Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 5 aprile 2018, n. 8419.
In caso di sopravvenuta infermita’ permanente del lavoratore, non si realizza un’impossibilita’ della prestazione lavorativa quale giustificato motivo oggettivo di recesso del datore di lavoro dal contratto di lavoro subordinato (L. n. 604 del 1966, articoli 1 e 3 e articoli 1463 e 1464 c.c.) qualora il lavoratore possa essere adibito a mansioni equivalenti o, se impossibile, anche a mansioni inferiori, purche’ da un lato tale diversa attivita’ sia utilizzabile nell’impresa, secondo l’assetto organizzativo insindacabilmente stabilito dall’imprenditore, e dall’altro, l’adeguamento sia sorretto dal consenso, nonche’ dall’interesse dello stesso lavoratore” a cio’ conseguendo che, “nel caso in cui il lavoratore abbia manifestato, sia pur senza forme rituali, il suo consenso a svolgere mansioni inferiori, il datore di lavoro e’ tenuto a giustificare l’eventuale recesso, considerato che egli non e’ tenuto ad adottare particolari misure tecniche per porsi in condizione di cooperare all’accettazione della prestazione lavorativa di soggetti affetti da infermita’, che vada oltre il dovere di sicurezza imposto dalla legge.
Sentenza 5 aprile 2018, n. 8419
Data udienza 10 gennaio 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente
Dott. MANNA Antonio – Consigliere
Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere
Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere
Dott. PONTERIO Carla – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 16958-2016 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS), giusta delega in atti;
– controricorrente –
nonche’ contro
I.N.P.S. ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA CESARE BECCARIA 29 presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS), giusta delega in calce alla copia del ricorso notificata;
– resistente con mandato –
nonche’ contro
DIREZIONE TERRITORIALE LAVORO CASERTA, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
– resistente –
nonche’ contro
ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE SEDE DI CASERTA, ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO C.F. (OMISSIS);
– intimati –
avverso la sentenza n. 3487/2016 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 29/04/2016 R.G.N. 4038/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/01/2018 dal Consigliere Dott. ARIENZO ROSA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS).
FATTI DI CAUSA
1. Il Tribunale di S. Maria Capua Vetere confermava l’ordinanza, resa nella fase sommaria, di annullamento del licenziamento intimato a (OMISSIS) – pompista presso l’area di servizio “(OMISSIS)” – dalla (OMISSIS) s.r.l. il 18.9.2008 in considerazione della sua inabilita’ al lavoro conseguente alla grave patologia contratta (linfoma di Hodgkin), con relativa reintegra nel posto di lavoro, limitando, tuttavia, il risarcimento del danno alla misura minima di legge, sul rilievo che il ricorrente, nel periodo intercorrente tra il licenziamento e la reintegra, non avrebbe potuto in ogni caso lavorare a causa della malattia.
2. La Corte di appello di Napoli, adita in sede di reclamo da entrambe le parti, in accoglimento dell’impugnazione proposta dalla societa’ assorbita quella del lavoratore – ed in riforma dell’impugnata sentenza, dichiarava la legittimita’ del licenziamento dopo avere respinto l’eccezione di decadenza sollevata in relazione al superamento del termine per il deposito del ricorso giudiziale, sul rilievo che i termini introdotti dalla L. n. 183 del 2010, articolo 32, comma 1, in virtu’ di quanto poi stabilito dall’articolo 32, comma 1 bis, della stessa legge, introdotto dal Decreto Legge n. 225 del 2010, articolo 2, comma 54, conv. con modificazioni dalla L. n. 10 del 2011, non fossero applicabili e che pertanto non fosse maturata alcuna decadenza.
3. Nel merito, alla luce di orientamento espresso dalla S.C. in relazione ad ipotesi di sopravvenuta infermita’ del lavoratore, la Corte rilevava che nella contrattazione collettiva non esisteva un profilo di “pompista self”, che dall’esame della prova per testi era emerso che tutti i pompisti erano addetti, all’occorrenza, alla pompa self e che l’organico aziendale era tale per cui, in mancanza di surrogabilita’ di alcune funzioni, doveva escludersi, in base a principi di correttezza e buona fede, una diversa organizzazione aziendale che non comportasse un’utilizzazione piena delle prestazioni lavorative del lavoratore in coerenza con i principi di corrispettivita’, non potendo esigersi che il datore ricevesse una prestazione parziale non satisfattiva del suo interesse in un contesto aziendale del quale l’organizzazione da parte datoriale doveva ritenersi insindacabilmente rimessa allo stesso.
4. Aggiungeva che era emerso che l’azienda risentiva di un momento di crisi, in cui erano stati effettuati licenziamenti e non assunzioni e che era stato escluso che l’adibizione alla pompa self fosse meno nociva per il (OMISSIS), senza considerare che tale soluzione organizzativa avrebbe comportato l’adibizione continuativa degli altri lavoratori alle pompe di servizio, con maggiore esposizione a rischio degli stessi, e alterazione dell’organigramma aziendale.
