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Suprema Corte di Cassazione

sezione lavoro
sentenza 13 febbraio 2014, n. 3325

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROSELLI Federico – Presidente
Dott. BANDINI Gianfranco – rel. Consigliere
Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere
Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere
Dott. MAISANO Giulio – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 26441/2008 proposto da:
(OMISSIS) S.P.A. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS);
– intimato –
Nonche’ da:
(OMISSIS) C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
contro
(OMISSIS) S.P.A. C.F. (OMISSIS);
– intimata –
avverso la sentenza n. 6860/2007 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 07/11/2007 r.g.n. 8370/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/01/2014 dal Consigliere Dott. GIANFRANCO BANDINI;
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso principale, assorbimento incidentale condizionato.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 2.10-7.11.2007 la Corte d’Appello di Napoli, in riforma della pronuncia di prime cure, dichiaro’ l’inefficacia del termine apposto al contratto intercorso fra la (OMISSIS) spa e (OMISSIS), relativo al periodo dal 2.5 al 30.6.2002 e stipulato per “esigenze tecniche, organizzative e produttive, anche di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un piu’ funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche, ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi nonche’ all’attuazione delle previsioni di cui agli Accordi del 17, 18 e 23 ottobre, 11 dicembre 2001 e 11 gennaio, 13 febbraio e 17 aprile 2002”, e la sussistenza inter partes di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato decorrente dal 2.5.2002, condannando la Societa’ alla riammissione in servizio del lavoratore e al pagamento, a titolo risarcitorio, dell’ammontare delle retribuzioni maturate dal 24.3.2003 alla data della sentenza.
Avverso la suddetta sentenza della Corte territoriale, la (OMISSIS) spa ha proposto ricorso per cassazione fondato su cinque motivi.
L’intimato (OMISSIS) ha resistito con controricorso, proponendo ricorso incidentale condizionato fondato su un motivo.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. I ricorsi vanno riuniti, siccome proposti avverso la medesima sentenza (articolo 335 c.p.c.).
2. La sentenza impugnata, premessa l’applicabilita’ al caso di specie della disciplina dettata dal Decreto Legislativo n. 368 del 2001, ha ritenuto che, in base a detta disciplina, il datore di lavoro e’ tenuto a dimostrare il nesso causale tra la disposta assunzione a termine e le esigenze determinatesi in quel momento e in quell’ufficio dove l’assunto a termine ha prestato la sua attivita’ lavorativa; a giudizio della Corte territoriale tali oneri probatori non erano stati assolti, poiche’ gli accordi richiamati dalla parte datoriale dimostravano soltanto che vi erano determinate esigenze di riposizionamento sul territorio nazionale delle risorse da destinarsi al servizio di recapito, mentre sarebbe stato necessario allegare prima e provare poi come e in che misura dette esigenze erano presenti presso l’ufficio di destinazione e perche’ avevano determinato, con nesso causale, la specifica necessita’ di assumere proprio l’appellato con un contratto di lavoro a termine; onde doveva ritenersi generica e inammissibile la prova testimoniale offerta, in quanto non idonea a dimostrare quel profilo individuale del nesso causale che deve sussistere tra le esigenze indicate nel contratto e la singola assunzione a tempo determinato.
2.1 Tale impostazione e’ stata diffusamente censurata dalla ricorrente principale, sotto plurimi profili, con i primi tre motivi, tra loro connessi e da esaminare congiuntamente.
Con tali motivi viene in particolare dedotta l’idoneita’, al fine di soddisfare le esigenze di specificazione richieste dal Decreto Legislativo n. 368 del 2001, articolo 1, del richiamo per relationem al contenuto scritto di altri documenti preesistenti ed opponibili alle parti; il vizio di motivazione in ordine alla idoneita’ allo scopo suddetto degli accordi sindacali richiamati; l’indebita inversione dell’onere della prova, siccome ritenuto gravante sul datore di lavoro anziche’ sul lavoratore, e, comunque, l’idoneita’ delle prove costituite e costituende offerte da essa ricorrente, anche in considerazione, quanto a queste ultime, della facolta’ del giudice di richiedere chiarimenti e precisazioni e del suo potere dovere di iniziativa probatoria al fine di superare l’incertezza dei fatti costitutivi dei diritti in contestazione; il vizio di motivazione in ordine alla mancata ammissione delle prove orali richieste.
2.2 La questione all’esame e’ gia’ stata affrontata dalla giurisprudenza di questa Corte e risolta con l’affermazione del principio secondo cui l’apposizione di un termine al contratto di lavoro, consentita dal Decreto Legislativo n. 368 del 2001, articolo 1, a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, che devono risultare specificate, a pena di inefficacia, in apposito atto scritto, impone al datore di lavoro l’onere di indicare in modo circostanziato e puntuale, al fine di assicurare la trasparenza e la veridicita’ di tali ragioni, nonche’ l’immodificabilita’ delle stesse nel corso del rapporto, le circostanze che contraddistinguono una particolare attivita’ e che rendono conforme alle esigenze del datore di lavoro, nell’ambito di un determinato contesto aziendale, la prestazione a tempo determinato, si’ da rendere evidente la specifica connessione fra la durata solo temporanea della prestazione e le esigenze produttive ed organizzative che la stessa sia chiamata a realizzare e la utilizzazione del lavoratore assunto esclusivamente nell’ambito della specifica ragione indicata ed in stretto collegamento con la stessa; spetta al giudice di merito accertare, con valutazione che, se correttamente motivata ed esente da vizi giuridici, resta esente dal sindacato di legittimita’, la sussistenza di tali presupposti, valutando ogni elemento, ritualmente acquisito al processo, idoneo a dar riscontro alle ragioni specificatamente indicate con atto scritto ai fini dell’assunzione a termine, ivi compresi gli accordi collettivi intervenuti fra le parti sociali e richiamati nel contratto costitutivo del rapporto (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 2279/2010; 10033/2010; 16303/2010). Ed invero l’esplicitazione delle ragioni dell’apposizione del termine puo’ risultare anche indirettamente dal contratto di lavoro, attraverso il riferimento ad altri testi scritti accessibili dalle parti, in particolare nel caso in cui, data la complessita’ e la articolazione del fatto organizzativo, tecnico o produttivo che e’ alla base della esigenza dell’assunzione a termine, questo risulti analizzato in specifici documenti, specie a contenuto concertativo, richiamati nella causale di assunzione; nel caso in esame il contratto di assunzione, come detto, conteneva l’espresso richiamo agli accordi del 17, 18 e 23 ottobre, 11 dicembre 2001, 11 gennaio, 13 febbraio e 17 aprile 2002″, in base ai quali le parti si erano date atto, fra l’altro, che la Societa’ avrebbe continuato a fare ricorso all’attivazione di contratti a tempo determinato per sostenere il livello del servizio di recapito durante la fase di realizzazione dei processi di mobilita’.
