Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 8 marzo 2018, n. 5601. Il principio di libertà della forma si applica anche all’accordo o al contratto collettivo di lavoro di diritto comune

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Non si ravvisano ragioni idonee a mutare quest’ultimo indirizzo interpretativo, a tal fine non bastando le pur evidenti esigenze funzionalistiche che consigliano l’adozione d’un testo scritto, ma che di per se’ non possono imporlo in difetto d’una sanzione a pena di nullita’ prevista dalla legge o dall’autonomia privata.

Per questa ragione non vale invocare gli articoli 2077 o 2113 c.c., la L. n. 741 del 1959, articolo 3, l’articolo 425 c.p.c., od altre analoghe disposizioni in cui il testo scritto – non sancito a pena di nullita’ – e’ implicitamente presupposto a fini meramente ricognitivi.

In altre parole, va mantenuto saldo il consolidato principio dottrinario e giurisprudenziale in virtu’ del quale le norme secondo cui determinati contratti o atti devono essere posti in essere con una forma particolare sono di stretta interpretazione.

Cio’ sia detto in ossequio al principio di liberta’ delle forme che deriva dall’articolo 1325 c.c., n. 4, (fermo restando che qualsiasi atto, per esistere nel mondo giuridico, deve pur sempre manifestarsi all’esterno ed assumere, quindi, una qualche forma, sia essa verbale, scritta, per fatti concludenti etc.).

Ne discende che e’ corretto parlare comunemente di forma libera, come regola, di forma vincolata, come eccezione.

E’ pur vero che in alcune ipotesi questa Corte ha statuito la necessita’ della forma scritta anche in assenza di espressa disposizione normativa, ma cio’ e’ avvenuto in base ad un’interpretazione estensiva e non analogica di norme che imponevano la redazione per iscritto di atti connessi, come avvenuto – ad esempio – per il contratto che risolva un preliminare comportante l’obbligo di trasferire la proprieta’ o diritti reali su immobili (v. Cass. n. 13290/15 fino a risalire, indietro nel tempo, a Cass. S.U. n. 8878/90).

Una volta stabilita la liberta’ della forma dell’accordo o del contratto collettivo di lavoro, la medesima liberta’ deve essere ravvisata anche riguardo agli atti che ne siano risolutori, come il mutuo dissenso (articolo 1372 c.c., comma 1) o il recesso unilaterale (o disdetta) ex articolo 1373 c.c., comma 2.

Tanto deriva dal consolidato principio dottrinario e giurisprudenziale per cui il recesso e’ un negozio recettizio che, pur non richiedendo formule sacramentali, nondimeno resta assoggettato agli stessi vincoli formali eventualmente prescritti per il contratto costitutivo del rapporto al cui scioglimento sia finalizzato (cfr. Cass. n. 14730/2000, Cass. n. 5454/90 e Cass. n. 5059/86).

Ove tali vincoli non siano previsti – come nel caso degli accordi o dei contratti collettivi di lavoro – si riespande il principio della liberta’ della forma della manifestazione di volonta’, tanto per il contratto quanto per i negozi connessivi (come il recesso unilaterale ex articolo 1373 c.c., comma 2).

E’, poi, opportuno precisare che anche per la forma ad probationem tantum e’ necessaria un’apposita previsione (che nel caso di specie non sussiste) e che esula dalla presente sede il discorso attinente alla forma definita “integrativa” da quella parte della dottrina che la ricava dalle norme che prevedono una determinata forma al solo fine di far si’ che il contratto produca tra le parti effetti ulteriori rispetto a quelli tipici e immediati (v., ad es., articoli 1524, 1605, 2787 e 2800 c.c.).

2.2. La qui ribadita liberta’ della forma del contratto collettivo di lavoro e dei negozi connessivi (come il recesso unilaterale ex articolo 1373 c.c., comma 2) reca con se’ la fondatezza – nei sensi qui di seguito meglio chiariti – degli ulteriori motivi di censura (terzo, quarto e quinto del ricorso) riferiti alla mancata ammissione delle prove testimoniali a tal fine chieste e coltivate dalla societa’ ricorrente.