5. Per la cassazione di tale decisione ricorre il (OMISSIS), affidando l’impugnazione ad unico motivo, cui resiste la societa’ con controricorso, illustrato con memoria ai sensi dell’articolo 378 c.p.c.. La Direzione Territoriale del Lavoro di Caserta si e’ costituita al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione e l’INPS ha rilasciato procura speciale in calce al ricorso notificato. L’INAIL e’ rimasto intimato.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Preliminarmente, va rilevata la tardivita’ della memoria del (OMISSIS), depositata oltre i termini di cui all’articolo 378 c.p.c..
2. Si denunzia violazione e falsa applicazione degli articoli 4, 32, 36 e 41 Cost., degli articoli 1175, 1375, 1463, 1464 e 2087 c.c., della L. n. 604 del 1966, articoli 1 e 3, della L. n. 68 del 1999, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, rilevandosi che, pur partendo da premesse conformi ai principi sanciti da consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimita’ in tema di individuazione da parte del datore di mansioni alternative cui possa essere adibito il lavoratore affetto da inidoneita’ fisica, la Corte abbia ingiustificatamente escluso la possibilita’ di sostituzione del predetto nei compiti piu’ usuranti con altro lavoratore maggiormente idoneo dal punta di vista dello stato di salute, senza che tuttavia l’azienda fosse costretta a creare per l’inabile una posizione non necessaria dal punto di vista organizzativo e produttivo. Si richiama il principio in virtu’ del quale grava sul datore di lavoro un obbligo di reperimento e di assegnazione delle mansioni piu’ consone al mutato stato di salute del lavoratore divenuto inidoneo per motivi di salute, legittimandosi la risoluzione del rapporto per giustificato motivo oggettivo solo nel caso in cui risulti provato dal datore che in azienda non sussistano, per il predetto, mansioni idonee a tutelare il suo interesse alla conservazione dell’occupazione (fondato sull’articolo 4 Cost.) e il suo diritto, ex articolo 2087 c.c., alla salvaguardia dell’integrita’ psico/fisica. Si insiste, infine, sull’onere, gravante sull’azienda, di dimostrare l’impossibilita’ di riutilizzo del lavoratore in altre mansioni, prima in quelle ritenute equivalenti ex articolo 2103 c.c. e successivamente in mansioni inferiori, ma suscettibili di salvaguardare il bene occupazione, a meno che cio’ non comporti aggravi organizzativi.
4. con riguardo al caso specifico, si sostiene che nessun aggravio per il datore sarebbe conseguito ad una diversa ripartizione delle mansioni svolte dai suoi dipendenti, con la variante dell’adibizione esclusiva alla pompa self del (OMISSIS) all’interno del “gabbiotto” gia’ esistente, funzionale alla tutela del suo precario stato di salute.
5. Il ricorso e’ infondato.
6. E’ stato affermato che “In caso di sopravvenuta infermita’ permanente del lavoratore, non si realizza un’impossibilita’ della prestazione lavorativa quale giustificato motivo oggettivo di recesso del datore di lavoro dal contratto di lavoro subordinato (L. n. 604 del 1966, articoli 1 e 3 e articoli 1463 e 1464 c.c.) qualora il lavoratore possa essere adibito a mansioni equivalenti o, se impossibile, anche a mansioni inferiori, purche’ da un lato tale diversa attivita’ sia utilizzabile nell’impresa, secondo l’assetto organizzativo insindacabilmente stabilito dall’imprenditore, e dall’altro, l’adeguamento sia sorretto dal consenso, nonche’ dall’interesse dello stesso lavoratore” a cio’ conseguendo che, “nel caso in cui il lavoratore abbia manifestato, sia pur senza forme rituali, il suo consenso a svolgere mansioni inferiori, il datore di lavoro e’ tenuto a giustificare l’eventuale recesso, considerato che egli non e’ tenuto ad adottare particolari misure tecniche per porsi in condizione di cooperare all’accettazione della prestazione lavorativa di soggetti affetti da infermita’, che vada oltre il dovere di sicurezza imposto dalla legge” (cfr. Cass. 2.7.2009 n. 15500, Cass. 13.10.2009 n. 21710).
