Suprema Corte di Cassazione
sezione lavoro
sentenza 10 luglio 2013, n. 17128
Svolgimento del processo
1. La Corte d’Appello di Brescia, con la sentenza n. 271 del 2008, accoglieva l’appello proposto dal Comune di Sirmione nei confronti di D.T.F. , avverso la sentenza n. 626/07 del Tribunale di Brescia.
La D.T. aveva proposto ricorso al Tribunale avverso la decisione del Comune di Sirmione, presso il quale operava come assistente bibliotecaria, di trasformare i permessi già concessi per la fruizione delle 150 ore previste per motivi di studio per gli anni accademici 2004/05 e 2005/06, in aspettativa per motivi personali provvedendo al recupero delle somme erogate in merito, mediante trattenute di un quinto delle competenze mensili. Il giudice di primo grado aveva accolto il ricorso condannando il Comune alla restituzione delle somme trattenute con interessi e rivalutazione.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Brescia ricorre la D.T. prospettando un articolato motivo di ricorso.
Resiste con controricorso il Comune di Sirmione.
Motivi della decisione
1. Con l’unico motivo di ricorso è prospettata dalla ricorrente violazione e falsa applicazione degli artt. 3 del dPR n. 395 del 1988 e 15 del CCNL 14 settembre 2000 per il personale del comparto regioni e autonomie locali, in relazione agli artt. 3 e 34 Cost. (art. 360, n. 3, cpc).
2. La D.T. censura la sentenza in quanto nella stessa si afferma che la concessione delle 150 ore di permessi straordinari retribuiti prevista dalle disposizioni normative e pattizie sopra richiamate, debba essere subordinata alla produzione, da parte del lavoratore, oltre al certificato d’iscrizione e degli esami sostenuti, dalla documentazione attestante l’effettiva frequenza ai corsi di studio, ciò anche nel caso in cui non vi sia un obbligo di frequenza.
La ricorrente ricorda che la Corte d’Appello premette come la disciplina del diritto allo studio si articoli su due livelli: il primo consistente nella concessione dei suddetti permessi straordinari retribuiti, il secondo consistente nel favorire la prestazione di servizio del personale cui è stato concesso di usufruire dei ricordati permessi straordinari retribuiti, col diritto di espletare turni di lavoro che agevolino concretamente la frequenza dei corsi e la preparazione degli esami.
Il giudice di secondo grado, afferma, quindi, che il giusto contemperamento degli interessi in gioco realizzato dalla normativa di settore esclude che le ore di permesso retribuito possano non corrispondere ad effettive ore di frequenza scolastica: il diritto del datore di lavoro di esigere la prestazione lavorativa del proprio dipendente trova limite solo nell’altrettanto rilevante esercizio del diritto allo studio e solo quando questo sia effettivo, mentre il tempo occorrente per la preparazione degli esami e di quant’altro connesso con la necessari attività finalizzata al conseguimento di titoli di studio, ma diverso dalla frequenza dei relativi corsi, trova espressa garanzia nel diritto del dipendente ad ottenere turni di lavoro complessivamente più agevoli. Il legislatore ha individuato nella frequenza alle lezioni il momento di insostituibile apprendimento dal quale dipende il maggior arricchimento del bagaglio culturale del dipendente e, prendendo atto che le lezioni si svolgono abitualmente nell’orario di lavoro, in questo modo ha consentito allo studente lavoratore di poter fruire, sia pure in parte, di tale arricchimento.
