Cassazione toga rossa

Suprema Corte di Cassazione

sezione lavoro

sentenza 13 maggio 2014, n. 10360

Svolgimento del processo

Con sentenza del 14-10-2003 il Giudice del lavoro del Tribunale di Roma rigettava la domanda proposta da P.R. nei confronti del’ENAV s.p.a., diretta ad ottenere il riconoscimento del diritto alle differenze retributive del premio di produttività e produzione – premio sede – per gli anni 1998/1999 ed alle differenze per lavoro straordinario e festivo.
Il P. proponeva appello avverso la detta sentenza, deducendo la errata valutazione ed interpretazione delle norme contrattuali relative alla determinazione del premio sede e la mancata considerazione di voci retributive percepite dal lavoratore, ai fini della determinazione del lavoro festivo e straordinario.
L’ENAV s.p.a. si costituiva e resisteva al gravame.
La Corte d’Appello di Roma, con sentenza depositata il 24-9-2007, rigettava l’appello e compensava le spese.
In sintesi la Corte territoriale interpretava la normativa del ccnl del 16-11-1999 in materia nel senso che la stessa evidenziava “una chiara scelta di determinazione anticipata” che legava l’indennità in oggetto “ad un sistema forfetizzato che prendeva in considerazione il traffico aereo con una valutazione di massima, anticipata, fissata da coefficienti e non assoggettata a verifiche successive non previste”.
La Corte, poi, rilevava l’infondatezza anche delle pretese relative allo straordinario ed al lavoro festivo in quanto il criterio della onnicomprensività della retribuzione in tema di festività infrasettimanali si riferiva al compenso stabilito per il solo fatto della ricorrenza della festività e non riguardava il compenso spettante le ore effettivamente prestate, che andavano invece retribuite secondo la normativa contrattuale collettiva. Peraltro nessuna prova era stata offerta dall’appellante circa la violazione in concreto dell’art. 5 della legge n. 260/49, impositiva della percentuale del 10% quale maggiorazione minima per il calcolo del lavoro straordinario.
Per la cassazione di tale sentenza il P. ha proposto ricorso con due motivi.
L’ENAV s.p.a. ha resistito con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Con il primo motivo, denunciando violazione di legge (artt. 1362 e ss cc), il ricorrente deduce che la Corte territoriale, in ordine all’interpretazione della normativa pattizia relativa al premio di sede, aveva fatto errata applicazione dei criteri di ermeneutica, soffermandosi unicamente sulla definizione del premio di cui al CCNL del 16.11.1999, omettendo di armonizzarne la regolamentazione con le altre disposizioni contrattuali (accordo quadro 11.7.1998; verbale d’intesa 14.5.1999), che rappresentavano l’antefatto logico – giuridico sia della istituzione del premio di sede, che delle sue modalità di calcolo e di pagamento; ove avesse svolto tale indagine, avrebbe invece dovuto riconoscere che gli importi indicati per gli anni 1998 e 1999 assumevano un parametro di riferimento che avrebbe dovuto essere verificato e aggiornato all’esito del consuntivo dei dati riguardanti il volato.
Il motivo si fonda quindi su una pretesa diversa interpretazione delle previsioni del CCNL del 16.11.1999, da attuarsi in relazione ad ulteriori fonti contrattuali pattizie (accordo quadro 11.7.1998; verbale d’intesa 14.5.1999).
Orbene, come è stato precisato dalle Sezioni Unite di questa Corte, “l’art. 369, secondo comma, n. 4 c.p.c., nella parte in cui onera il ricorrente (principale od incidentale), a pena di improcedibilità del ricorso, di depositare i contratti od accordi collettivi di diritto privato sui quali il ricorso si fonda, va interpretato nel senso che, ove il ricorrente impugni, con ricorso immediato per cassazione ai sensi dell’art. 420 bis, secondo comma, c.p.c., la sentenza che abbia deciso in via pregiudiziale una questione concernente l’efficacia, la validità o l’interpretazione delle clausole di un contratto od accordo collettivo nazionale, ovvero denunci, con ricorso ordinario, la violazione o falsa applicazione di norme dei contratti ed accordi collettivi nazionali di lavoro ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. (nel testo sostituito dall’art. 2 del d.lgs. n. 40 del 2006), il deposito suddetto deve avere ad oggetto non solo l’estratto recante le singole disposizioni collettive invocate nel ricorso, ma l’integrale testo del contratto od accordo collettivo di livello nazionale contenente tali disposizioni, rispondendo tale adempimento alla funzione nomofilattica assegnata alla Corte di Cassazione nell’esercizio del sindacato di legittimità sull’interpretazione della contrattazione collettiva di livello nazionale.” (v. Cass. S.U. 23-9-2010 n. 20075, v. anche da ultimo Cass. 15-10-2010 n. 21358).
