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SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
ordinanza 21 novembre 2014, n. 24917
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CURZIO Pietro – Presidente –
Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –
Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –
Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –
Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso 8437/2013 proposto da:
F.D. (OMISSIS), T.F., elettivamente domiciliate in ROMA, VIA COLA DI RINZO, 180, presso lo studio dell’avvocato CASTELLUCCI IGNAZIO, che le rappresenta e difende unitamente all’avvocato RENZO FAUSTO SCAPPINI giusta procura alle liti a margine del ricorso;
– ricorrenti –
contro
CIERRE GRAFICA COOPERATIVA SOCIETA’;
– intimati –
avverso l’ordinanza n. R.G. 2725/12 del TRIBUNALE di VERONA, depositata il 26/02/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dell’08/10/2014 dal Consigliere Relatore Dott. DANIELA BLASUTTO.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1.1. Con ricorso per regolamento necessario di competenza ex art. 42 c.p.c., F.D. e T.F. hanno impugnato l’ordinanza del 26 febbraio 2013 con cui il Tribunale di Verona ha dichiarato la propria incompetenza indicando la competenza della sezione specializzata in materia di impresa del distretto della Corte di appello di Venezia, nel procedimento proposto L. n. 92 del 2012, ex art. 1, comma 48, (c.d. legge Fornero).
1.2. Le ricorrenti, ex socie-lavoratrici della soc. coop. Cierre Grafica a r.l.; hanno esposto di essere state escluse dalla compagine sociale per asserita violazione degli obblighi statutari e di essere state licenziate per giustificato motivo oggettivo. La cessazione dei due rapporti, associativo e lavorativo, era avvenuta per differenti e autonomi motivi, i quali, ancorchè fatti valere con un unico ricorso, erano da riferire a due distinte domande giudiziali, rispettivamente finalizzate alla riammissione nella compagine sociale e alla reintegrazione nel posto di lavoro. Si verteva in un’ipotesi di connessione tra cause, da ritenere regolata dall’art. 40 c.p.c., comma 3, con conseguente devoluzione alla cognizione del giudice del lavoro, in forza della prevalenza del rito speciale di cui all’art. 409 c.p.c.. Tale ricostruzione non era stata condivisa dal Giudice del lavoro di Verona, il quale aveva ritenuto il carattere pregiudiziale dell’accertamento avente ad oggetto l’estinzione del rapporto societario e l’estensione della competenza delle sezioni specializzate in materia di impresa di cui alla L. n. 27 del 2012, ad ogni ipotesi di connessione rispetto a tale oggetto.
1.3. Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione ed errata applicazione della L. n. 142 del 2001, art. 5, comma 2, violazione ed errata interpretazione dell’art. 40 c.p.c., nonchè travisamento dei fatti di causa, per non avere il Tribunale di Verona debitamente considerato che, ove fosse annullata la delibera di esclusione, il rapporto di lavoro delle due socie-lavoratrici non verrebbe automaticamente ricostituito, operando l’autonoma causa di risoluzione, rappresentata dal licenziamento per (presunto) giustificato motivo oggettivo; pertanto, l’opposizione alla delibera di esclusione proposta ex art. 2533 c.c., non costituisce causa pregiudiziale rispetto all’accertamento della illegittimità del licenziamento.
1.4. Con il secondo motivo si denuncia violazione ed errata applicazione della L. n. 142 del 2001, art. 1, comma 3, e art. 5, comma 2; violazione ed errata applicazione dell’art. 40 c.p.c., e del D.L. n. 1 del 2012, art. 2, comma 3, conv. in L. n. 27 del 2012. La previsione di automatica estinzione del rapporto di lavoro con il recesso o l’esclusione del socio, deliberati nel rispetto delle disposizioni normative che li regolano (L. n. 30 del 2003, art. 5), non esclude la configurabilità di un concorrente licenziamento intimato per ragioni autonome, non afferenti alla prestazione mutualistica. Il rapporto mutualistico e quello lavorativo non coincidono, poichè le prestazioni riconducibili al primo si identificano in una serie di attività proprie dei soci-lavoratori, quali il concorso alla gestione della società e la partecipazione alla formazione degli organi sociali; la definizione della struttura di direzione e conduzione dell’impresa; la formazione del capitale sociale e la partecipazione al rischio di impresa. Nel caso di specie, la controversia verte sulla lesione di diritti afferenti al rapporto associativo e lavorativo, ma per ragioni distinte. In caso di concorso di domande connesse opera il principio fissato dall’art. 40 c.p.c., comma 3, che fa salva l’applicazione del rito speciale quando una delle cause rientri tra quelle indicate negli artt. 409 e 442 c.p.c..