La ricorrente ritiene che tali affermazioni non possano essere condivise laddove riferite a corsi universitari per i quali non sussiste obbligo di frequenza e dove, quindi, il seguire i corsi non costituisce un momento imprescindibile ai fini dell’apprendimento, che avviene, invece, nella fase dello studio individuale. A sostegno del proprio assunto difensivo richiama l’art. 10 della legge n. 300 del 1970 e la massima della sentenza di questa Corte n. 52 del 1985, secondo la quale: “alla stregua della interpretazione letterale e dell’intenzione del legislatore, come obiettivata nella norma, l’art. 10, comma secondo, legge 20 maggio 1970 n. 300, che prevede il diritto dei lavoratori studenti, compresi quelli universitari, che devono sostenere prove di esami, di fruire di permessi giornalieri retribuiti, deve essere inteso nel senso che quel diritto spetta a tutti i lavoratori che intendono dedicarsi allo studio per conseguire la possibilità di affrontare, senza remore di carattere economico, gli esami, per ottenere titoli riconosciuti dall’ordinamento giuridico statale, senza che la categoria dei soggetti legittimati possa essere limitata ai soli studenti iscritti e frequentanti corsi regolari di studio in scuole statali, pareggiate o comunque abilitate al rilascio di titoli di studio legali, atteso che le correlative indicazioni contenute nel primo comma dello stesso articolo, riguardano la diversa ipotesi del diritto a turni di lavoro che agevolino la frequenza ai corsi e la preparazione agli esami, senza essere obbligati a prestazioni di lavoro straordinario o durante i riposi settimanali”.
Deduce la ricorrente, quindi che in relazione all’art. 3, del dPR n. 395 del 1988 e all’art. 15 del CCNL 14 settembre 2000, non può ritenersi che il legislatore abbia voluto escludere gli studenti universitari non frequentanti, dalla fruizione del diritto ai permessi straordinari retribuiti.
Diversamente, si imporrebbe allo studente lavoratore un obbligo legale non previsto e si darebbe luogo ad una disparità di trattamento tra gli studenti iscritti a corsi con obbligo di frequenza e quelli iscritti a corsi per i quali tale obbligo non sussiste, in violazione dell’art. 3 e dell’art. 34 della Costituzione, senza che, peraltro, il numero delle ore previste potrebbe coprire la durata delle lezioni del corso di laurea.
3. Il motivo di ricorso non è fondato e deve essere rigettato.
4. Come questa Corte ha già avuto modo di affermare (Cass., n. 3871 del 2011, nel prevedere la possibilità di applicare l’istituto in questione anche nel caso di rapporto di lavoro a tempo determinato), la fruizione dei permessi di studio prescinde dalla sussistenza di un tale interesse in capo al datore di lavoro, pubblico o privato, essendo riconducibile a diritti fondamentali della persona, garantiti dalla Costituzione (art. 2 e 34 Cost.) e dalla Convenzione dei diritti dell’uomo (art. 2 Protocollo addizionale CEDU), e tutelati dalla legge in relazione ai diritti dei lavoratori studenti (art. 10 della legge n. 300 del 1970).
L’art. 10 citato stabilisce che “i lavoratori studenti, iscritti e frequentanti corsi regolari di studio in scuole di istruzione primaria, secondaria e di qualificazione professionale, statali, pareggiate o legalmente riconosciute o comunque abilitate al rilascio di titoli di studio legali, hanno diritto a turni di lavoro che agevolino la frequenza ai corsi e la preparazione agli esami e non sono obbligati a prestazioni di lavoro straordinario o durante i riposi settimanali. I lavoratori studenti, compresi quelli universitari, che devono sostenere prove di esame, hanno diritto a fruire di permessi giornalieri retribuiti. Il datore di lavoro potrà richiedere la produzione delle certificazioni necessarie all’esercizio dei diritti di cui al primo e secondo comma”.
Successivamente, con l’art. 3 del dPR n. 395 del 1988, il legislatore ha stabilito che al fine di garantire il diritto allo studio sono concessi permessi straordinari retribuiti, nella misura massima di centocinquanta ore annue individuali.
Tali permessi sono concessi per la frequenza di corsi finalizzati al conseguimento di titoli di studio in corsi universitari, postuniversitari, di scuole di istruzione primaria, secondaria e di qualificazione professionale, statali, pareggiate o legalmente riconosciute, o comunque abilitate al rilascio di titoli di studio legali o attestati professionali riconosciuti dall’ordinamento pubblico.
L’art. 15, comma 2, del CCNL 14 settembre 2000 per il personale non dirigente del comparto regioni ed autonomie locali, stabilisce che i permessi in questione sono concessi per la partecipazione a corsi destinati al conseguimento di titoli di studio universitari, post-universitari, di scuole di istruzione primaria, secondaria e di qualificazione professionale, statali, pareggiate o legalmente riconosciute, o comunque abilitate al rilascio di titoli di studio legali o attestati professionali riconosciuti dall’ordinamento pubblico e per sostenere i relativi esami.
