Corte di Cassazione, sezione seconda penale, sentenza 11 dicembre 2017, n. 55079. La detenzione per la vendita di prodotti recanti marchio contraffatto senza che abbia rilievo la configurabilita’ della contraffazione grossolana

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La CORTE di APPELLO di ROMA, con sentenza in data 14/12/2015, confermava la condanna alla pena ritenuta di giustizia pronunciata dal TRIBUNALE di ROMA, in data 22/10/2013, nei confronti di (OMISSIS) in relazione al reato di cui all’ articolo 474 c.p., per avere detenuto otto fascette, abusivamente riproducenti l’effige della cantante (OMISSIS), che offriva in vendita stazionando all’interno del palazzetto dello Sport di Roma dove si teneva il concerto della cantante.

Propone ricorso per cassazione l’imputato, deducendo:

1) violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta responsabilita’ dell’imputato, attesa la grossolanita’ della contraffazione addebitata e le modalita’ di vendita tali da impedire la stessa possibilita’ di un inganno.

2) Vizio di motivazione per manifesta illogicita’ e assoluta incompletezza dell’esposizione delle ragioni poste a sostegno del provvedimento impugnato, poiche’ la corte territoriale non ha dato conto delle censure mosse dalla difesa con il gravame.

3) contraddittorieta’ della motivazione in relazione alle risultanze processuali;

4) Violazione del principio del ragionevole dubbio in quanto l’accertamento sula perfesione delle fascette poste in vendita e’ dubbioso.

I motivi sono manifestamente infondati.

Deve premettersi che e” inammissibile, per difetto di specificita’, il ricorso per vizi di motivazione i cui motivi siano enunciati in forma perplessa o alternativa (Sez. 6, sent. n. 800 del 06/12/2011, dep. 12/01/2012, Bidognetti e altri, Rv. 251528), e quello fondato su una caotica esposizione delle doglianze, dal tenore confuso e scarsamente perspicuo, che renda particolarmente disagevole la lettura e che esuli dal percorso di una ragionata censura della motivazione del provvedimento impugnato (Sez. 2, sent. n. 7801 del 19/11/2013, dep. 19/02/2014, Hussien, Rv. 259063).

Nel caso in esame la difesa ha esposto in modo generico e confuso diverse censure generiche relative alla motivazione, affastellando definizioni e massime giurisprudenziali, senza tuttavia pervenire all’individuazione degli specifici passaggi delle argomentazioni del giudizio di responsabilita’ che risultano illogici o contraddittori.

Il ricorrente si e’ inoltre limitato a riproporre le medesime censure gia’ avanzate con l’atto di appello, senza in alcun modo confrontarsi con l’esaustiva argomentazione esposta dalla corte territoriale sul punto, e cio’ palesa la manifesta infondatezza del ricorso.

Anche il motivo di censura piu’ specifico, attinente alla grossonalita’ della contraffazione e’ inammissibile, in quanto la Corte di appello si e’ correttamente conformata – quanto alla qualificazione giuridica dei fatti accertati – al consolidato orientamento di questa Corte di legittimita’ (da ultimo, Sez. 5, n. 5260 dell’11/12/2013 – 03/02/2014, Rv. 258722), per la quale integra il delitto di cui all’articolo 474 c.p. la detenzione per la vendita di prodotti recanti marchio contraffatto senza che abbia rilievo la configurabilita’ della contraffazione grossolana, considerato che l’articolo 474 c.p. tutela, in via principale e diretta, non gia’ la libera determinazione dell’acquirente, ma la fede pubblica, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi e segni distintivi, che individuano le opere dell’ingegno e i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione anche a tutela del titolare del marchio; si tratta, pertanto, di un reato di pericolo, per la cui configurazione non occorre la realizzazione dell’inganno non ricorrendo quindi l’ipotesi del reato impossibile qualora la grossolanita’ della contraffazione e le condizioni di vendita siano tali da escludere la possibilita’ che gli acquirenti siano tratti in inganno.

Alla inammissibilita’ del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche’, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’ emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che ritiene equa, di Euro duemila a favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile- il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.

Motivazione semplificata.

Cosi’ deciso in Roma, il 5 dicembre 2017.

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