Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 1 marzo 2018, n. 4897. Nelle società a partecipazione pubblica la regola della concorsualità imposta dal legislatore, nazionale o regionale, impedisce la conversione in rapporto a tempo indeterminato del contratto a termine affetto da nullità

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Hanno, pero’, precisato che le norme che incidono sulla validita’ del contratto non sono solo quelle che si riferiscono alla struttura o al contenuto del regolamento negoziale ma anche quelle che “in assoluto, oppure in presenza o in difetto di determinate condizioni oggettive o soggettive, direttamente o indirettamente, vietano la stipulazione stessa del contratto: come e’ il caso dei contratti conclusi in assenza di una particolare autorizzazione al riguardo richiesta dalla legge, o in mancanza dell’iscrizione di uno dei contraenti in albi o registri cui la legge eventualmente condiziona la loro legittimazione a stipulare quel genere di contratto, e simili. Se il legislatore vieta, in determinate circostanze, di stipulare il contratto e, nondimeno, il contratto viene stipulato, e’ la sua stessa esistenza a porsi in contrasto con la norma imperativa; e non par dubbio che ne discenda la nullita’ dell’atto per ragioni – se cosi’ puo’ dirsi – ancor piu’ radicali di quelle dipendenti dalla contrarieta’ a norma imperativa del contenuto dell’atto medesimo.” (Cass. S.U. 19.12.2007 n. 26724).

L’applicazione alla fattispecie del principio di diritto richiamato induce ad escludere che l’omesso esperimento delle procedure concorsuali o selettive possa solo generare responsabilita’ contabile a carico dei dirigenti delle societa’ partecipate, posto che l’individuazione del contraente con modalita’ difformi da quelle prescritte dal legislatore, si risolve nella mancanza in capo a quest’ultimo dei requisiti soggettivi necessari per l’assunzione.

Mutatis mutandis valgono le considerazioni gia’ espresse da questa Corte in merito al rapporto fra procedura concorsuale Decreto Legislativo n. 165 del 2001, ex articolo 35 e contratto di lavoro, in relazione al quale si e’ osservato che “sussiste un inscindibile legame fra la procedura concorsuale ed il rapporto di lavoro con l’amministrazione pubblica, poiche’ la prima costituisce l’atto presupposto del contratto individuale, del quale condiziona la validita’, posto che sia la assenza sia la illegittimita’ delle operazioni concorsuali si risolvono nella violazione della norma inderogabile dettata dal Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 35 attuativo del principio costituzionale affermato dall’articolo 97, comma 4, della Carta fondamentale.” (Cass. n. 13884/2016).

2.4. Va, quindi, esclusa la portata innovativa del Decreto Legislativo n. 175 del 2016, articolo 19, comma 4, che, nel prevedere espressamente la nullita’ dei contratti stipulati in violazione delle procedure di reclutamento, ha solo reso esplicita una conseguenza gia’ desumibile dai principi sopra richiamati in tema di nullita’ virtuali.

In merito e’ utile evidenziare che sugli effetti del mancato rispetto degli obblighi imposti del Decreto Legge n. 112 del 2008, articolo 18 la giurisprudenza di merito aveva espresso orientamenti opposti, sicche’ la nuova normativa assume anche una valenza chiarificatrice della disciplina previgente (sulla possibilita’ che la norma sopravvenuta, seppure non di interpretazione autentica, possa non essere innovativa cfr. in motivazione Cass. S.U. n.18353/2014 e Cass. n. 20327/2016).

2.5. Una volta affermato che per le societa’ a partecipazione pubblica il previo esperimento delle procedure concorsuali e selettive condiziona la validita’ del contratto di lavoro, non puo’ che operare il principio richiamato al punto 2 secondo cui anche per i soggetti esclusi dall’ambito di applicazione del Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 36 la regola della concorsualita’ imposta dal legislatore, nazionale o regionale, impedisce la conversione in rapporto a tempo indeterminato del contratto a termine affetto da nullita’.

Diversamente opinando si finirebbe per eludere il divieto posto dalla norma imperativa che, come gia’ evidenziato, tiene conto della particolare natura delle societa’ partecipate e della necessita’, avvertita dalla Corte Costituzionale, di non limitare l’attuazione dei precetti dettati dall’articolo 97 Cost. ai soli soggetti formalmente pubblici bensi’ di estenderne l’applicazione anche a quelli che, utilizzando risorse pubbliche, agiscono per il perseguimento di interessi di carattere generale.

2.6. Dette conclusioni non contrastano con quanto affermato da Cass. n. 23202/2013 richiamata dal ricorrente, perche’ in quel caso veniva in rilievo un contratto a termine stipulato in epoca antecedente all’entrata in vigore del Decreto Legge n. 112 del 2008 e, quindi, in un contesto normativo che non prevedeva ancora per le societa’ partecipate limiti in tema di reclutamento del personale.