L’esame della disciplina normativa e contrattuale sopra richiamata, dettata con riguardo all’istituto in esame, pone in evidenza la sussistenza di una necessaria correlazione tra i permessi straordinari in questione e la necessità di frequentare un corso di studio, senza che assuma rilievo, invero, il carattere obbligatorio o meno della frequenza, atteso che la finalità, nel contemperamento dei diversi interessi costituzionalmente protetti, è quella di consentire al lavoratore di fruire di una occasione di formazione che ben può essere orientativa e di ausilio allo studio individuale, nel caso in cui la stessa coincida con l’orario di lavoro.
Se, dunque, la previsione di tali permessi rinviene la sua fonte primigenia nei diritti fondamentali della persona, la conformazione dell’istituto ad opera dell’art. 3 del dPR n. 395 del 1988 (art. 15 CCNL 14 settembre 2000, sopra richiamato), ragionevolmente, è avvenuta nel senso di offrire allo studente lavoratore l’opportunità di fruire della formazione erogata in sede universitaria, nelle lezioni tenute per lo svolgimento del corso finalizzato a sostenere l’esame, così da non discriminarlo rispetto agli studenti non lavoratori, ed assicurando in concreto l’esercizio del diritto allo studio in conformità con i principi enunciati dagli artt. 3 e 34 Cost..
La norma in questione, pertanto, si sottrae al sospetto di illegittimità costituzionale.
Quanto affermato, trova conferma in quanto già statuito da questa Corte con i principi, ai quali si intende dare continuità, già enunciati nella sentenza n. 10344 del 2008, con riguardo alla disposizione contrattuale di cui all’art. 15 sopra citato.
Con la sentenza da ultimo richiamata, in applicazione dei criteri di ermeneutica precisati dagli artt. 1362 e 1363 c.c., la norma contrattuale è stata interpretata nel senso che i permessi straordinari retribuiti possono essere concessi soltanto per frequentare i corsi indicati dalla clausola in orari coincidenti con quelli di servizio, non per le necessità connesse all’esigenza di preparazione degli esami, ovvero per altre attività complementari (come, ad esempio, i colloqui con i docenti o il disbrigo di pratiche di segreteria).
Le ragioni che inducono all’enunciato risultato interpretativo sono, in sintesi, le seguenti:
a) la parola “partecipazione” ha un significato letterale equivalente a quello del termine “frequenza”, che viene adoperato poi nel comma 3;
b) il comma 7, richiede, pena la considerazione dell’assenza come ingiustificata, la presentazione, al termine dei corsi, di attestato di partecipazione e degli esami sostenuti, ancorché con esito negativo, mostrando di collegare i permessi ad impegni di studio richiedenti la presenza del dipendente, in orario di servizio, presso la struttura formativa;
c) l’intento degli stipulanti nel senso sopra delineato è confermato dal comma 8, che consente di utilizzare, per sostenere gli esami, il diverso istituto dei permessi per la partecipazione a prove di concorso;
d) decisivo, infine, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1363 c.c., si rileva la lettura del comma 3, nel quale il diritto allo studio è sussidiato non dai permessi, ma dall’obbligo del datore di lavoro di assegnare turni di lavoro tali da agevolare “la frequenza ai corsi” e “la preparazione agli esami”, escludendo altresì, ai fini della stessa agevolazione, l’obbligo del dipendente di eseguire prestazioni di lavoro straordinario, ovvero nei giorni festivi o di riposo settimanale; nel corpo della stessa clausola, quindi, le parti prendono in considerazione la “preparazione agli esami”, ma ai soli fini dell’agevolazione concessa nei limiti precisati, preparazione agli esami cui non si accenna minimamente nella disciplina dedicata ai permessi retribuiti e questo elemento si rivela decisivo per la ricostruzione dell’intento negoziale degli stipulanti.
5. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.
6. Sussistono giusti motivi in ragione del diverso esito del giudizio nei due gradi di merito e della complessità della questione sottoposta all’esame della Corte per compensare tra le parti le spese di giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Compensa tra le parti le spese del presente giudizio.
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