SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Sentenza 23 ottobre 2013, n. 24024
Ragioni della decisione
1. G.C. e R.M. chiedono l’annullamento della sentenza della Corte d’appello di Roma, pubblicata il 9 gennaio 2008, che ha riformato la sentenza del Tribunale, dichiarando inammissibili le loro domande nei confronti della Procura generalizia Congregazione Suore Eucaristiche.
2. Le due ricorrenti convennero in giudizio la Procura generalizia chiedendo, previo annullamento della conciliazione sindacale sottoscritta il 16 febbraio 2001, l’accertamento della natura subordinata del loro rapporto di lavoro e la condanna al pagamento di cospicue somme, nonché la declaratoria di illegittimità del licenziamento orale che assumevano di aver subito, con le conseguenze di legge.
3. La Procura generalizia, a sua volta, le convenne in giudizio, per ottenere la restituzione di somme erogate in attuazione delle conciliazioni del febbraio 2001.
4. I due giudizi furono riuniti.
5. Il Tribunale accolse in parte la domanda delle lavoratrici condannando la Procura generalizia al pagamento di una parte delle somme richieste dalle lavoratrici e rigettando ogni altra domanda.
6. La Procura generalizia propose appello. Le lavoratrici si costituirono e proposero appello incidentale.
7. La Corte d’appello di Roma, in accoglimento dell’appello principale, assorbito l’appello incidentale, riformò la decisione e dichiarò inammissibili le domande.
8. Il fulcro della decisione è costituito dal fatto che la Corte ritenne valide le conciliazioni sottoscritte tra le parti e quindi inammissibili giudizi che si fondavano sulla loro illegittimità.
9. Le ricorrenti articolano tre motivi di ricorso. La Procura generalizia si è difesa con controricorso. Le ricorrenti hanno depositato una memoria.
10. Con il primo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2113 c.c. e 411 c.p.c. Il quesito è il seguente: “se per potersi configurare una transazione sia necessaria la conoscenza ed il riferimento delle parti che sottoscrivono l’atto – e quindi del lavoratore – in ordine al rapporto di lavoro di cui si discute, ai diritti da dismettere, alla “res dubia” in contestazione tra le parti e necessiti altresì l’elemento della reciprocità delle concessioni, nonché se tali elementi debbano risultare espressamente nell’atto di transazione; quindi per l’effetto se debbano ritenersi sottratte al regime di non impugnabilità le conciliazioni sottoscritte in sede sindacale nel caso di specie, qualora prive di tali elementi”.
11. Con il secondo motivo si denunzia violazione dei medesimi articoli di legge in relazione alla mancata assistenza sindacale avuta nel caso concreto. Nel quesito si chiede se ai fini della legittimità della conciliazione “debba essere intervenuto alla stipulazione un rappresentante sindacale munito di specifico mandato a transigere la controversia debitamente sottoscritto dal lavoratore, ovvero se dall’atto di conciliazione debba comunque risultare che il rappresentante sindacale abbia esaurientemente illustrato tutti i necessari elementi al lavoratore affinché questi abbia consapevolmente ridisposto dei propri diritti e se in mancanza, come nel caso dei verbali sottoscritti dalle ricorrenti, debbano ritenersi sottratte al regime di non impugnabilità di cui all’art. 2113, quarto comma, c.c. le conciliazioni sottoscritte in sede sindacale che siano prive di tali requisiti”.
12. Con il terzo motivo si denunzia “carenza di motivazione e insufficiente e omesso esame di punto decisivo della controversia”, che nel corso del motivo viene identificato nella inimpugnabilità delle conciliazioni e nella sussistenza della “res dubia”.
