cassazione

Suprema Corte di Cassazione,

sezione lavoro

sentenza 22 maggio 2014, n. 11391

Svolgimento del processo

Con sentenza dei 9.3.2007, la Corte di appello di Roma rigettava il gravame proposto da Colajacomo Enrico avverso la pronunzia di primo grado che aveva respinto la domanda del predetto intesa all’impugnativa della sanzione disciplinare irrogatagli dalla Azienda Sanitaria Locale RM D ed al riconoscimento del diritto alla restituito in integrum di cui all’ari. 96 d.P.R. 311957.
Rilevava il giudice del gravame che il dipendente era stato sospeso dal servizio quale Direttore dell’ufficio tecnico della A.S.L., ex art. 91 DPR 3157, dall’1.10.1992 all’1.10.1995, in quanto nei suoi confronti era stato instaurato procedimento penale per i reati di cui agli artt. 81, 110, 117, 323 cpv, 61 n. 2 e 9, 476,479 e 640 cpv n. 1 c. p. per avere delegato le sue funzioni omettendo i dovuti controlli, avendo consentito ai delegati di procurarsi illecitamente materiale edilizio mediante fatture a carico dell’A.S.L., che Il procedimento penale si era concluso con l’assoluzione per alcuni dei fatti contestati e con declaratoria di non doversi procedere per intervenuta prescrizione e che il procedimento disciplinare si era concluso con l’irrogazione della sanzione della sospensione dalla qualifica per mesi sei, per essere stato ritenuto il C. colpevole della infrazione, prevista dall’art. 81, lett. f) del d.P.R. 3157, della tolleranza di abusi commessi da dipendenti. Osservava la Corte dei merito, per quel che interessa nel presente giudizio, che la richiesta di corresponsione degli assegni non percepiti nel periodo di sospensione cautelare doveva essere rigettata, atteso che correttamente il Tribunale aveva fatto richiamo all’ari. 97 del d.P.R. 3157, secondo il quale, quando la sospensione cautelare fosse stata disposta in pendenza del procedimento penale e questo si fosse concluso con sentenza di proscioglimento o di assoluzione passata in giudicato, perché il fatto non sussisteva o perché l’impiegato non l’aveva commesso, la sospensione era revocata e l’impiegato aveva diritto a tutti gli assegni non percepiti e che tale dettato normativo era stato recepito dall’ari. 32, co. 7, del c.c.n.l. 1994-97, che prevedeva la revoca della sospensione cautelare nella sola ipotesi di assoluzione con formula piena in sede penale, stabilendo che solo in tal caso il dipendente avesse diritto alla restituito in integrum. Viceversa, non poteva trovare applicazione l’art. 96, ai sensi del combinato disposto degli artt. 69, co. 1, e dell’art. 71, co. 1, dei d. lgs 16512001, a seguito della stipulazione dei contratti collettivi di settore che disapplicavano espressamente le norme elencate negli allegati A e B dei d. lgs. richiamato (art. 56 c.c.n.l. 1994197 per Il comparto sanità).
Per la cassazione di tale decisione ricorre il C., affidando l’impugnazione a quattro motivi, illustrati nella memoria difensiva depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c. Resiste, con controricorso, l’A.S.L. ROMA D.