1.5. Con il terzo motivo si denuncia violazione ed errata applicazione del D.L. n. 1 del 2012, art. 2, comma 3, conv. in L. n. 27 del 2012, illegittimità costituzionale del D.L. n. 1 del 2012, art. 2, comma 3, conv. in L. n. 27 del 2012, in relazione agli artt. 3, 24 e 35 Cost.; violazione del principio di concentrazione del processo. L’ordinanza impugnata non ha debitamente considerato che il D.L. n. 1 del 2012, pur attribuendo al Tribunale delle imprese la competenza per le cause connesse a quelle “societarie”, non ha intaccato il principio di prevalenza del rito speciale del lavoro previsto dall’art. 40 c.p.c., comma 3, rispetto al rito ordinario. In assenza di una esplicita deroga a tale principio, si deve ritenere che – in una lettura costituzionalmente orientata della norma – il D.L. n. 1 del 2012, art. 2, comma 3, faccia riferimento a tutte le cause ed i procedimenti che presentano ragioni di connessione, ad eccezione di quelli sottoposti al rito speciale del lavoro. Nè potrebbe ipotizzarsi la distinta tutela dei diritti dinanzi a giudici diversi, in ragione di una distinta competenza funzionale – soluzione pure ipotizzata nell’ordinanza impugnata -, stante il principio di concentrazione e di ragionevole durata del giusto processo di cui agli artt. 24 e 111 Cost.
2. Il Procuratore Generale, nel parere espresso nel presente giudizio, ha osservato che la L. 24 marzo 2012, n. 27, nell’attribuire al Tribunale delle Imprese la competenza per le cause connesse a quelle societarie, non ha previsto una esplicita deroga al principio della prevalenza della competenza del Giudice del lavoro ai sensi dell’art. 40 c.p.c., comma 3. In mancanza di una espressa previsione in tal senso, si impone una lettura costituzionalmente orientata della nuova disciplina normativa, sotto il profilo della necessità di riequilibrare la posizione di disparità sostanziale delle parti del rapporto giuridico, ai sensi dell’art. 3 Cost., comma 2; dunque, la regola generale di cui all’art. 40 c.p.c., comma 3, rimane tale anche alla stregua della L. n. 27 del 2012. Ha quindi concluso perchè sia dichiarata la competenza del giudice del lavoro del Tribunale di Verona.
3. Il ricorso merita accoglimento.
4.1 Preliminarmente, va osservato che la questione di competenza è stata sollevata in un giudizio introdotto ai sensi della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 48, (c.d. legge Fornero), avendo le lavoratrici adito il Giudice del lavoro di Verona per impugnare il licenziamento loro intimato dalla soc. Cierre Grafica e chiedere la reintegra nel posto di lavoro. Con la recente ordinanza n. 17443 del 31 luglio 2014, le Sezioni Unite della Corte hanno affermato l’ammissibilità del regolamento di competenza in relazione ad una ordinanza emessa nel procedimento ai sensi della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 48 e segg..
4.2. Va altresì premesso che la determinazione del giudice competente dev’essere compiuta con riferimento al petitum ed alla causa petendi dedotti dall’attore, mentre le controdeduzioni del convenuto rilevano soltanto quando rendono evidente che la prospettazione dell’attore costituisce mero artificio verbale, tendente a portare la causa davanti a un giudice diverso da quello naturale. Spetta poi al giudice del merito, una volta radicata la causa, pronunziarsi sul fondamento delle domande ed eccezioni, senza essere vincolato dalle qualificazioni giuridiche sostenute dalle parti (Cass. n. 1046 del 1981, 1698 del 1982; cfr. pure, Cass. n. 8189 del 2012, n. 9028 del 2014). Non si ravvisano nella fattispecie in esame profili che facciano apparire pretestuosa o artificiosa la prospettazione tesa a radicare la competenza delle cause connesse dinanzi al giudice del lavoro.
