Suprema Corte di Cassazione
sezione lavoro
sentenza 13 maggio 2015, n. 9824
Fatto e diritto
La Corte di appello di Genova ha confermato la decisione di primo grado che aveva respinto il ricorso in opposizione proposto da AM. TER. s.p.a. avverso le cartelle di pagamento con le quali alla detta società era intimato il pagamento in favore dell’INPS di somme per contributi dovuti a titolo di CIGS, CIGO e maternità. La società AM.TER. chiede la cassazione della decisione sulla base di due motivi. LTNPS, anche quale procuratore della S.C.C.I. s.p.a. resiste con tempestivo controricorso. Equitalia Nord s.p.a., già Equitalia Sestri s.p.a., è rimasta intimata. Parte ricorrente ha depositato memoria.
Con il primo motivo di ricorso, parte ricorrente, deducendo plurime violazioni di norme di diritto nonché vizio di motivazione, censura la decisione per avere ritenuto dovuti i contributi per CIGS e CIGO.
Richiamata la normativa in tema di modalità di gestione dei servizi pubblici da parte degli enti locali, rilevato che in base al disposto dell’art. 35 l. n. 448 del 2001 detti enti, per la gestione di servizi, reti, impianti e beni sono tenuti ad avvalersi di soggetti allo scopo costituiti nella forma di società di capitali con la partecipazione maggioritaria degli enti locali, anche associati, ha sostenuto, in una prospettiva intesa a valorizzare l’elemento sostanziale costituito dalla “gestione” dell’impresa da parte dello stesso ente pubblico, che la partecipazione di soggetti pubblici al capitale sociale comportava che essa ricorrente dovesse essere annoverate nell’ambito delle “imprese industriali degli enti pubblici, anche se municipalizzate”, esonerate, in base al disposto dell’art. 3 decreto CPS n. 869 del 1947, dall’applicazione delle norme sull’integrazione dei guadagni degli operai dell’industria. Ha quindi dedotto il vizio di motivazione della decisione impugnata con riferimento alle allegate caratteristiche di essa società che in ragione del peculiare oggetto, della presenza di capitale pubblico, della “assoluta dominanza” dell’ente pubblico non si prestava ad essere inquadrata, come invece avvenuto nella decisione impugnata, nell’ambito della normale società per azioni di diritto comune.
Con il secondo motivo di ricorso, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 79 d. lgs n. 151 del 2001 nonché vizio di motivazione censura la decisione per avere escluso l’applicazione della aliquota ridotta, prevista dalla richiamata disposizione sui contributi per maternità dovuti in relazione ai lavoratori che avevano optato per il mantenimento della posizione assicurativa presso l’INPDAP.
Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte (v., tra le altre, Cass. n. 14847/2009, n. 5816/ 2010, n. 19087, n. 20818, n. 20819, n. 22318, n. 27513/ 2013, n. 14089 e n. 13721/2014) in tema di contribuzione previdenziale, le società a capitale misto, ed in particolare le società per azioni a prevalente capitale pubblico, aventi ad oggetto l’esercizio di attività industriali sono tenute al pagamento dei contributi previdenziali previsti per la cassa integrazione guadagni e la mobilità, non potendo trovare applicazione l’esenzione stabilita per le imprese industriali degli enti pubblici, trattandosi di società di natura essenzialmente privata, finalizzate all’erogazione di servizi al pubblico in regime di concorrenza, nelle quali l’amministrazione pubblica esercita il controllo esclusivamente attraverso gli strumenti di diritto privato, restando irrilevante, in mancanza di una disciplina derogatoria rispetto a quella propria dello schema societario, la mera partecipazione – pur maggioritaria, ma non totalitaria – da parte dell’ente pubblico.
