Corte di Cassazione, sezione quarta penale, sentenza 7 settembre 2017, n. 40706. Le responsabilità del datore di lavoro/responsabile sicurezza per gli infortuni

 

Le responsabilità del datore di lavoro/responsabile sicurezza per gli infortuni sussiste anche quando il lavoratore infortunato sia stato imprudente, disattento o negligente e anche nel caso in cui non avrebbe nemmeno dovuto essere presente sul luogo di lavoro/dell’incidente.

 

 

Sentenza 7 settembre 2017, n. 40706
Data udienza 18 aprile 2017

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BLAIOTTA Rocco M. – Presidente

Dott. DI SALVO Emanuele – rel. Consigliere

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere

Dott. SERRAO Eugenia – Consigliere

Dott. MICCICHE’ Loredana – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) nato il (OMISSIS);

avverso la sentenza del 17/06/2016 della CORTE APPELLO di MILANO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 18/04/2017, la relazione svolta dal Consigliere EMANUELE DI SALVO;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. SANTE SPINACI che ha concluso per annullamento con rinvio.

Udito l’avv. (OMISSIS).

RITENUTO IN FATTO

1. (OMISSIS) ricorre per cassazione avverso la sentenza in epigrafe indicata, con la quale, in riforma della sentenza assolutoria di primo grado, e’ stata dichiarata la penale responsabilita’ del ricorrente, in ordine al reato di cui all’articolo 590 cod. pen. perche’, in qualita’ di datore di lavoro, omettendo di individuare, nel documento di valutazione dei rischi, misure di prevenzione e protezione da attuare per la gestione della viabilita’ all’interno dei capannoni ed omettendo di apporre la dovuta segnaletica, cagionava lesioni personali gravi al dipendente (OMISSIS), il quale, mentre era intento al proprio lavoro, veniva investito, all’interno del capannone, da un carrello elevatore, che stava effettuando una manovra di retromarcia.

2. Il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione, in considerazione dell’inattendibilita’ degli esiti del sopralluogo effettuato dal tecnico della Asl di Milano soltanto dopo qualche mese dalla verificazione del sinistro. Il (OMISSIS) infatti nel giorno del sinistro avrebbe dovuto svolgere la propria attivita’ lavorativa al di fuori dei capannone. Si reco’ all’interno di quest’ultimo esclusivamente per invitare il collega (OMISSIS) a bere un caffe’. Poiche’ quest’ultimo rifiuto’, il (OMISSIS) scese dal muletto su cui, in violazione di ogni disposizione, era salito, senza alcuna prudenza, e venne investito dal muletto stesso. Ha infatti dichiarato (OMISSIS) che il (OMISSIS) si chino’, nelle vicinanze del mezzo, per raccogliere dei bollini da alcune confezioni di dolci, rendendosi di fatto invisibile al (OMISSIS), che, nel compiere la manovra di retromarcia, urto’ con lo pneumatico posteriore destro il piede della persona offesa. Si e’ trattato dunque di un comportamento abnorme da parte del (OMISSIS), che, all’orario in cui si verifico’ l’infortunio, non avrebbe neanche dovuto essere presente sul luogo di lavoro, poiche’ il suo turno non era ancora iniziato, e che tenne una condotta assolutamente al di fuori della normale prevedibilita’. Appare dunque insussistente il nesso di causalita’, poiche’ le lesioni subite dal lavoratore non sono conseguenza di un’azione od omissione dell’imputato, in quanto, se il (OMISSIS) non avesse distolto l’attenzione del collega dall’attivita’ lavorativa, addirittura salendo e poi scendendo inopinatamente dal muletto, non si sarebbe verificato l’infortunio.

2.1. La Corte d’appello, trattandosi di ribaltamento dell’esito assolutorio del giudizio di primo grado, avrebbe dovuto risentire i testi e confutare specificamente i piu’ rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza. Il giudice di secondo grado si e’ invece limitato a ripercorrere le argomentazioni svolte negli atti d’appello del pubblico ministero e della parte civile, senza minimamente considerare le argomentazioni dell’imputato e riconoscendo un concorso di responsabilita’ della parte lesa, nella misura del 65%, in contrasto con la ritenuta responsabilita’ dell’imputato e senza neanche rappresentare i motivi a sostegno di tale quantificazione.