5.1 Secondo i fatti prospettati a fondamento del ricorso, le due socie-lavoratrici svolgevano attività alle dipendenze della soc. coop. Cierre Grafica con sede in (OMISSIS) in qualità di operaie, con mansioni, la F., di grafico addetto all’impaginazione dei prodotti editoriali per l’intero gruppo Gierre e, la T., di grafico addetto all’impaginazione e di unico operatore aziendale addetto alla funzione di “caduta macchina”.
Nel 2012, al fine di fronteggiare la crisi di liquidità aziendale, il Presidente propose all’assemblea dei soci alcune azioni di risanamento, tra cui la sottoscrizione di un prestito bancario di Euro 150.000,00 garantito personalmente dai soci attraverso un contratto di fideiussione proquota; l’assemblea approvò il piano di risanamento a maggioranza, mentre tre socie ( F., T. e C.) manifestarono il proprio dissenso limitatamente alla richiesta di prestare la garanzia personale per la richiesta di prestito bancario; seguirono contestazioni, richieste di chiarimento ed altre vicissitudini concernenti la posizione dei soci e le conseguenze del rifiuto sul rapporto sociale.
5.2. Con delibera del 25.7.2012 il C.d.A della Cierre Grafica s.c.a.r.l., preso atto della indisponibilità delle socie F. e T. di prestare la suddetta garanzia fideiussoria, deliberò l’esclusione dalla compagine sociale per il “venir meno dello spirito di cooperazione mutualistica” e la contestuale risoluzione del rapporto di lavoro dipendente per giustificato motivo oggettivo.
5.3. Con nota del 1.8.2012 il Presidente della cooperativa comunicò alla F. e alla T. quanto segue:
“…a seguito del suo reiterato rifiuto di adeguarsi alle decisioni adottate dall’assemblea dei soci del 28 inarco 2012, ritenute pretestuose e infondate le motivazioni da Lei addotte a giustificazione del rifiuto in parola e, quindi, prendendo atto che è venuto meno, da parte Sua, lo spirito di cooperazione mutualistica, il CdA riunitosi in data 25.7.u.s. ha deliberato la Sua esclusione dalla compagine sociale demandando al Presidente di procedere alla relativa annotazione sul libro dei soci.
Si comunica che la annotazione in parola viene effettuata in data odierna e che, conseguentemente, viene meno anche il suo rapporto di lavoro dipendente.
Le si comunica altresì che, detto ultimo rapporto si risolve anche per un motivo a sè stante, considerato che il predetto C.d.A. – avendo, tra l’altro, ricordato che la praticata condivisione di uno spirito mutualistico è stata l’unica leva che ha impedito, sino ad oggi, di esternalizzare le lavorazioni relative alla caduta macchina (imposition) e, quindi, di procedere, anche per tale guisa, ad una riduzione dei costi e al contenimento delle perdite – ha deciso la soppressione del Suo posto di lavoro e, quindi, considerata l’impossibilità di reimpiegarla in mansioni fungibili che, anche professionalmente inferiori, possano essere utilmente ricevute, la presente vale anche, in via estremamente subordinata, quale comunicazione della risoluzione del Suo rapporto di lavoro per giustificato motivo oggettivo”.
6. Alla stregua dei fatti allegati e ai soli fini della decisione sulla competenza, l’estinzione del rapporto di lavoro risulta sorretto da due autonome ragioni, l’una costituita dall’esclusione deliberata dall’assemblea dei soci sulla base di un fatto riferibile al rapporto mutualistico, l’altra costituita da ragioni organizzative relative all’attività imprenditoriale svolta dalla cooperativa. Le due impugnative integrano un’ipotesi di cumulo di domande connesse:
l’opposizione alla delibera assembleare di esclusione dalla cooperativa e l’impugnazione del licenziamento.
7.1. La L. 3 aprile 2001, n. 142, stabiliva, all’art. 1, comma 3, primo periodo: “Il socio lavoratore di cooperativa stabilisce con la propria adesione o successivamente all’instaurazione del rapporto associativo un ulteriore e distinto rapporto di lavoro, in forma subordinata o autonoma o in qualsiasi altra forma, ivi compresi i rapporti di collaborazione coordinata non occasionale, con cui contribuisce comunque al raggiungimento degli scopi sociali”;
all’art. 5, comma 2: “Le controversie relative ai rapporti di lavoro in qualsiasi forma di cui all’art. 1, comma 3, rientrano nella competenza funzionale del giudice del lavoro; per il procedimento, si applicano le disposizioni di cui all’art. 409 c.p.c. e ss.. In caso di controversie sui rapporti di lavoro tra i soci lavoratori e le cooperative, si applicano le procedure di conciliazione e arbitrato irrituale previste dai D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, e successive modificazioni, e 29 ottobre 1998, n. 387. Restano di competenza del giudice civile ordinario le controversie tra soci e cooperative inerenti al rapporto associativo”.