Essa e’ onerata ex articolo 2697 c.c., comma 2, della dimostrazione (in quanto ricopre il ruolo sostanziale di convenuto eccipiente) sia dell’esistenza d’una effettiva disdetta verbale espressa nel corso della summenzionata riunione del 27.1.04 sia del carattere meramente confermativo della successiva lettera del 29 gennaio 2004, per superare la contraria affermazione degli odierni controricorrenti, secondo i quali, invece, in quella riunione le parti avrebbero pattuito la comunicazione scritta del recesso.

A sua volta l’onere di comunicare per iscritto la disdetta, ove pattuito nel corso della summenzionata riunione del 27.1.04, risulterebbe rilevante non ai fini degli articoli 1351 o 1352 c.c., ma perche’ una pattuizione del genere equivarrebbe ad una concorde richiesta di ripensamento tale da inficiare un’ipotetica iniziale volonta’ di recesso da parte aziendale, cosi’ implicandone l’assenza o (il che e’ lo stesso ai presenti fini) la non attualita’ alla data del 27.1.04.

Nel caso di specie comunque non soccorrerebbe l’articolo 1351 c.c., (applicabile solo quando una determinata forma sia stabilita dalla legge e non pure quando essa sia stata prevista dalle parti per un contratto per il quale la legge non dispone alcunche’: cfr. Cass. n. 3980/81) ne’ l’articolo 1352 c.c., (perche’ il vincolo d’una futura forma puo’, a sua volta, essere posto soltanto per iscritto).

Di tali principi non ha fatto applicazione la sentenza impugnata, che – in violazione degli articoli 24 e 111 Cost. – e’ pervenuta al diniego della prova (ritualmente chiesta dalla societa’ ricorrente) nonostante che nella vicenda in esame la disdetta potesse provarsi anche con prova dichiarativa.

Non vi sono ostacoli normativi alla possibilita’ d’una prova testimoniale della disdetta, vuoi perche’ ex articolo 421 c.p.c., comma 2, nel processo del lavoro non si applicano i limiti alla prova testimoniale previsti dagli articoli 2721, 2722 e 2723 c.c. (cfr., per tutte, Cass. n. 9228/09), vuoi perche’ tali limiti sono riferibili ai soli contratti e non anche agli atti unilaterali (cfr., per tutte, Cass. n. 5417/14).

3.1. In conclusione, il ricorso e’ da accogliersi nei sensi di cui in motivazione, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimita’, alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione, che dovra’ accertare se e in che termini nella summenzionata riunione del 27.1.04 vi sia stata un’effettiva disdetta orale degli accordi collettivi aziendali 5.7.74, 6.7.79 e successivi aggiornamenti.

Cio’ il giudice di rinvio dovra’ verificare alla luce dei seguenti principi di diritto:

a) il principio di liberta’ della forma si applica anche all’accordo o al contratto collettivo di lavoro di diritto comune, di guisa che essi – a meno di eventuale diversa pattuizione scritta precedentemente raggiunta ai sensi dell’articolo 1352 c.c., dalle medesime parti stipulanti ben possono realizzarsi anche verbalmente o per fatti concludenti;

b) tale liberta’ della forma dell’accordo o del contratto collettivo di lavoro concerne anche i negozi connessivi, come il recesso unilaterale ex articolo 1373 c.c., comma 2;

c) la parte che eccepisce l’avvenuto recesso unilaterale e’ onerata ex articolo 2697 c.c., comma 2, della prova relativa e, ove alla manifestazione orale segua, su richiesta dell’altro o degli altri contraenti, una dichiarazione scritta del medesimo tenore, e’ altresi’ onerata della prova del carattere meramente confermativo – anziche’ innovativo – di tale successiva dichiarazione.

P.Q.M.

accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimita’.

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