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Tuttavia il dato non ha il rilievo che ha inteso attribuirgli la difesa (imponendo alla corte territoriale di replicare). I doveri di valutazione del rischio e di formazione del lavoratore gravanti sugli odierni imputati, in quanto datori di lavoro “mandanti” (secondo un lessico già in uso nel mondo della produzione e dei servizi), non trovavano origine nel fatto che la R. fosse stata inviata in un cantiere o piuttosto in un altro tipo di ambiente di lavoro. Essi, piuttosto, sorgevano dal generale obbligo del datore di lavoro di valutare tutti i rischi presenti nei luoghi di lavoro nei quali sono chiamati ad operare i dipendenti, ovunque essi siano situati (art. 15 D.Lgs.n. 81/08) e dal parimenti generale obbligo di formare i lavoratori, in particolare in ordine ai rischi connessi alle mansioni (art. 37, co. 1, lett. b) D.Lgs.n. 81/08). Infatti, la restrittiva nozione di “luogo di lavoro” rinvenibile nell’art. 62 D.Lgs.n. 81/2008 (a mente del quale si intendono per “luoghi di lavoro” ‘i luoghi destinati ad ospitare posti di lavoro, ubicati all’interno dell’azienda o dell’unità produttiva, nonché ogni altro luogo di pertinenza dell’azienda o dell’unità produttiva accessibile al lavoratore nell’ambito del proprio lavoro’), è posta unicamente in relazione alle disposizioni di cui al Titolo II del citato decreto. E quindi va ribadito che ogni tipologia di spazio può assumere la qualità di ‘luogo di lavorò; a condizione che ivi sia ospitato almeno un posto di lavoro o esso sia accessibile al lavoratore nell’ambito del proprio lavoro (cfr. Sez. 4, n. 2343 del 27/11/2013 – dep. 20/01/2014, S. e altro, Rv. 258435; Sez. 4, n. 28780 del 19/05/2011 – dep. 19/07/2011, Tessari e altro, Rv. 250760; Sez. 4, n. 40721 del 09/09/2015 – dep. 09/10/2015, Steinwurzel, Rv. 26471501).
Sono piuttosto le modalità di adempimento di tale obbligo ad essere caratterizzate dal trattarsi o meno di un cantiere. E ciò perché il Titolo IV del D.Lgs.n. 81/08 delinea per tali particolari luoghi di lavoro una disciplina specifica.
Tanto implica che mentre le attività “in esterno” da eseguirsi presso un luogo non classificabile come cantiere temporaneo o mobile richiedono la preliminare valutazione dei rischi delineata dall’art. 28 del decreto, quelle da eseguirsi presso un cantiere divengono oggetto della più articolata disciplina prevista dal menzionato Titolo IV.
Calando simili premesse nel caso che occupa non risulta dubbio che gli imputati avrebbero dovuto provvedere, il C. , perché datore di lavoro della R. , ad elaborare la preliminare valutazione dei rischi connessi all’esecuzione di attività lavorativa presso il sito costituito dall’edificio oggetto dei lavori da progettare e a formare la lavoratrice in merito agli stessi. Obbligo, quest’ultimo, gravante anche sul B. , in qualità di dirigente nell’ambito della Se-arch s.r.l..
Né vi è dubbio sul fatto che l’an e il quomodo della valutazione dei rischi e dell’attività di formazione non risultano in alcun modo dipendenti dalla presenza di una specifica sorgente di rischio (l’apertura del vano scala al piano terra piuttosto che quella al primo piano), risultando rilevante invece la tipologia di rischio esistente, ovvero la caduta dall’alto per la presenza di aperture nel vuoto. Puntuale e pertinente, quindi, è la sottolineatura fatta dalla Corte di Appello della esistenza nell’edificio nel suo complesso di condizioni di rischio di caduta dall’alto: vano scala non protetto al primo piano fuori erra, inadeguata protezione del vano ascensore e assenza di protezione del vano scala al primo piano. Sicché la critica mossa dai ricorrenti – di aver la Corte di Appello rinvenuto una responsabilità dei proprietari del’immobile, tuttavia mandati assolti dal Tribunale – non risulta né fondata né coordinata al senso del rilievo operato dai giudici distrettuali.
A fronte di un simile rischio – si tace di altri, perché non rilevanti ai fini del discorso che si sta compiendo – l’attività di formazione non era certo esclusa dalla semplicità delle misure da adottare. Se si può convenire con i ricorrenti che la pretesa espressa dalla Corte di Appello di apporre segnalazioni di pericolo per l’eventualità che venisse rimossa la chiusura in cartongesso del vano scala appare incongrua, perché sostanzialmente apodittica e fondata sul “senno del poi” (la maggior parte delle misure precauzionali può essere eliminata, ma non per questo può pretendersi l’adozione di cautele che prevengano l’eliminazione delle misure adottate: la corte non chiarisce perché dovesse prevedersi l’eliminazione della copertura), allo stesso tempo va rimarcato che con la formazione si impartiscono al lavoratore direttive, sia pure in una forma che potrebbe dirsi di “soft law”, le quali indicano allo stesso quale comportamento si pretende da lui; gli si indica quel che ci si attende e cosa non deve fare. In assenza di formazione si lascia il lavoratore nella necessità di decidere ciò che egli deve come comportamento cautelare. Ed è certo possibile che questi erri, anche in modo macroscopico. L’intero sistema prevenzionistico sconta l’ipotesi del comportamento negligente, imperito, imprudente del lavoratore. L’evocazione di una sua appartenenza al novero dei garanti della sicurezza per negare tale assunto di fondo è per più aspetti erronea: in primo luogo perché la previsione di obblighi cautelari in capo al lavoratore è finalizzata ad evitare che egli determini pericoli per l’altrui salute; in secondo luogo perché per imputare al lavoratore medesimo l’infortunio del quale egli è rimasto vittima occorre escludere che altri non ne siano stati causa.
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