Peraltro è stato anche precisato che “in tema di giudizio per cassazione, l’onere del ricorrente, di cui all’art. 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., così come modificato dall’art. 7 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, di produrre, a pena di improcedibilità del ricorso, “gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda” è soddisfatto, sulla base del principio di strumentalità delle forme processuali, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo di parte, anche mediante la produzione del fascicolo nel quale essi siano contenuti e, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo d’ufficio, mediante il deposito della richiesta di trasmissione di detto fascicolo presentata alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata e restituita al richiedente munita di visto ai sensi dell’art. 369, terzo comma, cod. proc. civ., ferma, in ogni caso, l’esigenza di specifica indicazione, a pena di inammissibilità ex art. 366, n. 6, cod. proc. civ., degli atti, dei documenti e dei dati necessari al reperimento degli stessi.” (v. Cass. S.U. 3-11-2011 n. 22726).
Orbene nel caso in esame il ricorrente da un lato non ha depositato con il ricorso il testo integrale del ccnl e degli accordi invocati e neppure ha trascritto nell’atto, in violazione del principio di autosufficienza, il testo integrale delle clausole contrattuali richiamate, e dall’altro neppure ha fornito le necessarie specifiche indicazioni per il reperimento all’interno dei fascicoli di parte, ove in essi contenuti, del testo integrale del CCNL e degli altri documenti contrattuali invocati a fondamento dell’interpretazione prospettata.
Per tali ragioni il detto primo motivo non può, quindi, neppure trovare ingresso (ex artt. 369, comma 2, n. 4 e 366, comma 1, n. 6, c.p.c.).
Con il secondo motivo, denunciando violazione dell’art. 5 della legge n. 260/49, il ricorrente deduce che nella retribuzione globale di fatto prevista dalla normativa di riferimento deve ritenersi computabile qualsiasi compenso fisso e continuativo, secondo il concetto della omnicomprensività. Peraltro, aggiunge il ricorrente che la detta norma, diversamente da quanto affermato dalla Corte territoriale, non prevede una maggiorazione del 10 %, ma richiama la maggiorazione prevista dalla contrattazione collettiva.
Il motivo non merita accoglimento, essendosi la sentenza impugnata attenuta al principio ripetutamente affermato da questa Corte, secondo cui “in tema di compenso per le festività infrasettimanali, il criterio di omnicomprensività della retribuzione è stato adottato dall’art. 5 legge n. 260/49, come sostituito dall’art. 1 legge n. 90/54, soltanto per l’ipotesi di non prestazione di lavoro nella ricorrenza della festività (primo comma); diversamente, il compenso dovuto per il caso di lavoro effettivamente prestato nella ricorrenza è stato determinato nella normale retribuzione di fatto giornaliera, comprensiva di ogni elemento accessorio, “con la maggiorazione per il lavoro festivo” (secondo e terzo comma); pertanto il criterio di omnicomprensività non riguarda il compenso spettante per le ore di lavoro effettivamente prestate, il quale, essendo istituto contrattuale rimesso all’autonomia delle parti, va determinato alla stregua della disciplina collettiva, cui perciò occorre far riferimento anche per accertare se determinati emolumenti siano computabili ai fini della maggiorazione per il lavoro festivo (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 9206/2000; 9764/2000; 1896/2001; 9777/2001; 14111/2001; 3168/2002; 2672/2005; 9736/2005; 2245/2006, nonché da ultimo, in termini specifici, Cass. 12-11-2013 n. 26661).
Circa, poi, la affermazione della Corte di merito relativa alla percentuale minima del 10 %, è sufficiente rilevare che la stessa riguarda espressamente il compenso per il lavoro straordinario (che non è oggetto di censura in questa sede) e non il compenso per il lavoro festivo (investito dal secondo motivo di ricorso).
Il ricorso va pertanto respinto e il ricorrente, in ragione della soccombenza, va condannato al pagamento delle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare alla società controricorrente le spese, liquidate in Euro 100,00 per esborsi e Euro 3.000,00 per compensi, oltre accessori di legge.

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