Si chiede pertanto annullamento della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.La prima doglianza e’ infondata. L’interruzione del nesso causale e’, infatti, configurabile esclusivamente laddove la causa sopravvenuta inneschi un rischio nuovo e del tutto incongruo rispetto al rischio originario, attivato dalla prima condotta (Cass., Sez. 4, n. 25689 del 3-5-2016, Rv. 267374; Sez. 4, n. 15493 del 10-3-2016, Pietramala, Rv. 266786; n. 43168 del 2013, Rv. 258085). Ne deriva che, laddove si verifichi un infortunio sul lavoro, l’interruzione del nesso causale e’ ravvisabile esclusivamente qualora il lavoratore ponga in essere una condotta del tutto esorbitante dalle procedure operative alle quali e’ addetto ed incompatibile con il sistema di lavorazione ovvero non osservi precise disposizioni antinfortunistiche. In questi casi, e’ configurabile la colpa dell’infortunato nella produzione dell’evento, con esclusione della responsabilita’ penale del titolare della posizione di garanzia (Cass., Sez. 4, 27-2-1984, Monti, Rv. 164645; Sez 4, 11-2-1991, Lapi, Rv. 188202). Viceversa, nel caso di specie, il giudice a quo ha posto in rilievo che l’ingresso del (OMISSIS) nell’area dove stava lavorando il mulettista non puo’ considerarsi atto abnorme, essendo assai probabile che qualsiasi lavoratore, anche esperto, ove non venga adeguatamente reso edotto dei rischi specifici di un’area, vi si rechi, esponendosi ai pericoli derivanti da errate manovre. A cio’ e’ da aggiungersi, in questa sede, che, sotto il profilo giuridico, non puo’ ritenersi causa sopravvenuta, da sola sufficiente a determinare l’evento, il comportamento imprudente di un soggetto, nella specie il lavoratore, che si riconnetta ad una condotta colposa del datore di lavoro (Cass., Sez. 4, n. 18800 del 13-4-2016, Rv. 267255; n. 17804 del 2015, Rv. 263581; n. 10626 del 2013, Rv.256391). Nel caso in esame, il Palmieri, secondo quanto risulta dalla sentenza impugnata, omise di procedere ad una corretta valutazione dei rischi specifici, nel settore viabilita’, nonche’ di apporre in loco idonea segnaletica. E’, pertanto, esente da censure la conclusione del giudice a quo, secondo cui, se e’ indubbia la sussistenza di profili di colpa a carico del lavoratore, nell’avvicinarsi al carrello elevatore, cio’ rileva solo ai fini del risarcimento del danno ma non vale ad elidere il nesso causale rispetto alla condotta del datore di lavoro. Tale asserto e’ perfettamente in linea con il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimita’, secondo cui compito del titolare della posizione di garanzia e’ evitare che si verifichino eventi lesivi dell’incolumita’ fisica intrinsecamente connaturati all’esercizio di talune attivita’ lavorative, anche nell’ipotesi in cui siffatti rischi siano conseguenti ad eventuali negligenze, imprudenze e disattenzioni dei lavoratori subordinati, la cui incolumita’ deve essere protetta con appropriate cautele. Il garante non puo’, infatti, invocare, a propria scusa, il principio di affidamento, assumendo che il comportamento del lavoratore era imprevedibile, poiche’ tale principio non opera nelle situazioni in cui sussiste una posizione di garanzia (Cass., Sez. 4., 22-101999, Grande, Rv. 214497). Il garante, dunque, ove abbia negligentemente e imprudentemente omesso di attivarsi per impedire l’evento, non puo’ invocare, quale causa di esenzione dalla colpa, l’errore sulla legittima aspettativa in ordine all’assenza di condotte imprudenti, negligenti o imperite da parte dei lavoratori, poiche’ il rispetto della normativa antinfortunistica mira a salvaguardare l’incolumita’ del lavoratore anche dai rischi derivanti dalle sue stesse imprudenze e negligenze o dai suoi stessi errori, purche’ connessi allo svolgimento dell’attivita’ lavorativa (Cass., Sez. 4, n. 18998 del 27-3-2009, Rv. 244005). Ne deriva che il titolare della posizione di garanzia e’ tenuto a valutare i rischi e a prevenirli e la sua condotta non e’ scriminata, in difetto della necessaria diligenza, prudenza e perizia, da eventuali responsabilita’ dei lavoratori (Cass., Sez. 4, n. 22622 del 29-4-2008, Rv. 240161). Ne consegue che non vi e’ alcuna antinomia logica fra il riconoscimento di un concorso di colpa del lavoratore, anche in misura notevole (65%), e la declaratoria di responsabilita’ del datore di lavoro.