13. I tre motivi debbono essere esaminati congiuntamente. Il ricorso è fondato.
14. La Corte d’appello ha riformato la decisione favorevole alle tesi delle lavoratrici del Tribunale, ritenendo che la conciliazione sottoscritta dalle parti non fosse impugnabile. Nella brevissima motivazione la Corte sostiene questa tesi affermando: “con le conciliazioni le parti appellate hanno in definitiva esclusa la ricorrenza di ogni ipotesi di subordinazione “inter partes” e quindi hanno esclusa ogni pretesa economica a qualsiasi titolo risalente alla subordinazione”. La Corte aggiunge poi che “si trattò di una conciliazione effettiva, con assistenza delle lavoratrici curata dall’avv.sa Sonia Francese e anche con l’attività preventiva dei conciliatori, che hanno avvertito le parti circa gli effetti propri della conciliazione in sede sindacale”. La Corte afferma infine che la “sussistenza di una “res dubia” è fuori discussione, in relazione alla controversa sussistenza di un rapporto oneroso o non e, nel primo caso, di un rapporto di lavoro autonomo o subordinato”.
15. La censura mossa dalle ricorrenti è fondata per le seguenti ragioni.
16. Si discute della impugnabilità o meno di una conciliazione avvenuta in sede sindacale. L’art. 2113 c.c. nega la validità delle rinunce e transazioni che hanno per oggetto diritti derivanti da norme inderogabili dettate dalla legge o dai contratti collettivi. Il comma successivo specifica che la relativa impugnazione deve avvenire entro sei mesi dalla data della rinunzia o della transazione, a pena di decadenza. L’ultimo comma sottrae a questa disciplina le conciliazioni intervenute ai sensi degli artt. 185, 410 e 411 c.p.c., nel cui ambito sono ricomprese le conciliazioni sindacali.
17. La sentenza della Corte dà atto che nel caso in esame vi è stata una conciliazione in sede sindacale, giudicandola idonea a rendere la transazione in essa contenuta non impugnabile.
18.Tale valutazione si basa però su di una motivazione esigua da cui si desume che la Corte non ha verificato la effettività della assistenza sindacale (richiesta costantemente dalla giurisprudenza, cfr. in ‘particolare, Cass. 22 maggio 2008, n. 13217), limitandosi a due affermazioni, entrambe non decisive: la conciliazione in sede sindacale sarebbe avvenuta con l’assistenza di un avvocato e i conciliatori avrebbero avvertito le parti circa gli effetti propri della conciliazione ai sensi degli artt. 2113 c.c. e 411 c.p.c.. La prima considerazione è ultronea rispetto ai requisiti di una conciliazione in sede sindacale, la seconda è inadeguata e tautologica perché risolve l’assistenza nell’indicazione dell’effetto della non impugnabilità dell’atto transattivo, senza considerare che l’assistenza sindacale deve permettere al lavoratore di comprendere a quali diritti rinunzia e in che misura.
19.Una carenza ancora più netta concerne l’analisi dei contenuti della conciliazione. La Corte ha presente che nel caso in esame il negozio conciliativo ha il contenuto di una transazione e quindi di un negozio con il quale le parti, per espressa definizione codicistica, pongono fine ad una lite già cominciata o potenziale, facendosi reciproche concessioni. Nel caso in esame si è omesso di verificare se e in cosa consistono le reciproche concessioni e, quanto alla “res dubia”, la si è risolta nel carattere subordinato o autonomo del rapporto, mentre dalla stessa sentenza si coglie la ben più vasta articolazione delle questioni in discussione e dei diritti controversi.
20. Per tali ragioni la sentenza deve essere cassata con rinvio alla medesima Corte d’appello in diversa composizione, che dovrà rinnovare il giudizio sulla ammissibilità dell’impugnazione della conciliazione, verificando l’effettività della assistenza sindacale e la sussistenza degli elementi costitutivi dell’atto di transazione.
21. Il principio di diritto in base al quale il giudizio dovrà essere rinnovato è il seguente: “Per il combinato disposto degli artt. 2113 cod. civ. e 410, 411 cod. proc. civ., le rinunzie e transazioni aventi ad oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge o di contratti collettivi, contenute in verbali di conciliazione sindacale, non sono impugnabili ex art. 2113, commi 2 e 3, cod.civ., solo a condizione che l’assistenza prestata dai rappresentati sindacali sia stata effettiva, consentendo al lavoratore di sapere a quale diritto rinunzia ed in che misura, e, nel caso di transazione, a condizione che dall’atto si evinca la “res dubia” oggetto della lite (in atto o potenziale) e le “reciproche concessioni” in cui si risolve il contratto transattivo ai sensi dell’art. 1965 c.c.”.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità.
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