2.3 Per cio’ che riguarda l’incombenza dell’onere probatorio, deve ancora essere richiamata la gia’ ricordata sentenza di questa Corte n. 2279/2010, la quale, sviluppando argomentazioni gia’ adottate in precedenti pronunzie (Cass., nn. 12985/2008; 14011/2004; 7468/2002), ha rilevato che detto onere, contrariamente all’assunto della ricorrente, deve essere posto a carico del datore di lavoro. Con tale pronuncia e’ stato infatti posto in evidenza che – gia’ prima dell’introduzione del comma anteposto al Decreto Legislativo n. 368 del 2001, articolo 1, dalla Legge n. 247 del 2007, articolo 39, per il quale “il contratto di lavoro subordinato e’ stipulato di regola a tempo indeterminato” – il suddetto articolo 1 aveva confermato il principio generale secondo cui il rapporto di lavoro subordinato e’ normalmente a tempo indeterminato, costituendo pur sempre l’apposizione del termine una ipotesi derogatoria; ha rilevato, inoltre, che la tecnica legislativa adottata dal decreto legislativo – secondo la quale l’apposizione del termine “e’ consentita” solo “a fronte” di determinate specifiche ragioni derogatorie – impone di considerare che le ragioni stesse, proprio perche’ adottate in deroga, sono normalmente da provare in giudizio da chi le deduce a sostegno delle proprie difese e che la pertinenza alla posizione del datore di lavoro delle situazioni derogatorie e’ elemento normalmente significativo del conseguente carico probatorio in giudizio; ha, infine, evidenziato che tale risultato ermeneutico e’ imposto dal richiamo della cosiddetta clausola di non regresso contenuta nella direttiva a cui il decreto da attuazione e per il riferimento al contenuto della delega posto alla base del decreto legislativo, che e’ limitato all’attuazione della direttiva, la quale non contiene disposizioni che si attaglino ad una diversa distribuzione dell’onere della prova con riguardo al primo o unico contratto di lavoro a tempo determinato.
2.4 Nel caso che ne occupa la Corte territoriale ha preso espressamente in considerazione il contenuto degli accordi sindacali richiamati, evidenziando, come gia’ ricordato, che dimostravano soltanto che vi erano determinate esigenze di riposizionamento sul territorio nazionale delle risorse da destinarsi al servizio di recapito, ma che cio’ non configurava l’allegazione che tali esigenze avevano determinato, con nesso causale, la specifica necessita’ di assumere con un contratto di lavoro a termine proprio il lavoratore interessato.
Donde la genericita’ ed inammissibilita’ della prova testimoniale offerta, anche con riferimento al capitolo diretto a dimostrare che gli indicati squilibri nella distribuzione del personale e le situazioni di temporanea carenza di organico avevano investito l’unita’ produttiva a cui era stato addetto il lavoratore nel caso all’esame, atteso che, come condivisibilmente e’ stato affermato, la mancanza di “specifici riferimenti sia alla concreta realta’ lavorativa ove il (OMISSIS) e’ stato inserito sia a puntuali circostanze di fatto atte ad evidenziare come e perche’ le procedure di mobilita’ incidessero anche su detta realta’, finisce per richiedere al teste un giudizio soggettivo circa la sussistenza dei presupposti necessari a legittimare l’assunzione a termine”.
Ne’, al riguardo, appare pertinente il richiamo alla facolta’ del giudice di richiedere chiarimenti al teste o di esercitare i propri poteri istruttori officiosi, posto che la prima facolta’ presuppone l’ammissibilita’ dei capitoli di prova cosi’ come formulati ed entrambe restano comunque circoscritte dall’ambito delle allegazioni ritualmente dedotte dalle parti, laddove, come evidenziato dalla Corte territoriale, cio’ che faceva difetto era proprio l’allegazione – quale necessario presupposto della prova – delle specifiche circostanze atte a ricollegare causalmente all’assunzione a termine in parola le esigenze individuate con riferimento al territorio nazionale dagli accordi richiamati.
2.5 La decisione qui impugnata risulta quindi conforme ai principi piu’ volte affermati in materia da questa Corte.
Ed invero e’ stato precisato (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 10033/2010; 11785/2012) che l’apposizione di un termine al contratto di lavoro, consentita dal Decreto Legislativo n. 368 del 2001, articolo 1, a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, che devono risultare specificate, a pena di inefficacia, in apposito atto scritto, impone al datore di lavoro l’onere di indicare in modo circostanziato e puntuale, al fine di assicurare la trasparenza e la veridicita’ di tali ragioni, nonche’ l’immodificabilita’ delle stesse nel corso del rapporto, le circostanze che contraddistinguono una particolare attivita’ e che rendono conforme alle esigenze del datore di lavoro, nell’ambito di un determinato contesto aziendale, la prestazione a tempo determinato, si da rendere evidente la specifica connessione fra la durata solo temporanea della prestazione e le esigenze produttive ed organizzative che la stessa sia chiamata a realizzare e la utilizzazione del lavoratore assunto esclusivamente nell’ambito della specifica ragione indicata ed in stretto collegamento con la stessa.