2.Del tutto correttamente, poi, la Corte territoriale ha negato qualunque rilievo alla questione relativa all’orario di inizio dell’attivita’ lavorativa, da parte dell’infortunato. Non puo’ infatti ascriversi al (OMISSIS) la responsabilita’ dell’accaduto sulla base del rilievo che, al momento in cui si verifico’ il sinistro, egli non avrebbe dovuto essere presente sul luogo di lavoro. La violazione delle regole inerenti ai turni di lavoro e’ infatti del tutto irrilevante ai fini delle valutazioni relative all’infortunio verificatosi. Ai fini dell’ascrivibilita’ di una responsabilita’ a titolo di colpa, occorre infatti verificare se la regola violata fosse diretta ad evitare eventi della tipologia di quello verificatosi. L’evento deve dunque apparire come una concretizzazione del rischio che la norma di condotta violata tendeva a prevenire (Cass., Sez. 4, n. 1819 del 03/10/2014, Rv. 261768; n. 36857 del 2009 Rv. 244979). Viceversa, le regole dettate in tema di ripartizione dei turni di lavoro non sono certamente volte ad evitare gli infortuni su lavoro, non avendo neanche natura cautelare ma semplicemente organizzativa. E’ dunque giuridicamente infondato qualunque tentativo di istituire una connessione fra un evento lesivo verificatosi e la violazione di una regola di natura non cautelare e preordinata al soddisfacimento di esigenze di carattere operativo, completamente esulanti dall’ottica delle prevenzione degli infortuni sul lavoro.

3. Infondato e’ anche il secondo motivo di ricorso, che pone due questioni: la mancata rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello e il ribaltamento della pronuncia assolutoria di primo grado senza un’adeguata confutazione degli argomenti addotti dal primo giudice.

Per quanto attiene alla prima questione, occorre osservare che La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, con sentenza n. 8999 del 5 luglio 2011, Dan. C Moldavia, si e’ espressa nel senso che il giudice che, per ultimo, ha la responsabilita’ di decidere la colpevolezza o l’innocenza di un imputato deve ascoltare personalmente i testimoni dalla cui deposizione deriva la prova principale dei fatti, poiche’ la valutazione della loro attendibilita’ e’ un compito complesso, che non puo’ ridursi alla mera lettura dei verbali delle loro dichiarazioni (conf. Corte EDU, n. 36605 del 5-3-2013; Corte EDU, n. 17520 del 9-4-2013). Il principio e’ stato ribadito dalle Sezioni unite, che, con sentenza del 28-4-2016, Dasgupta, hanno condivisibilmente stabilito che il giudice di appello, qualora ritenga di riformare nel senso dell’affermazione di responsabilita’ dell’imputato, la sentenza di proscioglimento di primo grado, sulla base di una diversa valutazione della prova dichiarativa,ritenuta decisiva dal primo giudice, deve, in ragione di una interpretazione convenzionalmente orientata, ex articolo 6, par. 3, lettera d), della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali, dell’articolo 603 cod. proc. pen., disporre la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, mediante l’esame dei soggetti che hanno reso le relative dichiarazioni. Ne deriva che la sentenza del giudice di appello che, in riforma di quella di proscioglimento di primo grado, affermi la responsabilita’ dell’imputato sulla base di una diversa valutazione della prova dichiarativa, ritenuta decisiva,senza avere proceduto alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, e’ affetta da vizio di motivazione, in quanto la condanna contrasta, in tal caso, con la regola di giudizio dell’al di la’ di ogni ragionevole dubbio”, di cui all’articolo 533 c.p.p., comma 1. Discende da tale impostazione che non qualunque prova dichiarativa va rinnovata ma soltanto quella che, nella prospettiva del giudice di secondo grado, sia da considerarsi decisiva ai fini della pronuncia sulla responsabilita’. Orbene, dall’ analisi del tessuto argomentativo della sentenza impugnata emerge che l’unica prova dichiarativa connotata da tale valenza di decisivita’, anche in relazione alla tesi difensiva inerente all’abnormita’ del comportamento dell’infortunato, era l’audizione del mulettista, prova che non era pero’ suscettibile di assunzione di fronte al giudice di appello, atteso che gia’ in primo grado il teste era risultato irreperibile, tant’e’ che le sue dichiarazioni erano state acquisite ex articolo 512 cod. proc. pen..

 

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