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Suprema Corte di Cassazione 

sezione lavoro

sentenza n. 2763 del 6 febbraio 2014

Svolgimento del processo

Con tre distinti ricorsi, successivamente riuniti, la P. s.p.a. si rivolgeva al Tribunale di Teramo per impugnare sia il verbale di accertamento dell’INPS n. (…), redatto dagli Ispettori della sede di Teramo il 22 settembre 2003, sia le cartelle di pagamento che da esso traevano origine. In particolare, col menzionato verbale di accertamento, si riteneva che la P. s.p.a., utilizzando lavoratori con contratto interinale in misura superiore e per finalità diverse da quelle previste dalla legge 24.6.1997 n. 196, fosse incorsa nella violazione della legge n. 1369\60, con la conseguenza che i lavoratori utilizzati con contratto interinale andavano “considerati dipendenti” della P. s.p.a. stessa, con  conseguente “recupero” della contribuzione ritenuta omessa. In particolare, a parere dell’INPS, il ricorso al lavoro interinale da parte della società sarebbe avvenuto al di fuori delle due ipotesi consentite dal contratto collettivo applicato (“Carta-Industria” del 13.7.2001) e cioè (cfr. art. 10), per: 1) esecuzione di un’opera o di un servizio definito o predeterminato nel tempo; 2) aumento temporaneo delle attività. La P. s.p.a., quindi: a) con ricorso del 29.6.2004 impugnava il verbale di accertamento sopra richiamato, chiedendo che venisse accertata e dichiarata la legittimità dei contratti di lavoro “interinale” stipulati con diversi soggetti, con conseguente accertamento negativo del credito vantato dall’Inps; b) con ricorso del 19.4.2004 impugnava la cartella di pagamento n. (…) dell’importo di €. 40.011,68 emessa per i relativi crediti contributivi; c) con ricorso del 1.4.2006 impugnava la cartella di pagamento n. (…) dell’importo di €. 3.180,51 emessa per crediti INAIL derivanti dalla stessa causale di cui al verbale di accertamento richiamato. Il Tribunale di Teramo accoglieva le opposizioni e dichiarava non dovuti, sia all’INPS che all’INAIL, i contributi e premi assicurativi richiesti. Avverso tale sentenza proponeva appello l’INPS; resistevano la società P. e l’INAIL, quest’ultimo proponendo appello incidentale. Con sentenza depositata il 9 dicembre 2009, la Corte d’appello dell’Aquila accoglieva sia l’appello principale che quello incidentale, rigettando le opposizioni in questione. Per la cassazione propone ricorso la P. s.p.a., affidato ad unico motivo. Resistono sia l’INPS che l’INAIL con distinti controricorsi. Motivi della decisione 1.- La ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 10 della L. n. 196\97, nonché dell’art. 1, comma 5, della L. n. 1369\60 (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.). Lamenta che la Corte aquilana decise la controversia in netto contrasto con quanto affermato da Cass. n. 24888, che escluse che per le violazioni in questione la sanzione fosse quella dell’imputazione del rapporto di lavoro in capo all’effettivo utilizzatore, tanto meno con la trasformazione del rapporto a tempo indeterminato.