Tale accertamento, di spettanza del giudice del merito, e’ stato svolto, nei termini sopra descritti, nella sentenza impugnata, che risulta quindi conforme a diritto ed altresi’ congruamente motivata, onde resiste alle censure all’esame.
3. Con il quarto mezzo, denunciando violazione di plurime disposizioni di legge, la ricorrente principale, invocata in particolare l’applicabilita’ alla fattispecie del disposto dell’articolo 1419 c.c., si duole che la Corte territoriale abbia ritenuto la trasformazione del rapporto di lavoro a termine in rapporto a tempo indeterminato. La censura non puo’ esser accolta, avendo questa Corte gia’ avuto modo di rilevare che il Decreto Legislativo n. 368 del 2001, articolo 1, anche anteriormente alla modifica introdotta dalla Legge n. 247 del 2007, articolo 39, ha confermato il principio generale secondo cui il rapporto di lavoro subordinato e’ normalmente a tempo indeterminato, costituendo l’apposizione del termine un’ipotesi derogatoria pur nel sistema, del tutto nuovo, della previsione di una clausola generale legittimante l’apposizione del termine “per ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”, cosicche’, in caso di insussistenza delle ragioni giustificative del termine, e pur in assenza di una norma che sanzioni espressamente la mancanza delle dette ragioni, in base ai principi generali in materia di nullita’ parziale del contratto e di eterointegrazione della disciplina contrattuale, nonche’ alla stregua dell’interpretazione dello stesso articolo 1, citato nel quadro delineato dalla direttiva comunitaria 1999/70/CE (recepita con il richiamato decreto) e nel sistema generale dei profili sanzionatori nel rapporto di lavoro subordinato, tracciato dalle pronunce della Corte Costituzionale n. 210 del 1992 e n. 283 del 2005, all’illegittimita’ del termine e alla nullita’ della clausola di apposizione dello stesso consegue l’invalidita’ parziale relativa alla sola clausola e l’instaurarsi di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato (cfr, ex plurimis, Cass., n. 12985/2008).
4. Con il quinto motivo la ricorrente principale, denunciando violazione di plurime norme di diritto, si duole delle riconosciute conseguenze risarcitorie sotto due distinti profili.
4.1 Sotto un primo profilo, lamenta che la Corte territoriale, in ordine alla messa in mora, l’abbia ricollegata alla notifica del ricorso introduttivo, non essendo dato rinvenire in tale atto alcuna concreta offerta della prestazione lavorativa.
La suddetta doglianza e’ inammissibile, siccome inconferente rispetto alle ragioni del decidere; cio’ in quanto la Corte territoriale ha individuato la data di costituzione in mora in quella di effettuazione del tentativo di conciliazione, risultando dal verbale dell’UPLMO la presenza del lavoratore e del rappresentante della Societa’, cosicche’ doveva ritenersi sicuramente portata a conoscenza della parte datoriale la richiesta presentata allo stesso UPLMO, nella quale, fra l’altro, era stata fatta espressa offerta della “propria prestazione lavorativa”; conseguentemente la ricorrente principale non ha preso in esame, sottoponendole a pertinenti argomentazioni critiche e censurandole per difetto di motivazione ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, le puntuali indicate ragioni di fatto sulle quali la Corte territoriale ha ritenuto l’avvenuta costituzione in mora della Societa’ datrice di lavoro; il che si traduce nel difetto di specificita’ (e quindi nell’inammissibilita’) del profilo di doglianza all’esame. Ulteriore e concorrente ragione di inammissibilita’ della censura e’ costituita dalla consequenziale inconferenza del quesito di diritto ex articolo 366 bis c.p.c., (applicabile ratione temporis al presente giudizio), ove pure viene fatto riferimento alla domanda articolata “in seno al ricorso introduttivo del giudizio”, richiedendo peraltro, su tale comunque errato parametro di riferimento, un giudizio di fatto inammissibile in questa sede di legittimita’.
