza dell’illecita accumulazione di denaro ed il relativo reimpiego, quasi a voler sottolineare che in tanto possa sussistere un collegamento tra beni di illecita provenienza e condotta criminosa in quanto il relativo acquisto sia stato effettuato perdurante la condizione di associato a delinquere. Cio’ determinerebbe di fatto una sorta di “condono” per tutte le condotte di acquisizione che, pur effettuate attraverso la provvista creata mediante la condotta illecita, si siano poi estrinsecate, come momento perfezionativo, in una fase temporale successiva alla perdita di quella condizione soggettiva di pericolosita’.

Il che, a ben guardare, evocherebbe cio’ che l’ordinamento ha legislativamente inteso “scardinare”: vale a dire la sovrapposizione tra condizione di soggetto socialmente pericoloso e la applicabilita’ nei suoi confronti della misura di prevenzione patrimoniale.

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