Suprema Corte di Cassazione
sezione lavoro
sentenza n. 6971 del 20 marzo 2013
Svolgimento del processo
C.M., con ricorso depositato il 5.10.2001 innanzi al Tribunale di Venezia, esponeva di avere prestato attività lavorativa alle dipendenze di CoopService s.c.a.r.l. con mansioni “di pulizia e sanificazione” presso l’appalto di pulizia degli ufficio della Regione, a (omissis), ma che con lettera del 24.7.2000 la società le aveva comunicato che, a causa di lavori di ristrutturazione e di spostamento dei detti uffici, dal 31.7.2000 avrebbe dovuto svolgere le sue mansioni (con lo stesso orario 5-8 del mattino) presso la nuova sede in (omissis).
Aggiungeva che tale spostamento del luogo di lavoro le rendeva impossibile garantire la sua presenza nell’orario indicato per la carenza di mezzi di trasporto e per non avere la patente di guida ed un automezzo proprio, ma che ciò nonostante la società si era rifiutata di ricercare una diversa soluzione alla situazione creatasi.
Soggiungeva che successivamente la società le aveva dapprima contestato le assenze dal lavoro nelle giornate: “1.8.00,2.8.00, 3 – 4.8.00, 5-7-8.8.00, 9-10.8.00”, poi la “recidiva”, ed, infine, con lettera del 11.8.2000 le aveva intimato il licenziamento disciplinare, tempestivamente poi impugnato. Tanto esposto, deduceva che l’azienda non aveva provveduto ad affiggere il codice disciplinare in luogo accessibile ai lavoratori; che non era decorso al momento della spedizione della lettera di licenziamento il termine a difesa di cinque giorni, di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 7; che il licenziamento era privo di motivazione prevista dal c.c.n.l.. Pulizie (art. 38) e riferito alla violazione dell’art. 38 c.c.n.l. relativo ad illeciti disciplinari non ricorrenti nel caso di specie; che la sua assenza non era ingiustificata, attesa l’impossibilità di recarsi al luogo di lavoro.
Chiedeva, quindi, che, accertata l’illegittimità del licenziamento intimatole, la società convenuta fosse condannata a reintegrarla nelle precedenti mansioni, nonchè a risarcirle il danno in misura pari alle retribuzioni perdute dal momento del licenziamento a quello dell’effettiva reintegra.
La società, costituitasi, contestava con articolate argomentazioni quanto dedotto dalla C..
L’adito Tribunale rigettava le domande, rilevando che l’istruttoria svolta e la documentazione in atti non avevano consentito di accertare la fondatezza, degli assunti della ricorrente.
Avverso tale decisione proponeva appello la lavoratrice, con cui, rinunciate le eccezioni sollevate di illegittimità del licenziamento per mancata affissione del codice disciplinare, per violazione del termine di gg. 5 previsti a difesa del lavoratore e per mancata motivazione, lamentava l’erroneità del giudizio sulla violazione della L. n. 300 del 1970, art. 7 in relazione all’art. 38 c.c.n.l..
Lamentava, inoltre, la erroneità della decisione quanto alla carenza di un comportamento colposo disciplinarmente rilevante, per non aver considerato il Tribunale la dedotta sua impossibilità materiale di raggiungere la nuova sede di lavoro, in relazione alla quale assumeva di avere formulato uno specifico capitolo di prova non ammesso, che, comunque, reiterava in sede di appello.
La società appellata resisteva al gravame di cui chiedeva il rigetto.
Con sentenza del 20 marzo – 27 agosto 2007, l’adita Corte d’appello di Venezia, ritenendo corretta la determinazione del primo Giudice, rigettava l’impugnazione.
Per la cassazione di tale pronuncia ricorre la C. con quattro motivi.
Resiste la Coopservice – Servizi di Fiducia – Società Cooperativa per Azioni con controricorso.
Entrambe le parti hanno presentato memorie ex art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
Va preliminarmente disattesa l’eccezione, sollevata dalla società controricorrente, di decadenza dall’impugnazione ex art. 327 c.p.c. e conseguente inammissibilità del ricorso per cassazione per tardività della notifica.
Rileva in proposito la società che la sentenza impugnata è stata pubblicata il 27.8.2007 e che il ricorso per cassazione avverso tale sentenza è stato notificato il 29.8.2008. Ne conseguirebbe – a dire delle società – la tardività dell’impugnazione per essere decorso il termine annuale dalla pubblicazione della sentenza gravata ex art. 327 c.p.c., non potendosi invocare “la giurisprudenza secondo cui per il notificante la notifica si perfeziona al momento della consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario, in quanto il presente atto è stato notificato dal procuratore della ricorrente e non già a mezzo dell’ufficiale giudiziario”.
Osserva il Collegio che l’assunto non è condivisibile, in quanto, in tema di notificazione a mezzo del servizio postale, il principio, derivante dalla sentenza n. 477 del 2002 della Corte costituzionale, secondo cui la notificazione a mezzo posta deve ritenersi perfezionata per il notificante con la consegna dell’atto da notificare all’ufficiale giudiziario, ha carattere generale, e trova pertanto applicazione anche nell’ipotesi in cui la notifica a mezzo posta venga eseguita, anzichè dall’ufficiale giudiziario, dal difensore della parte ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 1 essendo irrilevante la diversità soggettiva dell’autore della notificazione, con l’unica differenza che alla data di consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario va in tal caso sostituita la data di spedizione del piego raccomandato, da comprovare mediante il riscontro documentale dell’avvenuta esecuzione delle formalità richieste presso l’Ufficio postale, non estendendosi il potere di certificazione, attribuito al difensore dall’art. 83 cod. proc. civ. alla data dell’avvenuta spedizione, e non essendo una regola diversa desumibile dal sistema della L. n. 53 del 1994 (cfr. Cass. n. 17748/2009).
Nel caso in esame risulta dalla prodotta documentazione che l’esecuzione delle formalità presso l’Ufficio postale e la stessa spedizione del piego raccomandato portano la data del 26/8/2006 con conseguente tempestività del ricorso rispetto alla data di deposito della sentenza.
Con il primo motivo di ricorso la C. denuncia omessa motivazione circa fatto controverso e decisivo per il giudizio “riguardante la richiesta di prova, già con il ricorso ex art. 414 c.p.c., in ordine al fatto che non vi erano mezzi pubblici che consentissero alla ricorrente di raggiungere la nuova sede di lavoro alle cinque del mattino e che la stessa non era in possesso di patente di guida e automezzo proprio e, conseguentemente si trovava nell’impossibilità di rendere la prestazione richiesta”.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 416 c.p.c., in quanto, a suo dire, l’impossibilità materiale di raggiungere (omissis), nuova designata sede di lavoro, non era stata specificamente contestata da Coopservice.
Con il terzo motivo viene denunciata omessa motivazione circa fatto controverso e decisivo per il giudizio riguardante la circostanza che dall’istruttoria svolta era risultato provato che non vi erano mezzi pubblici che consentissero alla ricorrente di raggiungere la nuova sede di lavoro alle cinque del mattino e che la stessa non era in possesso di patente di guida e automezzo proprio.
Con il quarto motivo, infine, la ricorrente denuncia violazione della L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 7 ed in ogni caso, insufficiente motivazione circa fatto controverso e decisivo riguardante la circostanza che in causa non era affatto risultato provato che la ricorrente avesse rifiutato altre sedi di lavoro proposte dalla Coopservice.
Il ricorso, pur valutato nelle sue diverse articolazioni, è infondato.
Anzitutto occorre notare che, affinchè risulti realizzato l’illecito disciplinare di assenza ingiustificata dal posto di lavoro, è sufficiente la mancanza di una comprovata giustificazione nel momento in cui il fatto viene contestato dal datore di lavoro; nè l’illecito è escluso quando la prova della giustificazione – pur possibile in precedenza – sia stata fornita dal lavoratore licenziato solo nella fase processuale in cui egli abbia impugnato il licenziamento.
Per di più la Corte territoriale ha chiarito che – contrariamente a quanto sostenuto dalla C. – la Coopservice aveva tempestivamente ed in forma sufficiente contestato, nella memoria di costituzione, la sussistenza dell’asserita impossibilità materiale del raggiungimento della provvisoria sede lavorativa assegnata alla lavoratrice dopo che, essendo pacificamente in atto lavori di ristrutturazione presso gli uffici provinciali (omissis), non era più temporaneamente possibile la sua prestazione nel predetto posto di lavoro; inoltre, la stessa società aveva ricordato (e poi provato in causa) i tentativi svolti anche in campo sindacale di reperire diversa sistemazione alla lavoratrice. In punto di fatto era poi risultato in causa che la lavoratrice non solo si era assentata per oltre dieci giorni “ingiustificatamente”, non essendo dalla ricorrente in alcun modo state dimostrate le ragioni di sua impossibilità a svolgere la prestazione, attesa l’assenza sia di tempestiva deduzione dei mezzi di prova orale (formulati tardivamente solo all’udienza del 4.6.2004) e sia di ogni allegazione documentale, comprovanti almeno l’inesistenza nella fascia oraria mattutina di mezzi di mezzi di trasporto pubblico.
E’ opportuno puntualizzare che con il ricorso in esame ed, in ispecie, con il primo motivo – su cui la difesa della ricorrente ha particolarmente insistito anche alla pubblica udienza di discussione – si contesta l’affermazione del Giudice d’appello – conforme a quella del primo Giudice – in ordine alla tardività della deduzione dei mezzi di prova, formulati in corso di giudizio “solo all’udienza del 4.6.2004”. In proposito, la ricorrente, riportando diligentemente il testo del ricorso introduttivo, deduce che, al punto 3) dello stesso, a seguito della comunicazione, da parte della Coopservice, della sua assegnazione presso la nuova sede in (omissis), “nella impossibilità di garantire la propria presenza presso la nuova sede a (omissis), a causa della mancanza di mezzi pubblici di collegamento in funzione alle 5 del mattino nonchè della patente di guida e di un’autovettura, dava mandato alla UIL di (omissis) al fine di verificare la possibilità di una soluzione”; e su tale circostanza chiedeva ammettersi la prova per interpello e testi. Sennonchè, è di tutta evidenza che, pur ritenendo tempestivo il richiesto mezzo istruttorio, esso appare del tutto irrilevante in quanto diretto a provare un’affermazione della stessa C. ma non anche – ed è ciò che rileva, nella specie – a dimostrare la mancanza di mezzi pubblici e di patente di guida; dimostrazione che – come osservato dai Giudici di merito – ben poteva avvenire documentalmente, ed anche – è il caso di aggiungere – subito dopo la comunicazione del mutamento di sede, prima ancora, cioè, della realizzazione delle contestate assenze.
In questo contesto la Corte territoriale ha tenuto ad evidenziare come fosse risultato, inoltre, dimostrato dalla espletata istruttoria, l’immotivato rifiuto incomprensibilmente opposto dalla lavoratrice alle diverse offerte di diversa ubicazione lavorativa pur formulatele dalla cooperativa, da espletare sia in centro storico veneziano (presso: (omissis); IRE) od in terraferma, in questo caso addirittura con riduzione dell’orario di lavoro (con inizio, cioè, della prestazione lavorativa un’ora dopo) sempre a parità di retribuzione, fatti che innegabilmente avevano posto la cooperativa nell’impossibilità di ricevere dalla medesima qualsivoglia prestazione lavorativa e che giustificavano il recesso in tronco. La stessa Corte ha dato anche conto del mancato esercizio dei poteri di cui all’art. 421 c.p.c., rilevando che, nel rito del lavoro, i poteri istruttori del giudice ex art. 421 c.p.c., pur diretti alla ricerca della verità, in considerazione della particolare natura dei diritti controversi, non potevano in alcun modo sopperire alle carenze probatorie delle parti, nè tradursi in poteri d’indagine e di acquisizione del tipo di quelli propri del procedimento penale (ex plurimis Cass. 8.8.2002 n. 12002). Trattasi di valutazioni di merito, incensurabili in sede di legittimità.
Per quanto precede il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese di questo giudizio, liquidate in Euro 50,00 per esborsi ed in Euro 3.000, per compensi professionali, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 16 gennaio 2013.
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