7. Va premesso che, in discontinuita’ con precedente orientamento giurisprudenziale, secondo cui, in tema di inidoneita’ fisica al lavoro, l’impossibilita’ di utilizzazione del lavoratore in ambiente compatibile con il suo stato di salute deve essere provata dal datore di lavoro, sul quale incombe anche l’onere di contrastare eventuali allegazioni del prestatore di lavoro, nei cui confronti e’ esigibile una collaborazione nell’accertamento di un possibile “repechage” in ordine all’esistenza di altri posti di lavoro nei quali possa essere utilmente ricollocato (v., ex aliis, Cass. 3.3.2014 n. 4920, Cass. 8.11.2013 n. 25197, Cass. 8.2.2011 n. 3040 e, da ultimo, anche Cass. 16.5.2016 n. 10018) si pongono le decisioni assunte da Cass. 22.3. 2016, n. 5592, da Cass. 13.6.2016 n. 12101, Cass. 5.1.2017 n. 160, secondo cui “esigere che sia il lavoratore licenziato a spiegare dove e come potrebbe essere ricollocato all’interno dell’azienda significa, se non invertire sostanzialmente l’onere della prova (che – invece – la L. n. 604 del 1966, articolo 5, pone inequivocabilmente a carico del datore di lavoro), quanto meno divaricare fra loro onere di allegazione e onere probatorio, nel senso di addossare il primo ad una delle parti in lite e il secondo all’altra”, in contrasto con i principi di diritto processuale secondo cui “onere di allegazione e onere probatorio non possono che incombere sulla medesima parte, nel senso che chi ha l’onere di provare un fatto primario (costitutivo del diritto azionato o impeditivo, modificativo od estintivo dello stesso) ha altresi’ l’onere della relativa compiuta allegazione”.
8. Al di la’ della valutazione della astratta validita’ dei principi appena richiamati, e’ pacifico, tuttavia, che nella specie l’iter argomentativo seguito dal giudice del gravame si e’ sviluppato coerentemente a condivisi principi di interpretazione secondo buona fede del contratto, che impongono di valutare il recesso datoriale alla luce di canoni intepretativi che valorizzano la possibilita’ di adibizione del lavoratore inidoneo ad una diversa attivita’ lavorativa riconducibile alle mansioni gia’ assegnate o ad altre equivalenti, e subordinatamente anche inferiori, sempre che venga attribuito rilievo, nel bilanciamento degli interessi costituzionalmente protetti (art 4 Cost. ed art 41 Cost.), all’interesse del datore di lavoro ad una collocazione del lavoratore inidoneo che non incida nel senso di modificare le scelte organizzative con pregiudizio per gli altri lavoratori ed alterazione inammissibile della qualita’ dell’organigramma aziendale.
9. E’ stato, invero, correttamente verificato l’assolvimento da parte del datore di lavoro del suo onere di allegazione e prova in base ai principi sanciti dalle sentenze da ultimo richiamate, conferendosi il dovuto risalto, con riferimento alla specificita’ della realta’ organizzativa ove il lavoratore inidoneo si trovava a svolgere la propria attivita’ di “pompista” presso il distributore di benzina, alla circostanza che non esisteva nella contrattazione collettiva un profilo avente ad oggetto le mansioni di “pompista self” (essendo ricompresi nel 6 livello delle declaratorie contrattuali i pompisti specializzati e nel 4 i pompisti), che dalla prova per testi era emerso che tutti i pompisti erano addetti, ove occorresse, all’assistenza alla pompa self, che, oltre ai pompisti, vi erano in azienda tre addetti al market, senza carenze di organico, non surrogabili nelle mansioni dei pompisti e viceversa, che non vi erano state assunzioni dopo il licenziamento, tranne due stagionali per due mesi nel periodo estivo e che, per il diminuire degli affari, erano stati licenziati almeno due pompisti nel 2012.
10. Cio’ rende ragione della coerenza della decisione con gli indicati principi, avendo la Corte territoriale posto in evidenza come la scelta di adibire il (OMISSIS) alla pompa self, che non rappresentava, per quanto detto, un profilo professionale autonomo, avrebbe realizzato un adempimento solo parziale della prestazione lavorativa pattuita, oggetto del contratto, e che non poteva ovviarsi all’esigenza sopravvenuta con una scelta diversa da quella adottata, esigendosi che il datore procedesse a spostamenti di altri dipendenti, modificando la tipologia delle loro mansioni – in cui era prevista un’alternativita’ di adibizione anche alla pompa self – con esposizione degli stessi a maggior rischio di salute e con alterazione inammissibile dell’organigramma aziendale.
11. Neanche il richiamo del ricorrente alla istituzione delle aree comprendenti attivita’ rientranti nello stesso livello impone una diversa prospettiva di valutazione, sia perche’ l’argomento nuovo, sia perche’ cio’ incide sulla parita’ retributiva, ma non comporta una confusione delle singole professionalita’.
12. Alla stregua delle considerazioni svolte deve, pertanto, pervenirsi al rigetto del ricorso del (OMISSIS).
13. Segue la statuizione sulle spese del giudizio di legittimita’ in base alla soccombenza nella misura indicata in dispositivo, nei confronti della sola parte costituita, non avendo le altre svolto alcuna attivita’ difensiva.
14. Sussistono le condizioni di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della s.r.l. (OMISSIS), delle spese del presente giudizio di legittimita’, liquidata in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonche’ al rimborso delle spese forfetarie in misura del 15%. Nulla per spese nei confronti delle altre parti.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato D.P.R., articolo 13, comma 1 bis.
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