4.2 Anche l’ulteriore profilo di doglianza, secondo cui la Corte territoriale non aveva accertato se ed in che misura la parte ricorrente avesse svolto ulteriori e successive attivita’ lavorative dopo la scadenza del termine, assumendosi al contempo che l’aliunde perceptum sarebbe solo genericamente deducibile dalla parte datoriale, e’ inammissibile perche’ generico e privo di autosufficienza. La Corte territoriale, evidenziando che la parte datoriale non aveva dedotto o provato alcuna specifica circostanza idonea a consentire una diversa e minore quantificazione del danno, ha fatto applicazione della regola generale di ripartizione degli oneri probatori (articolo 2697 c.c.).
L’apodittica affermazione secondo cui avrebbe dovuto essere “onere di controparte ex articolo 2697 c.c., provare di non aver intrattenuto altri e successivi rapporti di lavoro e/o di non aver percepito ulteriori somme a titolo retributivo”‘, non configura valida censura alla ratio decidendi adottata, difettando il corredo di specifiche argomentazioni giuridiche idonee a contrastare quelle poste dalla Corte territoriale a fondamento del decisum sul punto e mancando quindi nella doglianza il requisito della specificita’ (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 13830/2004; 359/2005; 22499/2006; 15952/2007; 17125/2007).
Al contempo, ignorando del tutto le teste’ ricordate ragioni della decisione impugnata, la ricorrente non specifica come e in quali termini abbia allegato davanti ai Giudici di merito un aliunde perceptum (in relazione al quale e’ pur sempre necessaria una rituale acquisizione della allegazione e della prova, pur non necessariamente proveniente dal datore di lavoro in quanto oggetto di eccezione in senso lato: cfr, Cass., SU, 1099/1998; Cass., nn. 10155/2005; 14131/2006; 17606/2007).
Ulteriore e concorrente ragione di inammissibilita’ del profilo di doglianza all’esame e’ costituita dall’inadeguatezza del quesito di diritto, che sostanzialmente si risolve nella richiesta di riconoscimento della fondatezza della censura, senza contenere la contemplazione della regula iuris applicata nella decisione impugnata e l’indicazione di quella, diversa, che (in tesi) avrebbe dovuto condurre ad altra decisione sul punto (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 7258/2007; 19768/2008).
5. Va considerato, in via di principio, che costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimita’ lo ius superveniens, che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimita’, il cui perimetro e’ limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr, Cass. 8 maggio 2006 n. 10547).
In tale contesto, e’ altresi’ necessario che il motivo di ricorso che investe, anche indirettamente, il tema coinvolto dalla disciplina sopravvenuta, oltre ad essere sussistente, sia altresi’ ammissibile secondo la disciplina sua propria.
Nel caso in esame il motivo che investe il tema al quale e’ riferibile la disciplina di cui alla Legge n. 183 del 2010, articolo 32, commi 5, 6 e 7, e’ il quinto, teste’ esaminato, il quale, come evidenziato, e’ inammissibile in tutti i profili in cui si articola.
Deve quindi convenirsi per l’inapplicabilita’ nel presente giudizio del ricordato ius superveniens.
6. In definitiva il ricorso principale va rigettato, restando quindi assorbito quello incidentale, siccome svolto in forma condizionata. Secondo il criterio della soccombenza, la ricorrente principale va condannata alla rifusione delle spese, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito quello incidentale; condanna la ricorrente principale alla rifusione delle spese, che liquida in euro 3.600,00 (tremilaseicento), di cui euro 3.500,00 (tremilacinquecento) per compenso, oltre accessori come per legge.

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