Motivi della decisione

Con il primo motivo, il C. denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 96 e 97 d.P.R. 10 1.1957, n. 3, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., rilevando che l’art. 97 dei T.U. attiene alla distinzione tra le varie formule di proscioglimento dell’impiegato, ma unicamente ai fini della revoca obbligatoria della sospensione cautelare o della revoca facoltativa, laddove l’art. 96 è norma del tutto indipendente e regola il caso del procedimento disciplinare già concluso. Osserva che anche l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato aveva ammesso la ricostruzione della posizione giuridica ed economica per il periodo di sospensione cautelare, anche nelle ipotesi di intervenuta condanna definitiva, previa deduzione dei periodi di tempo corrispondenti alla irrogata sospensione dalla qualifica, nonché alla condanna penale inflitta. Con quesito di diritto, chiede affermarsi il principio secondo cui il diritto alla restitutio in integrum delle retribuzioni diminuite a seguito di una sospensione cautelare sorgente da procedimento disciplinare già concluso è governato dall’art. 96 dpr 10.1.1957 n. 3 e non prevede l’esclusione dei diritto in caso di proscioglimento penale per intervenuta prescrizione.
Con il secondo motivo, lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 32 dei c.c.n.l. del Comparto sanità 1994-97, ai sensi dell’ art. 360, n. 3, c.p.c., sostenendo l’erroneità dell’affermazione della Corte del merito, secondo cui l’art. 32, co. 7, c.c.n.l. 1994197 impedisce l’applicazione dell’invocato art. 96 T.U., atteso che il d. lgs. 16512001 ed i conseguenti c.c.n.l. non disapplicano, come ritenuto, l’art. 96, in quanto solo l’art. 97 viene sostituito dall’art. 32. Con quesito, chiede affermarsi che l’art. 96 d.P.R. 3157 non deve intendersi revocato a seguito dell’entrata in vigore del c.c.n.l. del comparto sanità conseguente al d.lgs. 16512001.
Con il terzo motivo, il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c. c. e dell’art. 324 c.p.c., ai sensi dell’ art. 360, n. 3, c..p.c., osservando che la materia relativa all’applicabilità dei d.P.R. 3157 e, quindi, del suo art. 96, deve ritenersi indiscutibile, perché coperta da giudicato, atteso che la sentenza appellata prevede ed afferma l’applicabilità dei d.P.R. 3157 ed, in particolare, degli artt. 97 e 91, sia pure per escludere – ingiustamente – il diritto alla reintegrazione retributiva. Assume che sarebbe stato onere dell’appellata proporre appello incidentale.
Con il quarto motivo, ascrive alla decisione impugnata la violazione e la falsa applicazione degli art. 96 e 97 d.P.R. 3157, dell’au. 32 c.c.n.l, Comparto sanità 1994-97, e chiede la disapplicazione di tali norme perché in violazione dell’ari. 3 Cost. o la loro rimessione al vaglio della Corte Costituzionale. Rileva al riguardo che l’equiparazione del proscioglimento per prescrizione ai casi di proscioglimento con formula piena è desumibile dall’esame della questione da parte del giudice delle leggi, che, fin dalla sentenza n. 168173, aveva affermato l’equiparabilità della fattispecie del proscioglimento per insufficienza di prove a quella di proscioglimento con formula piena ed aveva esteso tale equiparazione al caso di amnistia con sentenza 356/89. Assume che l’analogia del caso esaminato con la fattispecie del proscioglimento con formula dubitativa od amnistia è evidente e chiede che, qualora si interpretino gli artt. 96 e 97 del d.P.R. 3157 e l’art. 32 c.c.n.l. Comparto Sanità 19941997 nel senso di escludere il diritto alla restituíio in integrum in caso di proscioglimento per intervenuta prescrizione, tali norme devono essere disapplicate per violazione dell’art. 3 Cost., affermandosi il principio della sussistenza dei diritto.
La materia di cui qui si tratta fu disciplinata dal D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato) e successivamente regolata dal contratto collettIvo del comparto sanità 1994-1997 e da quelli posteriormente stipulati .
A norma del capoverso dell’art. 96 del cit. D.P.R. n. 3, se la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio viene inflitta all’impiegato per durata inferiore alla sospensione cautelare sofferta o se viene inflitta una sanzione minore o se il procedimento disciplinare si concluda con il proscioglimento dell’impiegato, l’Amministrazione deve corrispondere tutti gli assegni non percepiti, per il tempo eccedente la durata della punizione. Tale disposizione non prevedeva, dunque, l’ipotesi della sospensione cautelare disposta in pendenza del procedimento penale, ma la giurisprudenza riteneva che essa fosse nondimeno applicabile, riconoscendo il diritto dell’impiegato sospeso alla “restitutio in integrum” economica dopo la definizione del procedimento penale, anche con sentenza di condanna (v., Cass. 1916912006 riferita ad un c.c.n.l. del 1996 ma per una sospensione disposta nel 1994; Cons. Stato, Ad. plen. 2 maggio 2002, n.4).