7.2. La L. 14 febbraio 2003, n. 30, all’art. 9, – come è noto – ha apportato le seguenti modifiche: “Art. 9. (Modifiche alla L. 3 aprile 2001, n. 142).
1. Alla legge 3 aprile 2001, n. 142, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all’art. 1, comma 3, primo periodo, le parole: “e distinto” sono soppresse; (…) d) all’art. 5, il comma 2, è sostituito dal seguente: “2. Il rapporto di lavoro si estingue con il recesso o l’esclusione del socio deliberati nel rispetto delle previsioni statutarie e in conformità con gli artt. 2526 e 2527 c.c.. Le controversie tra socio e cooperativa relative alla prestazione mutualistica sono di competenza del tribunale ordinario”.
7.3. La previsione di cui alla L. n. 142 del 2001, art. 5, comma 2, come modificato dalla L. n. 30 del 2003, che sancisce la immediata estinzione del rapporto di lavoro con il recesso o l’esclusione del socio, ha evidenziato la “dipendenza” del rapporto di lavoro da quello associativo, ma limitatamente al caso in cui la cooperativa disponga, sulla base di previsioni statutarie o codicistiche, l’esclusione del socio e il provvedimento estingua ipso ture anche il rapporto di lavoro. Sul fronte processuale, a seguito della modifica del 2003, solo le controversie tra socio e cooperativa relative alla “prestazione mutualistica” sono di competenza del tribunale ordinario.
7.4. Già con la sentenza n. 850 del 2005 questa Corte aveva seguito un’interpretazione restrittiva della regola che indica la competenza del tribunale ordinario in caso di connessione, affermando che, nell’ipotesi in cui si controverta sulla cessazione del rapporto associativo e del rapporto lavorativo, la competenza non è quella del tribunale ordinario, ma (in applicazione del principio fissato dall’art. 40 c.p.c., comma 3) quella del tribunale in composizione monocratica come giudice del lavoro, con l’applicabilità del relativo rito. Rispetto a tale regola costituisce eccezione la previsione di cui al testo novellato della L. n. 142 del 2001, art. 5, secondo cui sono di competenza del Tribunale ordinario le controversie tra socio e cooperativa relative alla “prestazione mutualistica”, da intendersi in senso rigido e con impossibilità di estensione alle controversie riguardanti i diritti sostanziali e previdenziali del lavoratore.
8. Quanto alle vicende sul rito, va segnalato che il D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, art. 1, comma 1, (Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonchè in materia bancaria e creditizia, in attuazione della L. 3 ottobre 2001, n. 366, art. 12), aveva stabilito che “Si osservano le disposizioni del presente decreto legislativo in tutte le controversie, incluse quelle connesse a norma degli artt. 31, 32, 33, 34, 35 e 36 c.p.c., relative a: a) rapporti societari, ivi compresi quelli concernenti le società di fatto, l’accertamento, la costituzione, la modificazione o l’estinzione di un rapporto societario, le azioni di responsabilità da chiunque promosse contro gli organi amministrativi e di controllo, i liquidatori e i direttori generali delle società, delle mutue assicuratrici e delle società cooperative”. Come è noto, tale norma è stata oggetto della sentenza n. 71/2008 della Corte Cost., che ne ha dichiarato l’illegittimità costituzionale limitatamente alle parole: “incluse quelle connesse a norma degli artt. 31, 32,33, 34, 35 e 36 c.p.c.”, per eccesso di delega, in quanto la norma finiva per interferire sulla connessione, alterando il criterio di cui all’art. 40 c.p.c., mentre la legge di delega non autorizzava il Governo ad intervenire in tema di connessione tra procedimenti aventi oggetti diversi.
Occorre pure aggiungere che la L. n. 69 del 2009, art. 54, ha disposto l’abrogazione del rito speciale.
9. Il D.Lgs. 27 giugno 2003, n. 168, art. 1, come sostituito dal D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, art. 2, convertito, con modificazioni, nella L. 24 marzo 2012, n. 27 – vigente al momento dell’instaurazione del presente giudizio – ha istituito le “sezioni specializzate in materia di impresa” e, con riguardo al diritto delle società, ha stabilito che il tribunale è competente – tra le altre – per le società cooperative. Specificamente, al D.Lgs. 27 giugno 2003, n. 168, sono state apportate le seguenti modificazioni: all’art. 3, comma 2, lett. a), è stata prevista la competenza del tribunale delle imprese,”per le cause e i procedimenti: a) relativi a rapporti societari ivi compresi quelli concernenti l’accertamento, la costituzione, la modificazione o l’estinzione di un rapporto societario,….”; al comma 3, è stato stabilito che “Le sezioni specializzate sono altresì competenti per le cause e i procedimenti che presentano ragioni di connessione con quelli di cui ai commi 1 e 2”.
10.1. Quanto al significato e sulla portata applicativa della locuzione “ragioni di connessione” con riferimento al cumulo di cause vertenti sul rapporto mutualistico e lavorativo del socio di cooperativa, l’interpretazione costituzionalmente orientata (artt. 3, 24 e 35 Cost.) della nuova disciplina porta ad escludere che la vis attractiva della competenza del c.d. tribunale delle imprese operi quando una delle cause rientri tra quelle indicate negli artt. 409 e 442 c.p.c., operando in tali ipotesi la regola generale dell’ordinamento, desumibile dall’art. 40 c.p.c., comma 3. Al riguardo va osservato quanto segue.
10.2. La L. n. 142 del 2001, art. 1, comma 3, a seguito delle modifiche apportate dalla L. n. 30 del 2003, pur sopprimendo l’aggettivo “distinto”, ha mantenuto l’aggettivo “ulteriore”, con chiara indicazione ermeneutica, significativa della coesistenza, in capo al socio lavoratore, di una pluralità delle cause contrattuali e connessa coesistenza di una pluralità di tutele. In tal senso, si era espressa questa Corte, con la sentenza n. 14741 del 5 luglio 2011, secondo cui “il legislatore del 2003, pur evidenziando la necessità di un più stretto collegamento genetico e funzionale del rapporto di scambio mutualistico con quello associativo, ha confermato il tratto essenziale della riforma, e cioè la sicura coesistenza, nella cooperazione di lavoro, di una pluralità di rapporti contrattuali e la conseguente irriducibilità del lavoro cooperativo ad una dimensione puramente societaria, con la connessa coesistenza di una pluralità di tutele, coerenti con la pluralità di cause contrattuali che descrivono, solo nel loro insieme, la posizione giuridica del socio lavoratore”.
10.3. La L. 3 aprile 2001, n. 142, art. 5, comma 2, laddove prevede, nella prima parte, che il rapporto di lavoro si estingue con il recesso o l’esclusione del socio nel rispetto delle previsioni statutarie e in conformità con le norme codicistiche, evidenzia un rapporto di consequenzialità fra l’esclusione del socio e l’estinzione del rapporto di lavoro, nel senso che l’automatismo ivi previsto esclude la necessità di un ulteriore, autonomo atto di licenziamento; allo stesso modo, ove venga rimosso il provvedimento di esclusione, il socio avrà diritto alla ricostituzione del rapporto associativo e del concorrente rapporto di lavoro, indipendentemente dall’applicabilità delle tutele previste per il licenziamento, queste ultime tuttavia non sono per ciò escluse.
Infatti, ove la delibera di esclusione riguardi il concorrente rapporto di lavoro, il giudice, nello scrutinare la sussistenza dei relativi presupposti di legittimità, dovrà comunque valutare, “attraverso un adeguato bilanciamento degli interessi, tanto l’interesse sociale ad un corretto svolgimento del rapporto associativo quanto la tutela e la promozione del lavoro in cui essenzialmente si rispecchia la funzione sociale di questa forma di mutualità” (Cass. sent. 14741 del 2011, cit.).
10.4. Sul fronte processuale, la L. n. 142 del 2001, art. 5, comma 2, come sostituito dalla L. 14 febbraio 2003, n. 30, art. 9, ha contemplato la competenza del giudice ordinario limitatamente alle “controversie tra socio e cooperativa relative alla prestazione mutualistica”. I soci della cooperativa sono, difatti, portatori di uno specifico interesse a che l’attività d’impresa sia orientata al soddisfacimento delle loro richieste di prestazioni (mutualistiche) ed alle condizioni più favorevoli consentite dalle esigenze di economicità nella condotta dell’impresa sociale; tale interesse è realizzabile dal socio azionando i mezzi di tutela predisposti dal diritto societario, qualora la gestione dell’impresa sociale non sia improntata al rispetto dello scopo mutualistico o abbia leso diritti del socio. Dall’altro lato, l’art. 2533 c.c., regola l’ambito di applicabilità dell’esclusione del socio, includendo – tra le diverse ipotesi – le gravi inadempienze delle obbligazioni che derivano dalla legge, dal contratto sociale, dal regolamento o dal rapporto mutualistico. L’ambito della competenza del giudice ordinario è, pertanto, circoscritto alle controversie aventi un oggetto riconducibile nell’alveo della prestazione mutualistica.
10.5. Nell’ipotesi di connessione tra cause aventi ad oggetto il rapporto mutualistico e quello lavorativo, opera l’art. 40 c.p.c., comma 3, che fa salva l’applicazione del rito speciale quando una di esse rientri tra quelle di cui agli artt. 409 e 442 c.p.c.. Tale regola è dettata in funzione di dare preminenza ad interessi di rilevanza costituzionale e ciò spiega la prevalenza del rito speciale del lavoro su quello ordinario, allorchè la connessione riguardi una controversia rientrante tra quelle previste dall’art. 409 c.p.c..
10.6. Trattasi di principi che valgono anche nel nuovo contesto normativo segnato dalla L. n. 27 del 2012, poichè il principio della vis attractiva del rito del lavoro costituisce una regola a cui deve riconoscersi carattere generale e preminente per gli interessi di rilevanza costituzionale che la norma processuale è preordinata a garantire. In conformità a tale principio, deve provvedersi all’interpretazione della locuzione “ragioni di connessione” di cui al D.Lgs. 27 giugno 2003, n. 168, art. 3, comma 3, nel senso che il regime della connessione, ove riferibile al cumulo di cause relative al rapporto mutualistico e al rapporto lavorativo, comporta il radicamento della competenza per le cause connesse dinanzi al giudice del lavoro.
10.7. In mancanza di una espressa deroga al principio generale della prevalenza della competenza del giudice del lavoro di cui all’art. 40 c.p.c., comma 3, e comunque in una lettura costituzionalmente orientata della nuova disciplina normativa, deve ritenersi che la nuova norma abbia introdotto ipotesi speciali di modificazione della competenza per ragioni di connessione, determinando un’attrazione a favore delle sezioni specializzate anche di cause che, se non fossero connesse a quelle di loro competenza, non sarebbero a loro attribuite, ma con il limite rappresentato dalla connessione con le cause demandate alla cognizione del giudice del lavoro, poichè in tale ipotesi torna a prevalere la speciale competenza per connessione di cui all’art. 40 c.p.c., comma 3, seconda parte.
11. Nel caso in esame, secondo la prospettazione dei fatti di causa, risulta che il rapporto di lavoro è stato dichiarato risolto non solo quale effetto automatico della delibera di esclusione delle socie per motivi afferenti alla prestazione mutualistica, ma “anche per un motivo a sè stante”, costituito dalla decisione aziendale di “esternalizzare le lavorazioni relative alla caduta macchina (imposition) e, quindi, di procedere, anche per tale guisa, ad una riduzione dei costi e al contenimento delle perdite”, con conseguente soppressione dei posti di lavoro già occupati dalle ricorrenti e affermata impossibilità di repechage. Due sono le concorrenti cause di risoluzione del rapporto delle socie-lavoratrici: una è l’automatica estinzione del rapporto di lavoro quale effetto della delibera di esclusione per motivi riguardanti la violazione degli obblighi statutari, l’altra è costituita da ragioni economiche riguardanti l’attività di impresa e la ravvisata opportunità aziendale di esternalizzare le funzioni in cui erano impiegate le lavoratoci. L’impugnativa della delibera e del concorrente atto di licenziamento configura un’ipotesi di connessione di cause, che determina la sussistenza della competenza del Giudice del lavoro a norma dell’art. 40 c.p.c., comma 3, seconda parte.
12. In accoglimento del ricorso, deve essere dichiarata la competenza del Giudice del lavoro del Tribunale di Verona.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso e dichiara la competenza del Tribunale di Verona, in funzione di giudice del lavoro.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 quater, da atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 8 ottobre 2014.
Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2014.