Suprema Corte di Cassazione
sezione lavoro
sentenza n. 10565 del 7 maggio 2013
Svolgimento del processo
Con sentenza dell’1-21/7/2009 il Tribunale di Catanzaro rigettava la domanda, proposta dagli eredi di V.F., per il riconoscimento del loro diritto alla rendita, di cui all’art. 85 T.U. n. 1124/’65, a far data dal decesso del loro dante causa, avvenuto il 20/11/2006, concausalmente dovuto, a loro dire, alla infezione da HCV (epatite cronica), contratta a seguito di tre emotrasfusioni eseguite a seguito di un infortunio in itinere occorsogli in data (omissis).
Proponevano appello i ricorrenti, chiedendo la riforma della sentenza e l’accoglimento della loro originaria domanda.
Si costituiva l’Istituto appellato, resistendo al gravame e chiedendone la reiezione. Con sentenza del 29 settembre – 10 novembre 2011, l’adita Corte d’appello di Catanzaro, ritenuta la riconducibilità all’attività lavorativa della malattia contratta in seguito ad emotrasfusioni, conseguenti ad infortunio sul lavoro, accoglieva la domanda.
Per la cassazione di tale pronuncia ricorre l’INAIL con due motivi.
Resistono gli eredi di V.F. con controricorso, depositando anche memoria ex art. 378 c.p.c..
Si procede con motivazione semplificata in seguito ad autorizzazione del Collegio.
Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso l’INAIL, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 3 del T.U. del D.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124 e degli artt. 40 e 41 c.p. (art. 360 n. 3 c.p.c.), lamenta che la Corte d’appello di Catanzaro abbia riconosciuto il diritto degli eredi di V.F. alla richiesta rendita ai superstiti, ritenendo che il decesso di quest’ultimo fosse riconducibile ad un pregresso contagio da epatite per le conseguenze di una emotrasfusione, erroneamente ricondotte a causa lavorativa.
Più in dettaglio – secondo l’Istituto -, poiché a cagionare l’infezione erano state le trasfusioni di sangue infetto (come risultante dalla nota del Ministero della Sanità del 15/04/1998), le conseguenze negative di queste andavano ricondotte ad un errore occorso nella somministrazione e nella prosecuzione di un trattamento medico eseguito con imperizia e negligenza dal personale medico ed infermieristico e, quindi, in nessun modo riferibili all’attività lavorativa del V. .
La impugnata decisione, trascurando tale considerazione, avrebbe violato il disposto dell’articolo 3 del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (“L’assicurazione è altresì obbligatoria per le malattie professionali indicate nella tabella allegato n. 4, le quali siano contratte nell’esercizio e a causa delle lavorazioni specificate nella tabella stessa ed in quanto tali lavorazioni rientrino fra quelle previste nell’art. 1”) e degli articoli 40 e 41 del codice penale, in materia di nesso eziologico.
Con il secondo motivo l’Istituto, denunciando insufficiente, contraddittoria ed illogica motivazione (art. 360 n. 5 c.p.c.), lamenta che la Corte territoriale non abbia adeguatamente argomentato in ordine alla ritenuta sussistenza del nesso causale tra la patologia epatica che aveva causato la morte del V. e l’infortunio sul lavoro occorsogli in data (OMISSIS) .
Il ricorso, pur valutato nella sua duplice articolazione, è infondato.
Va anzitutto chiarito che opportunamente la Corte territoriale, nel motivare la sua decisione, ha, in primo luogo, richiamato il principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in materia degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, trova diretta applicazione la regola contenuta nell’art. 41 cod. pen., per cui il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio dell’equivalenza delle condizioni, in forza del quale va riconosciuta l’efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell’evento, mentre solamente se possa essere con certezza ravvisato l’intervento di un fattore estraneo all’attività lavorativa, che sia di per sé sufficiente a produrre l’infermità tanto da far degradare altre evenienze a semplici occasioni, deve escludersi l’esistenza del nesso eziologico richiesto dalla legge (Cass., 22-8-2003 n. 12377; Cass. 11-3-2004 n. 5014; Cass. 18-7- 2005 n. 15107; Cass. 4-6-2008 n. 14770).
Ha poi aggiunto che, nella fattispecie, le emotrasfusioni, determinanti nel dante causa dei ricorrenti l’infezione da HCV, che lo aveva portato a morte, rappresentavano un fattore, intervenuto nella catena delle condizioni, che avevano contribuito all’evento, a che non aveva interrotto il nesso causale tra l’infortunio in itinere e la morte.
Risultava, infatti, certo e documentalmente comprovato (e, peraltro, neanche contestato in giudizio) che le emotrasfusioni si erano rese indispensabili a causa della necessità di trattamento chirurgico delle fratture subite dal V. nell’infortunio in itinere sopra ricordato e, dunque, in diretta dipendenza causale dall’infortunio.
Pertanto, l’epatite, contratta a causa delle emotrasfusioni, non poteva che essere dipesa, per mediazione causale, dall’infortunio stesso.
Così argomentando, il Giudice a quo si è conformato ai richiamati principi affermati da questa Corte in materia di nesso causale e di infortuni in itinere, trovando, peraltro ulteriore conferma anche in una recente pronuncia relativa a fattispecie, per più versi, analoga a quella in oggetto, ove si è riconosciuta la riconducibilità all’attività lavorativa della malattia contratta per complicanze insorte dalla vaccinazione contro l’epatite B, atteso che la necessità di questo intervento sanitario — nonché dei successivi richiami — era conseguente a un infortunio sul lavoro (Cass. n. 13361/2011).
Per quanto precede, non sussistendo nell’iter argomentativo della Corte di Catanzaro i denunciati vizi e violazioni di legge, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese di questo giudizio, liquidate in Euro 50,00 per esborsi ed in Euro 3.500,00 per compensi professionali oltre accessori di legge.
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