2 – Il ricorso è infondato. Questa Corte ha già osservato (Cass. 2 luglio 2009 n. 15515) che nel caso di più contratti per prestazioni temporanee, che siano stati ripetutamente reiterati in maniera continuativa, è legittima la conversione in un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato con l’utilizzatore, per violazione delle disposizioni della legge n. 1369 del 1960. L’orientamento risulta confermato dalla successiva giurisprudenza (Cass. 1° febbraio 2013 n. 2413; Cass. 12 gennaio 2012 n. 232), secondo cui in materia di rapporto di lavoro interinale, la mancanza o la generica previsione, nel contratto intercorrente tra l’impresa fornitrice e il singolo lavoratore, dei casi in cui – e dunque delle esigenze per le quali – è possibile ricorrere a prestazioni di lavoro temporaneo, in base ai contratti collettivi dell’impresa utilizzatrice, ovvero l’insussistenza in concreto delle suddette ipotesi, spezza l’unitarietà della fattispecie complessa voluta dal legislatore per favorire la flessibilità dell’offerta di lavoro nella salvaguardia dei diritti del lavoratore, e fa venir meno la presunzione di legittimità del contratto interinale stesso. Ne consegue che, per escludere che il contratto di lavoro con il fornitore interposto si consideri instaurato con l’utilizzatore interponente a tempo indeterminato, non è sufficiente arrestarsi alla verifica del dato formale del rispetto della contrattazione collettiva quanto al numero delle proroghe consentite, senza verificare l’effettiva persistenza delle esigenze di carattere temporaneo, in modo tanto più penetrante quanto più durevole e ripetuto sia il ricorso a tale fattispecie contrattuale. L’evoluzione interpretativa in argomento è già contenuta nella sentenza 23 novembre 2010 n. 23684, che, pur contigua alle argomentazioni svolte nella precedente pronuncia n. 24888 invocata dalla ricorrente, affermato che, in materia di rapporto di lavoro “interinale”, la mancata previsione nella legge 24 giugno 1997 n. 196 di un divieto di reiterazione dei contratti di fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo conclusi con lo stesso lavoratore avviato presso la medesima impresa utilizzatrice non esclude che per la valida stipulazione del contratto di fornitura di lavoro temporaneo occorrano in ogni caso esigenze produttive temporanee, essendo ciò imposto non dall’interpretazione della citata legge alla luce della sopravvenuta direttiva comunitaria 1999/70/CEE (che ha previsto espressamente dei limiti all’istituto), ma dall’essenziale temporaneità dell’occasione di lavoro che in ogni caso connota la fattispecie, con la conseguenza che possono configurarsi ipotesi di contratti in frode alla legge (art. 1344 cod. civ.) allorché la reiterazione costituisca il mezzo, anche attraverso intese, esplicite o implicite, tra impresa fornitrice e impresa utilizzatrice concernenti la medesima persona del prestatore, per eludere la regola dall’essenziale temporaneità dell’occasione di lavoro. L’art. 10, comma 1, della legge n. 196\97 prevede, nel caso di contratto di fornitura ingiustificato, che continua a trovare applicazione la legge n. 1369\60, con la conseguenza che il contratto di lavoro con il fornitore interposto si considera a tutti gli effetti instaurato con l’utilizzatore – interponente.

Né può ritenersi che l’espressione “contratto a tempo indeterminato” è contenuta solo nell’art. 10, comma 2, sicché tale conseguenza non potrebbe derivare anche dal precedente comma 1. Invero il richiamo del comma 1 alla legge n.1369/60 implica di per sé la dichiarazione di un contratto a tempo indeterminato con l’utilizzatore-interponente in caso di fornitura ingiustificata. Mentre l’espressa previsione del comma 2 deriva solo dall’esigenza di regolare appositamente il vizio di forma, distinguendo due ipotesi: se il vizio di forma riguarda il contratto di fornitura stipulato dall’utilizzatore il contratto di lavoro a tempo indeterminato si costituisce in capo a quest’ultimo, consapevole del vizio stesso in quanto stipulante; se il vizio di forma riguarda il contratto di lavoro temporaneo questo si trasforma in contratto a tempo indeterminato con la impresa fornitrice, essendo l’utilizzatore estraneo a questo vizio. Tale interpretazione non risulta in contrasto con la recente sentenza della C.G.E. 11.4.13 (C-290\12) laddove ha affermato che la direttiva 1999\70 CE del 28 giugno 1999, e l’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso il 18 marzo 1999, debbono essere interpretati nel senso che non si applicano né al rapporto di lavoro a tempo determinato tra un lavoratore interinale e un’agenzia di lavoro interinale, né al rapporto di lavoro a tempo determinato tra tale lavoratore e l’impresa utilizzatrice, posto che solo il rapporto di lavoro concluso “direttamente” con il datore di lavoro rientra nell’ambito del citato accordo quadro.

Ne consegue che, una volta escluso che la disciplina comunitaria in materia di contratti a termine (che non prevede specifiche sanzioni per la loro inosservanza, che sarebbero dunque inapplicabili al diverso caso del lavoro interinale, demandandone la previsione alle legislazioni nazionali) riguardi anche il lavoro interinale, non vi è alcuna preclusione per il giudice nazionale di stabilire l’esatta natura e portata delle obbligazioni nascenti da tale tipo di rapporto, evidenziandone l’intrinseca temporaneità con la conseguente configurabilità di ipotesi di contratti in frode alla legge (art. 1344 cod. civ.), allorché la reiterazione costituisca il mezzo, anche attraverso intese, esplicite o implicite, tra impresa fornitrice e impresa utilizzatrice concernenti la medesima persona del prestatore, per eludere la regola dell’essenziale temporaneità dell’occasione di lavoro.

3.-Il ricorso deve pertanto rigettarsi. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, in favore di ciascuno dei controricorrenti, che liquida in €.100,00 per esborsi, €.3.000,00 per compensi, oltre accessori di legge.

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