È stato in particolare precisato che la forma societaria di diritto privato è per l’ente locale la modalità di gestione degli impianti consentita dalla legge e prescelta dall’ente stesso per la duttilità dello strumento giuridico in cui il perseguimento dell’obiettivo pubblico è caratterizzato dall’accettazione delle regole del diritto privato e che la finalità perseguita dal legislatore nazionale e comunitario nella promozione di strumenti non autoritativi per la gestione dei servizi pubblici locali è specificamente quella di non ledere le dinamiche della concorrenza, assumendo rilevanza determinante, in ordine all’obbligo contributivo, il passaggio del personale addetto alla gestione del servizio dal regime pubblicistico a quello privatistico. (Cass. n. 20818/1 2013, Cass. 27513/2013). Le argomentazioni della odierna ricorrente ripropongono deduzioni già esaminate e disattese dai precedenti giurisprudenziali richiamati ai quali, pertanto, va data continuità.
È invece manifestamente fondato il secondo motivo di ricorso.
Questa Corte in numerose pronunzia ha chiarito che l’art. 78, comma 1, del d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151, prevede, a decorrere dal 1.1.2002, la riduzione degli oneri contributivi quale conseguenza della fiscalizzazione degli importi delle indennità di maternità erogate per eventi successivi al 1 luglio 2001 e per i quali è riconosciuta la tutela previdenziale obbligatoria, senza alcun riferimento all’aumento dell’aliquota contributiva dovuta al Fondo pensioni lavoratori dipendenti di cui all’art. 3, comma 23, della legge 8 agosto 1995, n. 335, con la conseguente applicabilità della riduzione contributiva anche sulle retribuzioni dei lavoratori che siano dipendenti da datori di lavoro privati e che, in forza di pregresse disposizioni legislative, abbiano optato per il mantenimento della posizione assicurativa presso l’INPDAP. (v., tra le altre, Cass. n. 9593/2014, 7834/2014, 18455/2014, 14098/2014 8211/2014).
È stato in particolare precisato che l’art. 78 dl.vo n. 151 del 2001, (in cui è stato trasfuso l’art. 49, commi 1, 4 e 11, legge n. 488/99), introduce la riduzione degli oneri contributivi quale conseguenza (“Conseguentemente”) della prevista messa a carico del bilancio statale (nei limiti indicati) degli importi delle prestazioni relative ai parti, alle adozioni e agli affidamenti intervenuti successivamente al luglio 2001 e per i quali è riconosciuta la tutela previdenziale obbligatoria, senza far quindi alcun riferimento all’aumento dell’aliquota contributiva dovuta al Fondo pensioni lavoratori dipendenti di cui all’art. 3, comma 23, legge n. 335/95.; non può quindi condividersi l’assunto dell’INPS secondo il quale la suddetta disposizione costituirebbe la disciplina di riferimento. Sotto il profilo testuale, inoltre, l’art. 79 divo n. 151/01 stabilisce espressamente che il contributo “in attuazione della riduzione degli oneri di cui all’art. 78” è “dovuto dai datori di lavoro (…) sulle retribuzioni di tutti i lavoratori dipendenti”; l’inequivoca dizione legislativa “tutti i lavoratori dipendenti” impedisce pertanto di accogliere l’opzione ermeneutica secondo cui la riduzione in parola non dovrebbe applicarsi per i lavoratori (dipendenti da datori di lavoro privati) che, per effetto di pregresse disposizioni legislative, abbiano optato per il mantenimento della propria posizione assicurativa presso l’Inpdap”. (Cass. n. 18455/2014).
Da tali conclusioni della giurisprudenza non vi è ora ragione di discostarsi, in quanto le opposte valutazioni sviluppate nel ricorso sono sorrette da argomenti ripetutamente scrutinati da questa Corte nelle molteplici occasioni ricordate e non appaiono comunque talmente evidenti e gravi da esonerare la Corte dal dovere di fedeltà ai propri precedenti, sul quale si fonda per larga parte l’assolvimento della funzione ad essa affidata di assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge.
Consegue il rigetto del primo motivo di ricorso e l’accoglimento del secondo; la sentenza impugnata è cassata in relazione al motivo accolto e rinviata, anche per le spese di legittimità, alla Corte di appello di Genova, in diversa composizione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo motivo e accoglie il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Genova, in diversa composizione.
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