Corte di Cassazione, sezione seconda civile, ordinanza 14 dicembre 2017, n. 30057. Il praticante avvocato, decorsi sei anni dall’iscrizione al relativo registro perde ex lege l’ammissione al patrocinio, anche in assenza di cancellazione dal registro dei praticanti

[….segue pagina antecedente]

Conviene premettere che secondo il consolidato indirizzo di questa Corte (Cass. 4114 del 2 marzo 2016), e come recentemente riconosciuto dalla Corte costituzionale (Corte cost. n. 193 del 6.7.2016), il principio penalistico della c.d. lex mitior non si applica alle sanzioni amministrative, ne’ tanto meno alle controversie civili.
Cio’ posto non puo’ che ribadirsi, come affermato dalle Sezioni unite di questa Corte (Cass. Ss.Uu. 17761/08), in tema di pratica forense, che il R.Decreto Legge n. 1578 del 1933, articolo 8 prevede uno speciale registro in cui sono iscritti i laureati in giurisprudenza che svolgono la pratica per la professione di avvocato, i quali, dopo un anno dalla iscrizione, sono ammessi, per un periodo non superiore a sei anni, ad esercitare, limitatamente a determinati procedimenti, il patrocinio davanti ai tribunali del distretto nel quale e’ compreso l’ordine circondariale che ha la tenuta del registro medesimo. Una volta decorso il sessennio, l’iscritto non potra’ piu’ esercitare detto patrocinio, senza pero’ dover subire la cancellazione dal registro anzidetto, in assenza di specifica previsione normativa che la contempli, potendo, quindi, mantenere l’iscrizione per coltivare l’interesse a proseguire la pratica forense non in veste informale, ma con una precisa qualifica ed in un rapporto di giuridica dipendenze con un professionista gia’ abilitato.
Ne’ appare ravvisabile una situazione di “overruling”, in forza della quale restano salvi gli effetti degli atti processuali compiuti dalla parte che abbia fatto incolpevole affidamento sulla stabilita’ di una previgente interpretazione giurisprudenziale, atteso che l’indirizzo interpretativo su menzionato non ha comportato il mutamento dell’interpretazione di una regola del processo che preveda una preclusione o una decadenza in precedenza non prevista (Cass.929/2017): esso concerne, al contrario, un determinato assetto normativo di carattere sostanziale, avente ad oggetto le condizioni per il legittimo esercizio del patrocinio.
Il terzo motivo censura la statuizione dell’impugnata sentenza che ha affermato la nullita’ della prestazione professionale, in conseguenza del venir meno del patrocinio, deducendo la violazione e falsa applicazione del Regio Decreto n. 37 del 1934, articolo 14, del Regio Decreto n. 1578 del 1933, articolo 37 e L. n. 241 del 1990, articolo 45, e dell’articolo 1418 c.c., deducendo che, non avendo essa ricorrente ricevuto alcuna comunicazione della cancellazione dal registro dei praticanti abilitati, ha continuato in buona fede ad esercitare la professione.
Il motivo non ha pregio.
Deve infatti ribadirsi che, come gia’ evidenziato, una volta decorso il sessennio, l’iscritto non potra’ piu’ esercitare il patrocinio, senza dover necessariamente subire la cancellazione dal registro anzidetto, in assenza di specifica previsione normativa che la contempli.
La cancellazione dal registro, dunque, ne’, a fortiori, la mancata comunicazione della stessa, non producono dunque alcun effetto sul venir meno del patrocinio, che discende, ex se, dal decorso del termine di sei anni.
Il quarto motivo denuncia l’omessa pronuncia in relazione alla domanda di cancellazione di frasi offensive e denigratorie contenute nella comparsa conclusionale del giudizio di primo grado e conseguente domanda di risarcimento dei danni.
Il motivo e’ inammissibile.
Quanto alla mancata cancellazione delle frasi c.d. sconvenienti e conseguente risarcimento del danno, si rileva che, secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, l’istanza di cancellazione costituisce una mera sollecitazione per l’esercizio di detto potere discrezionale, di guisa che non puo’ formare oggetto di impugnazione l’omesso esame di esso, ne’ il mancato esercizio di suddetto potere (Cass. 22186/2009).
Il carattere discrezionale del potere di cancellazione delle espressioni sconvenienti di cui all’articolo 89 c.p.c., dunque, impedisce che il suo mancato esercizio da parte del giudice di merito possa essere censurato in sede di legittimita’ (Cass. 4963/2007).
Il ricorso va dunque respinto ed il ricorrente va condannato alla refusione delle spese del presente giudizio.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente alla refusione ad (OMISSIS) delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi 2.700,00 Euro, di cui 200,00 Euro per rimborso spese vive, oltre a rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *