Suprema Corte di Cassazione
sezione lavoro
sentenza 20 febbraio 2014, n. 4026
Fatto e diritto
1 – Considerato che è stata depositata relazione del seguente contenuto:
“Con sentenza n. 141/2011 depositata in data 18 maggio 2011, la Corte di appello di Perugia respingeva l’impugnazione proposta dall’I.N.P.S. avverso la sentenza resa dal Tribunale di Terni che aveva riconosciuto in favore di P.I.E. l’assegno mensile di invalidità con decorrenza dal 28/12/2008. Confermava la Corte territoriale la ritenuta sussistenza del requisito sanitario con la decorrenza già indicata dal Tribunale e riteneva, quanto al requisito reddituale, che lo stesso fosse stato dimostrato dalla documentazione fiscale prodotta dalla ricorrente e, quanto al requisito della mancanza di occupazione ai sensi della legge n. 244 del 24/12/2007, che lo stesso fosse stato dimostrato a mezzo dell’autocertificazione di non svolgere attività lavorativa resa annualmente all’I.N.P.S. dall’interessata.
Avvero tale sentenza propone ricorso per cassazione l’I.N.P.S. affidato ad un motivo.
Resiste con controricorso P.I.E. .
Con l’unico articolato motivo l’I.N.P.S. denuncia: Violazione e errata applicazione dell’art. 13 della legge n. 118 del 1971 anche nel testo sostituito dall’art. 1, comma 35, della l. n. 247/2007, dell’art. 1 comma 94 della legge n. 247/2007, dell’art. 2697 cod. civ., dell’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale, tutti in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ. nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ.. Si duole del fatto che la Corte territoriale ha ritenuto che, con l’entrata in vigore della legge n. 247/2007, possa ritenersi superata la necessità di offrire giudizialmente la prova del requisito della mancata occupazione nonché del fatto che la Corte territoriale, pur non avendo la P.I. dato la prova di detto requisito nei tempi e nei modi previsti dal codice di rito e dal codice civile, tuttavia ha ritenuto provato il requisito della mancata occupazione.
Il motivo è manifestamente fondato.
Si osserva innanzitutto che, mentre nella vigenza dell’art. 13 della legge n. 118 del 1971 (testo precedente alle modifiche) andava richiesta la prova del requisito della incollocazione al lavoro (pacificamente rappresentante, al pari della ridotta capacità lavorativa e del requisito economico e reddituale di cui agli artt. 12 e 13 della legge citata, un elemento costitutivo del diritto alla prestazione) con la nuova normativa, che ha sostituto la previgente dicitura incollocati al lavoro con la più ampia espressione che non svolgono attività lavorativa, è del diverso requisito che occorre fornire la dimostrazione.
Sul punto, questa Corte ha precisato che, in tema di invalidità civile, la prova del requisito del mancato svolgimento di attività lavorativa previsto per beneficiare dell’assegno di invalidità di cui all’art. 13, legge 21 aprile 1971, n. 118, come novellato dall’art. 1, comma 35, legge 24 dicembre 2007, n. 247, non può essere fornita in giudizio mediante mera dichiarazione dell’interessato, anche se rilasciata con formalità previste dalla legge per le autocertificazioni, che può assumere rilievo solo nei rapporti amministrativi ed è, invece, priva di efficacia probatoria in sede giurisdizionale – cfr., in tal senso, Cass. 20 dicembre 2010, n. 25800; id. 12 novembre 2012 n. 19651; 4 giugno 2013, n. 14121 -. Si è, in particolare, ritenuta tale impostazione valida anche ai fini dell’applicazione del nuovo testo della legge n. 118 del 1971, art. 13, in quanto la previsione da parte di detta disposizione (secondo cui l’assegno di invalidità civile è concesso, nel concorso degli altri requisiti, agli invalidi civili… che non svolgono attività lavorativa e per il tempo in cui tale condizione sussiste) di una dichiarazione sostitutiva di tipo autocertificatorio da rendere annualmente all’I.N.P.S., circa il mancato svolgimento di attività lavorativa, non evidenzia una deroga circa la rilevanza di dichiarazioni di tale genere solo nell’ambito amministrativo, restando impregiudicati i principi sulla prova operanti nei giudizi civili, nei quali, peraltro, in difetto di specifici limiti normativi, è ammessa anche la prova per presunzioni.
La Corte di appello di Perugia non si è attenuta a tali principi ed in particolare ha ritenuto che il riferimento alla dichiarazione sostitutiva resa annualmente all’I.N.P.S. dovesse essere inteso come volto a riservare alla fase amministrativa l’accertamento della originaria sussistenza e della successiva persistenza della condizione di mancato svolgimento dell’attività lavorativa ed in conseguenza ha ritenuto che la stessa, in quanto successiva al conseguimento del beneficio, rappresenti una mera condizione per il permanere di esso e non già un elemento costitutivo.
Per quanto sopra considerato, si propone l’accoglimento del ricorso con ordinanza, ai sensi dell’art. 375 cod. proc. civ., n. 5”.
2 – Ritiene questa Corte che le considerazioni svolte dal relatore siano del tutto condivisibili, siccome coerenti alla consolidata giurisprudenza di legittimità in materia. Va ulteriormente precisato che non potrebbe giungersi a diverse conclusioni in base al principio parzialmente diverso stabilito da questa Corte con la sentenza n. 22113/2009, secondo cui “ai fini del riconoscimento dell’assegno di invalidità civile, le donne invalide ultrasessantenni ed infrasessantacinquenni, che non hanno più diritto ad essere iscritte nelle liste speciali di collocamento per aver raggiunto l’età pensionabile, possono dimostrare il requisito dell’incollocamento al lavoro, richiesto per l’erogazione delle relative prestazioni, provando, con gli ordinari mezzi di prova, ivi comprese le presunzioni, lo stato di effettiva disoccupazione o di non occupazione“, posto che, nel caso in esame, come si evince dal contenuto del ricorso introduttivo del giudizio ritualmente riprodotto dall’I.N.P.S., l’interessata non ha versato in atti, in uno con il ricorso introduttivo del giudizio, alcuna documentazione attestante il possesso del requisito dell’incollocamento – fino al 31/12/2007 – e del mancato svolgimento dell’attività lavorativa – dall’1/1/2008 – né svolto la benché minima deduzione in ordine al possesso di detti requisiti, circostanze, queste, non solo preclusive di ogni approfondimento istruttorio ma altresì ostative all’operatività di una presunzione.
Ricorre con ogni evidenza il presupposto dell’art. 375, n. 5, cod. proc. civ. per la definizione camerale del processo.
3 – Conseguentemente, il ricorso va accolto e va cassata l’impugnata sentenza; non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito a norma dell’art. 384, commi 1 e 2, cod. proc. civ., con il rigetto dell’azionata domanda.
4 – Il diverso esito dei giudizi di merito rispetto al presente di legittimità costituisce giusto motivo per compensare tra le parti le spese dell’intero processo.
P.Q.M.
LA CORTE accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’azionata domanda. Compensa tra le parti le spese dell’intero giudizio.
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