Corte di Cassazione, sezione prima penale, sentenza 13 aprile 2018, n. 16531.
In tema di confisca, il prodotto del reato rappresenta il risultato, cioe’ il frutto che il colpevole ottiene direttamente dalla sua attivita’ illecita; il profitto, a sua volta, e’ costituito dal lucro, e cioe’ dal vantaggio economico che si ricava per effetto della commissione del reato; il prezzo, infine, rappresenta il compenso dato o promesso per indurre, istigare o determinare un altro soggetto a commettere il reato e costituisce, quindi, un fattore che incide esclusivamente sui motivi che hanno spinto l’interessato a commettere il reato e altre.
Sentenza 13 aprile 2018, n. 16531
Data udienza 31 marzo 2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MAZZEI Antonella P. – Presidente
Dott. NOVIK Adet Toni – Consigliere
Dott. TARDIO Angela – rel. Consigliere
Dott. BONITO Francesco M. S. – Consigliere
Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 27/05/2016 Corte di appello di Venezia;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
sentita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa TARDIO Angela;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MAZZOTTA Gabriele, che ha chiesto il rigetto del ricorso con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore dello Stato.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 27 maggio 2315 la Corte di appello di Venezia, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha rigettato l’opposizione proposta nell’interesse di (OMISSIS), ai sensi dell’articolo 667 c.p.p., comma 4, avverso l’ordinanza del 4 marzo 2016, con la quale la stessa Corte, in funzione di giudice dell’esecuzione, aveva disposto la confisca delle somme di Euro 2.200,00 e di Euro 11.475,00, sequestrate all’interessato nel procedimento penale n. 1128/2015 R.G., definito con sentenza del 19 giugno 2015, irrevocabile il 3 dicembre 2015.
La Corte, premettendo che la confisca era stata disposta in sede esecutiva con riguardo al profitto di delitti concernenti la materia degli stupefacenti per i quali l’opponente aveva riportato condanna definitiva, rilevava, a ragione della decisione, che:
– sussisteva il necessario nesso di pertinenzialita’ del denaro, chiesto in restituzione, ai delitti concernenti lo spaccio di stupefacenti, descritti e giudicati con sentenza definitiva;
– le somme indicate erano state sequestrate in occasione delle perquisizioni personale e domiciliare, operate a carico dell’opponente il 20 novembre 2013, e lo stesso era reo confesso in ordine alla relazione esistente tra il denaro reperito in sue mani e la insistita iniziativa di spaccio;
– la Corte di appello, riformando la sentenza di primo grado con il riconoscimento dell’attenuante di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 7, aveva ridotto la pena irrogata all’opponente ad anni uno e mesi dieci di reclusione, senza nulla disporre, come gia’ quella di primo grado, in ordine alla destinazione del denaro;
– la confisca era stata disposta in sede esecutiva per essere la somma “anche materialmente identificata in quella di accertata acquisizione nella disponibilita’ dell’istante a mezzo di riconosciuta sua iniziativa delinquente”;
– sussisteva, quindi, un solido rapporto pertinenziale tra denaro confiscabile costituente profitto del reato, e come tale corpo di reato, e iniziativa delinquente, richiesto dall’articolo 240 c.p., comma 1;
– il possesso di somme provenienti da negozio contrario a norme di ordine pubblico, in ragione di una negoziazione costituente delitto ovvero ingiusta, non poteva comunque ritenersi di buona fede;
– l’opponente, in quanto parte di negozio contra legem, non aveva, in ogni caso, interesse suscettibile di protezione alla restituzione delle somme sequestrate costituenti illecita controprestazione, trovandosi rispetto al bene in una relazione puramente materiale segnata da malafede originaria.
2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione, per mezzo del suo difensore avv. (OMISSIS), l’interessato (OMISSIS), che ne chiede l’annullamento sulla base di due motivi.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), contraddittorieta’ della motivazione del provvedimento impugnato rispetto agli atti del processo (sentenza di primo grado e interrogatorio reso in sede di udienza di convalida dell’arresto in flagranza) e travisamento della prova.
Secondo il ricorrente, l’ordinanza che ha incentrato la motivazione sul fatto che egli aveva ammesso che le somme sequestrate nel corso della perquisizione personale e di quella domiciliare erano di provenienza illecita, e quindi profitto del reato contestato, e che dette somme erano state ritenute dal Giudice di primo grado provento di pregressa attivita’ di spaccio, ha svolto affermazioni contrastanti con l’effettivo contenuto degli atti richiamati, poiche’ una tale confessione non e’ mai avvenuta e la sentenze di merito non hanno in nessun punto rappresentato che il denaro sequestrato era provento di attivita’ di spaccio.
Le sentenze si sono limitate o riportare il contenuto del verbale di perquisizione e sequestro e a rinviare al suo interrogatorio, dando atto che egli aveva fornito spiegazioni sulla provenienza del denaro, e, nel corso dell’interrogatorio, egli ha rivendicato la legittimita’ del possesso del denaro, ammettendone la provenienza delittuosa solo di una parte e documentando, poi, le sue significative fonti di reddito lecite.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la nullita’ della disposta confisca per violazione dell’articolo 240 cod. pen. e articolo 676 cod. proc. pen..
Secondo il ricorrente, la confisca, secondo condivisi principi, puo’ essere disposta in sede esecutiva solo ove obbligatoria, mentre la confisca del profitto del reato, cui l’ordinanza si e’ riferita, e facoltativa e puo’ essere disposta solo dal giudice di merito nel momento in cui pronuncia sentenza di condanna.
La Corte di merito, precisando che egli non potrebbe vantare un diritto alla restituzione della somma in questione perche’ “provento di negozio contrario all’ordine pubblico e al buon costume, in virtu’ di negoziazione costituente reato”, ha creato una forma di confisca obbligatoria atipica, non prevista dall’ordinamento e incentrata sui presupposti della confisca facoltativa del profitto del reato, invece non consentita in sede esecutiva.
3. Il Sostituto Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta chiedendo il rigetto del ricorso per la sua infondatezza.
4. Con memoria depositata il 28 febbraio 2017 il ricorrente, in replica alle conclusioni della Procura generale, ha insistito nell’annullamento dell’ordinanza impugnata per le ragioni esposte in ricorso e ulteriormente esplicate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, integrato con la memoria difensiva, merita accoglimento nei termini che saranno precisati.
2. Secondo il costante orientamento di legittimita’, la confisca, se facoltativa, puo’ essere ordinata soltanto dal giudice che pronuncia la condanna dell’imputato, mentre, se obbligatoria per legge, puo’ essere disposta anche dal giudice dell’esecuzione (tra le altre, Sez. 1, n. 5409 del 06/10/1999, Andolina, Rv. 214435; Sez. 1, n. 18343 del 23/02/2011, Andreano, Rv. 250234; Sez. 1, n. 17546 del 20/04/2012, Ebrabim, Rv. 252888; Sez. 1 n. 27172 del 16/04/2013, Biosa, Rv. 256614).
Si e’, in tal senso, rimarcato che solo il giudice del merito puo’, sulla base del complesso degli atti del procedimento e della valutazione dell’imputato, adottare il provvedimento discrezionale di cui all’articolo 240 c.p., comma 1, “motivandolo alla luce della sua finalita’ di prevenire la consumazione di futuri reati e valutando il collegamento non meramente occasionale tra l’oggetto (o la somma) e il reato e la possibilita’ futura del ripetersi di un altro reato, con la conseguente necessita’ di escludere dalla disponibilita’ del reo cose che potrebbero fomentare la commissione di nuovi illeciti penali” (Sez. 1, n. 17546 del 20/04/2012, citata, in motivazione; in tal senso, tra le altre, Sez. 4, n. 11982 del 14/02/2007, Indelicato, Rv. 235282).
In particolare, stante il tenore dell’articolo 240 cod. pen., mentre “nel caso di condanna, i giudice puo’ ordinare la condisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, e delle cose che ne sono il prodotto o il profitto” (comma 1), “e’ sempre ordinata la confisca: 1) delle cose che costituiscono il prezzo del reato: 2) delle cose, fabbricazione, l’uso, il porto, la detenzione o l’alienazione delle quali costituisce reato anche se non e’ stata pronunciata condanna” (comma 2).
E’ appena il caso di rammentare sul punto che, in tema di confisca, il prodotto del reato rappresenta il risultato, cioe’ il frutto che il colpevole ottiene direttamente dalla sua attivita’ illecita; il profitto, a sua volta, e’ costituito dal lucro, e cioe’ dal vantaggio economico che si ricava per effetto della commissione del reato; il prezzo, infine, rappresenta il compenso dato o promesso per indurre, istigare o determinare un altro soggetto a commettere il reato e costituisce, quindi, un fattore che incide esclusivamente sui motivi che hanno spinto l’interessato a commettere il reato e altre, Sez. U, n. 9149 del 03/07/1996, Chabni Samir Rv, 205707; Sez. U. n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264436).
3. Nel caso di specie, la Corte di appello di Venezia, in funzione di giudice dell’esecuzione, procedendo dal rilievo che il denaro – in ordine alla cui destinazione nulla era stato disposto con la sentenza di condanna definitiva e la cui restituzione era stata chiesta in executivis – era stato sequestrato, in esito alle operate perquisizioni (personale e domiciliare) del 20 novembre 2013 nel procedimento penale, definito con detta sentenza, per delitti concernenti lo spaccio di stupefacenti, ha rappresentato che la somma (pari a complessivi Euro 13.675,00 in banconote di piccolo taglio) era stata motivatamente ritenuta dal Giudice di primo grado “provento di pregressa attivita’ di spaccio”, e che “la specifica relazione esistente tra denaro reperito (…) e “insistita iniziativa di spaccio”” trovava fondamento nelle dichiarazioni rese dal medesimo (OMISSIS), in sede di convalida del suo arreso, riconducenti “quelle e non altre” somme alla propria strutturata attivita’ delinquenziale.
Nel rimarcare ulteriormente nello sviluppo decisionale, anche con richiami in diritto, che le somme, percepite dallo spacciatore di sostanze stupefacenti per effetto della illecita transazione: costituiscono profitto di reato; esatto dall’articolo 240 c.p., comma 1, la stessa Corte e’ pervenuta all’epilogo conclusivo non espresso, ma univocamente sotteso a tale riferimento normativo, della facoltativita’ della confisca, che, disposta de plano, ha confermato con valutazioni che, proprie del giudice del merito; alla stregua dei ridetti principi, non incidono sulla qualificazione della confisca in termini di facoltativita’.
La confisca, sotto l’indicato profilo non poteva pertanto essere disposta in sede esecutiva ai sensi dell’articolo 676 cod. proc. pen..
4. Il Giudice dell’esecuzione ha, pero’, introdotto una ulteriore e diversa ratio decidendi, rilevando, attraverso lo spostamento del tema sulla possibilita’ di restituzione delle somme sequestrate, che e stesse, in quanto rinvenienti da “negozio contrario a norme di ordine pubblico in ragione di una negoziazione costituente delitto, e, comunque ingiusta, secondo la coscienza comune anche delle persone meno dotate”, costituiscono illecita controprestazione, e, pertanto, non possono essere restituite a chi, come il condannato, odierno ricorrente, cedente della droga, le ha ricevute come compenso di attivita’ di spaccio, instaurando con esse, senza conseguirne la titolarita’, una relazione solo materiale, contrassegnata da malafede.
4.1. Si rileva in diritto che le Sezioni Unite (Sez. U, n. 9149 del 03/07/1996, Chabni Samir, Rv. 205708) hanno da tempo chiarito con riferimento di sequestro di una somma di denaro derivante della cessione di sostanza stupefacente nell’enunciare il principio alla cui stregua la confisca, nella fattispecie esaminata relativa alla sentenza resa ai sensi dell’articolo 444 cod. proc. pen., puo’ essere disposta solo ove obbligatoria e con esclusione, quindi, delle cose che rappresentano il prodotto o il profitto del reato – che il ventaglio di soluzioni delle possibili verificabili ipotesi “si puo’ cosi’ descrivere: a) allorche’ il giudice di merito abbia, sulla base di un accertamento di fatto, affermato in sentenza e correttamente motivato che la somma sequestrata costituisce “prezzo” del reato, legittimamente viene disposta, nel rito del patteggiamento, la confisca, e l’eventuale ricorso per cassazione deve essere rigettato; – allorche’ il giudice di merito abbia provveduto, con la sentenza in sede di patteggiamento, alla confisca della somma in sequestro, pur qualificata, dopo l’accertamento di fatto, “prodotto” o “profitto” del reato, l’eventuale ricorso per cassazione va dichiarato inammissibile per carenza di interesse (mancando, in capo all’imputato, parte di un negozio illecito per contrarieta’ a norme imperative, il diritto a rientrare nella disponibilita’ della somma costituente la controprestazione della cessione), e sempre che l’imputato non contesti in radice il rapporto di connessione tra bene e reato; e) – allorche’ il giudice di merito, senza curarsi di provvedere alla qualificazione e senza accertamenti e motivazione al riguardo, abbia provveduto alla confisca del bene, sussiste certamente l’interesse all’impugnazione da parte dell’imputato, sempre pero’ che costui abbia contestato, nel giudizio di merito, ovvero anche solo con i motivi di ricorso, l’esistenza di un qualsiasi nesso tra il reato e il danaro, adducendo a riguardo una qualsivoglia motivazione. Negli ultimi due casi, essendo precluso qualsiasi accertamento in fatto in sede di legittimita’ e non potendo essere annullata con rinvio una sentenza resa in sede di patteggiamento, sempre che sul punto non esista una clausola concordata, la disposizione relativa alla confisca va eliminata, al fine di consentire all’interessato di far valere le sue ragioni in sede esecutiva”.
Il riferimento alla mancanza, in caso all’imputato, parte di un negozio illecito per contrarieta’ a norme imperative, del diritto a rientrare nella disponibilita’, della somma costituente la controprestazione della cessione della sostanza stupefacente e’ stato piu’ volte ripreso nella successiva giurisprudenza di legittimita’ (tra le altre, Sez. 1 n. 1974 del 11/03/1999, Luccarini, Rv. 213281;
Sez. 4, n. 1140 del 14/04/1999, Mbai Gom, Rv. 213544; Sez. 6, n. 16726 del 26/02/2003, Anta Rv. 224961; Sez. 6, n. 44096 del 18/11/2010, Mbaye, Rv. 249073: Sez. 3, n. 45925 del 09/10/2014, Fall Rv. 260869), espressamente annotandosi, in fattispecie, in cui la sentenza non aveva disposto ne’ la confisca ne’ la restituzione del denaro trovato in possesso di un soggetto nei cui confronti era stata applicata a pena su richiesta per il delitto di spaccio di stupefacenti, che e’ onere dell’interessato far valere il suo diritto alla restituzione del presunto profitto del reato, rivolgendosi al giudice dell’esecuzione il quale, qualora accerti che effettivamente il bene in sequestro vada qualificato come profitto del reato, non puo’ disporre la restituzione, trattandosi comunque di provento conseguente a negozio illecito per contrarieta’ a norme imperative (Sez. 6, n. 46217 del 12/11/2013, Diao, Rv. 258234).
4.2. Di tali condivisi principi il Giudice dell’esecuzione, che ne ha fatto esatto richiamo, non ha proceduto a corretta applicazione.
Posta, invero, l’attinenza dei poteri del giudice dell’esecuzione al giudicato, i cui contenuti vanno interpretati alla luce delle deduzioni e obiezioni espresse dal condannato con lo strumento dell’incidente di esecuzione, di detti rilievi il Giudice deve farsi carico, apprezzando nella fase dell’opposizione, caratterizzata dal contraddittorio tra le parti, i presupposti per il mantenimento del provvedimento adottato de plano.
Cio’ implica che, ove la regiudicanda afferisca alla liceita’ della provenienza del denaro, e segnatamente del negozio cui attenga la prestazione della quale il denaro costituisce corrispettivo misurandosi con la legittimita’ della negoziazione la buona fede del richiedente e con essa la titolarita’ del denaro, l’accertamento da farsi deve riguardare anche la fondatezza della dedotta parziale pertinenza del denaro ad attivita’ lecita, il cui espletamento sia allegato e dimostrato, e quindi della contestazione della esistenza, invece ritenuta, di un nesso tra il reato e il danaro.
Detto accertamento e’ invece, mancato su presupposto che il ricorrente fosse “confesso sul punto della pertinenzialita’ del denaro”, preteso in restituzione, alla “insistita iniziativa di spaccio” astraendosi tuttavia da una coerente risposta ai rilievi opposti riproposti con allegazione al ricorso, ai fini della sua autosufficienza, sia della sentenza di condanna di primo grado sia del verbale di interrogatorio rese del ricorrere in sede di convalida del suo arresto, dei quali, denunciato l’incorso travisamento, e’ rappresentata la valenza ai fini della decisione.
5. Conclusivamente, per le ragioni espresse e in coerenza con quanto rappresentato, l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio alla Corte di appello di Venezia, che procedera’ a nuovo esame.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame alla Corte di appello di Venezia.
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