Va, poi, evidenziato che le Sezioni Unite di questa Corte con le sentenze nn. 28330/2011 e 7759/2017, ribadita la inapplicabilita’ del Decreto Legislativo n. 165 del 2001, hanno solo escluso la giurisdizione del giudice amministrativo in relazione alle procedure concorsuali e selettive previste dal Decreto Legge n. 112 del 2008, articolo 18, commi 1 e 2, ma non hanno pronunciato sulle questioni che qui vengono in rilievo.

2.7. Non si ravvisano il denunciato contrasto con la direttiva 1999/70/CE e la eccepita illegittimita’ costituzionale della normativa per violazione dell’articolo 3 Cost..

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha da tempo chiarito che spetta alle autorita’ nazionali adottare misure adeguate per far fronte agli abusi nella reiterazione dei contratti a termine e che queste ultime possono essere anche diverse dalla conversione in rapporto a tempo indeterminato, purche’ rispettino i principi di equivalenza e siano sufficientemente effettive e dissuasive per garantire l’efficacia delle norme adottate in attuazione dell’Accordo quadro recepito dalla direttiva (v. da ult. C. Giust. UE, 12 dicembre 2013, C-50/13, Papalia; Id., 7 settembre 2006, C-53/03, Marrosu e Sardino; Id., 7 settembre 2006, C-180/04, Vassallo; Id., 4 luglio 2006, C-212/04, Adeneler).

A sua volta la Corte Costituzionale, che come si e’ gia’ detto in piu’ pronunce ha evidenziato la assimilabilita’ al lavoro pubblico dei rapporti instaurati con le societa’ partecipate, ha escluso che una difformita’ di trattamento con l’impiego privato, rispetto alla sanzione generale della conversione di cui al Decreto Legislativo n. 368 del 2001, possa dirsi ingiustificata ove vengano in rilievo gli interessi tutelati dall’articolo 97 Cost. ed in particolare le esigenze di imparzialita’ e di efficienza dell’azione amministrativa (Corte Cost. nn. 89/2003), esigenze che ad avviso della stessa Corte stanno alla base della disciplina dettata dal richiamato Decreto Legge n. 112 del 2008, articolo 18 (Corte Cost. n. 68/2011).

3. E’ infondato anche il terzo motivo di ricorso.

La L. n. 183 del 2010, articolo 32 oggi abrogato dal Decreto Legislativo n. 81 del 2015, e’ applicabile “nei casi di conversione del contratto a tempo determinato” e, quindi, non puo’ essere invocato qualora, come nella fattispecie, si discuta di un rapporto affetto da nullita’, non convertibile, che produce unicamente i limitati effetti di cui all’articolo 2126 c.c..

Va detto poi che nei casi in cui si assuma la illegittimita’ di unico contratto a termine intercorso fra le parti, non rilevano i principi affermati dalla Corte di Giustizia con l’ordinanza del 12 dicembre 2013 in causa C- 50/13, perche’ la clausola 5 dell’accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70 CE e’ applicabile nella sola ipotesi di reiterazione abusiva (Corte di Giustizia 23.4.2009 in cause riunite da C-378/07 a C-380/07, punto 90).

Cio’ premesso ritiene il Collegio, in continuita’ con l’orientamento gia’ espresso da questa Corte (cfr. Cass. nn. 4632, 5315, 5319, 5456, 28253 del 2017), che nell’ipotesi di ritenuta illegittimita’ di un unico contratto non possa neppure trovare applicazione il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 5076/2016, perche’ l’agevolazione probatoria e’ stata ritenuta necessaria al solo fine di adeguare la norma interna alla direttiva eurounitaria, nella parte in cui impone l’adozione di misure idonee a sanzionare la illegittima reiterazione del contratto. Invece, ove venga in rilievo un unico rapporto, non vi e’ ragione alcuna che possa portare a disattendere la regola, immanente nel nostro ordinamento e richiamata anche dalle Sezioni Unite, in forza della quale il danno deve essere allegato e provato dal soggetto che assume di averlo subito.

3.1. Sono invece estensibili anche alla fattispecie, pur nella pacifica inapplicabilita’ del Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 36, le considerazioni espresse nella richiamata sentenza n. 5076/2016 quanto alla impossibilita’ di far coincidere il danno con la mancata conversione, posto che il pregiudizio e’ risarcibile solo se ingiusto e tale non puo’ ritenersi la conseguenza che sia prevista da una norma di legge, non sospettabile di illegittimita’ costituzionale o di non conformita’ al diritto dell’Unione.

A detti principi di diritto si e’ correttamente attenuta la Corte territoriale, che nel respingere la domanda risarcitoria, richiamato il principio affermato da Cass. 15714/2014 sulla inapplicabilita’ del sistema indennitario onnicomprensivo previsto dalla L. n. 183 del 2010, ha evidenziato che il danno non puo’ mai essere ritenuto in re ipsa e che nella specie il ricorrente aveva omesso qualsiasi allegazione al riguardo.

4. Il ricorso va, pertanto, rigettato.

La novita’ e la complessita’ delle questioni giuridiche affrontate giustificano l’integrale compensazione delle spese del giudizio di legittimita’.

Deve darsi atto della ricorrenza delle condizioni richieste dal Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimita’.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. articolo 13, comma 1-bis

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