Il sopravvenuto art. 32 c.c.n.I. 199411997 cit. prevede espressamente la sospensione cautelare in caso di procedimento penale, ma riduce la previsione di restitutio in integrum ai soli casi di assoluzione con formula piena e così lascia priva di disciplina l’ipotesi di condanna o di proscioglimento dell’imputato con altre formule, come quella di non doversi procedere per prescrizione dei reato.
Quest’ultima formula non consente di per sè alcuna conseguenza automatica, di integrale perdita degli assegni o, al contrario, di integrale spettanza. Il ricorrente pone, pertanto, a
questa Corte la questione del diritto alla retribuzione per il dipendente che non abbia eseguito la sua prestazione per essere stato cautelativamente sospeso a causa di procedimento penale. La questione è stata già recentemente affrontata da questa Corte, che ha rilevato come la stessa debba essere risolta partendo dalle norme del codice civile in materia di effetti patrimoniali sfavorevoli, conseguenti alla mancata esecuzione della prestazione lavorativa e che si distribuiscono nel modo seguente:
a) qualora la mancanza della prestazione sia imputabile al lavoratore, questi perde il diritto alla retribuzione (art. 1460 c.c.) e deve risarcire l’eventuale danno sopportato dal datore di lavoro (art. 1218 c.c.);
b) qualora la mancanza della prestazione sia imputabile al datore di lavoro, creditore in mora, questi dovrà risarcire Il danno sopportato dal lavoratore (art. 1207 c.c.), eventualmente nella misura delle retribuzioni dallo stesso perdute;
c) fatti impeditivi della prestazione, non imputabili a nessuna delle due parti del rapporto di lavoro (forza maggiore, factum principis), vengono talvolta considerati ed espressamente disciplinati dal legislatore che discrezionalmente, distribuisce il rischio (artt. 2110 e 2111 c.c.) (cfr. in tal senso, anche per quanto di seguito osservato, Cass.14.3.2012 n. 4061 e Cass. 25.6.2013 n. 15941). Nel caso di specie la lacuna di previsione del contratto collettivo, che non dispone al di fuori del caso di proscioglimento con formula piena, deve essere colmata in sede di interpretazione-applicazione.
Con la pronunzia di questa Corte n. 406112012 cit. è stato affermato il principio alla cui stregua “a norma dell’art. 27, comma 7, c.c.n.l. del 1995 cit., quanto corrisposto a titolo di indennità al pubblico impiegato nel periodo di sospensione cautelare dal servizio dev’essere conguagliato con quanto dovuto se il lavoratore fosse rimasto in servizio, solo in caso di proscioglimento con formula piena e perciò non necessariamente in caso di proscioglimento per prescrizione”. E’ stato osservato che la norma contrattuale, – omologa a quella di cui ali’ art. 32 del c.c.n.I. dei comparto sanità applicabile nel caso in esame – innova rispetto alla precedente (D.P.R. n. 3 del 1957, art. 96) che permetteva il conguaglio in tutti i casi di proscioglimento disciplinare e, trasformando la sospensione cautelare della retribuzione in provvedimento definitivo ossia sostanzialmente in pena disciplinare: a) non può applicarsi agli illeciti disciplinari commessi prima della sua entrata in vigore; b) per gli illeciti successivi, e qualora venga inflitta la sanzione disciplinare della sospensione per durata inferiore alla sospensione cautelare sofferta, il mancato conguaglio può essere discrezionalmente disposto dall’Amministrazione, con motivazione riferita alla gravità dell’illecito nei suoi elementi oggettivi e soggettivi (così Cass. 4061112 cit.).
Vale rimarcare che gli effetti pregiudizievoli conseguenti alla perdita della retribuzione si riconnettono, in ipotesi di custodia cautelare in carcere, ad un provvedimento della P.A. necessitato dallo stato restrittivo della libertà personale dei dipendente, che determina l’adozione di un provvedimento di sospensione cautelare obbligatoria (sospensione d’ufficio) e non ad un comportamento volontario ed unilateralmente assunto dal datore di lavoro, come nell’ipotesi di adozione di un provvedimento di sospensione facoltativa durante la pendenza del procedimento penale od anche solo disciplinare nei confronti del dipendente (V. anche, da ultimo, Cass. 514712013, relativamente a restituito in integrum limitata alla retribuzione dovuta per Il periodo di sospensione cautelare facoltativa).
Nelle ipotesi in cui, come nella specie, la sospensione cautelare sia stata disposta autonomamente dalla P.A., che solo in data 1.10.1995 riammise in servizio il C., le norme del c.c.n.l. nulla dispongono, non regolando il caso in cui la durata della sospensione cautelare ecceda quella della sospensione disciplinare irrogata a seguito dall’assoluzione o della pronuncia di non doversi procedere penalmente per i medesimi fatti, ma con formula diversa da quella “piena”. Nulla è disposto per tale caso, in particolare in relazione alle ipotesi in cui il procedimento disciplinare non venga attivato o sia riattivato dopo la decisione definitiva in sede penale, o in cui il procedimento disciplinare si concluda con l’accoglimento delle giustificazioni dei lavoratore, ovvero con l’irrogazione di una sanzione minore (richiamo o sospensione per un periodo minore di quello di durata della sospensione cautelare). Esiste dunque, come già detto, nella disciplina indicata un vuoto normativo con specifico riferimento alle fattispecie indicate, rispetto al quale questa Corte, analizzando la specifica questione successivamente alla pronuncia di legittimità 406112012 sopra richiamata, ha affermato, sia pure con riferimento al ccnl dipendenti dei Ministeri – ma con argomentazioni sostanzialmente richiamabili
anche con riguardo ad analoga normativa contenuta nella contrattazione del comparto Sanità -, che deve rilevarsi la continuità di disciplina, nella materia indicata, nel passaggio dal D.P.R. n. 3 del 1957, al c.c.n.l. dipendenti dei Ministeri del 1995 ed infine al successivo c.c.n.l. 2003 (cfr. Cass. 1.3.2013 n. 5147). Anche nella specie il CCNL del 19.4.2004, con efficacia normativa per il biennio 2002 – 2005, stabilisce, al comma 8 dell’art. 15, analogamente a quanto predicabile in precedenza che, in ogni caso di sentenza definitiva di assoluzione o di proscioglimento, quanto corrisposto nel periodo di sospensione cautelare a titolo di indennità verrà conguagliato con quanto dovuto al lavoratore se fosse rimasto in servizio, escluse le indennità o compensi per servizi speciali o per prestazioni dl carattere straordinario•. Vanno, allora, richiamate le medesime considerazioni svolte nella pronuncia 514712013 cit., che ha ribadito l’esistenza di un generale divieto di sospensione unilaterale del rapporto di lavoro da parte del datore di lavoro al di fuori delle ipotesi previste dalla legge e dalla contrattazione collettiva (o di emergenze del tutto eccezionali, in cui la sospensione possa ragionevolmente ritenersi necessariamente attivabile) nonché la regola implicita nella natura cautelare e interinale della sospensione cautelare, destinata a durare fin quando durino il procedimento disciplinare e l’eventuale procedimento penale, in funzione dei quali è prevista. Regola che si esprime nella sua provvisorietà e rivedibilità, in quanto “solo a termine e secondo l’esito dei detti procedimenti si potrà stabilire se la sospensione preventiva applicata resti giustificata e debba sfociare nella destituzione o nella retrocessione, ovvero debba venire caducata a tutti gli effetti” (Corte Cost. sent. n.168 del 1973). Tenendo conto di tali principi, la regola iuris rinvenibile dall’Ordinamento per la disciplina dei casi considerati è stata individuata in quella per cui la irripetibilità della retribuzione perduta durante la sospensione cautelare si giustifica unicamente nell’ipotesi in cui Il procedimento disciplinare si concluda col licenziamento del lavoratore, essendo ragionevole che la durata dei processo penale non ricada in tal caso a svantaggio dell’Amministrazione che ha disposto la sospensione cautelare e avviato, prima o dopo la decisione in sede penale, il procedimento disciplinare. E’ stato osservato, in modo pienamente condiviso da questo Collegio, che nei casi richiamati, l’eventuale trasformazione degli effetti della sospensione cautelare in una definitiva perdita della retribuzione dovuta non trova alcuna giustificazione nelle regole indicate, finendo essa per gravare il lavoratore di una vera e propria sanzione disciplinare aggiuntiva, originata da un comportamento volontario del datore di lavoro e da ritenere priva di causa, in quanto dipendente dalla mera pendenza di un procedimento penale, non sfociata in alcuna sentenza di condanna e che un tale effetto deve ritenersi impedito dal carattere di mera strumentalità della cautela, che non può mai Incidere In misura più gravosa di quella in funzione della effettività della quale è preordinata nonché del divieto generale di sospensioni unilaterali dei rapporto di lavoro, con perdita definitiva della retribuzione (cfr. Cass. 514712013 cit.).
Deve, pertanto, ritenersi che anche per effetto della disciplina di cui al ccnl, ed esclusa la necessità di impugnazione incidentale, cosi come prospettata nel terzo motivo di ricorso – trattandosi di questione relativa all’applicazione di norme -, la sentenza debba essere cassata per effetto dell’accoglimento dei primi due motivi, rimanendo assorbito il quarto, e la causa va rimessa al giudice del merito che valuterà, alla luce degli affermati principi, in che misura l’indennità corrisposta nel periodo di sospensione cautelare debba essere conguagliata con quanto dovuto al lavoratore se fosse rimasto in servizio, escluso il periodo dì sospensione cautelare obbligatoria ed avuto riguardo al periodo di sospensione facoltativa ed alla durata della sanzione disciplinare della sospensione inflitta all’esito dei relativo procedimento.
Il giudice del rinvio, designato come in dispositivo, provvederà alla liquidazione anche delle spese dei presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Roma in diversa composizione.
Così deciso in ROMA, il 27.3.2014

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *