Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 1 marzo 2018, n. 4897. Nelle società a partecipazione pubblica la regola della concorsualità imposta dal legislatore, nazionale o regionale, impedisce la conversione in rapporto a tempo indeterminato del contratto a termine affetto da nullità

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2.1. Va, pero’, detto che il principio affermato dalle richiamate pronunce, in continuita’ con precedenti arresti di questa Corte (Cass. n. 11163/2008; Cass. S.U. n. 4685/2015; Cass. n. 26347/2016), orienta anche ai fini della soluzione del caso che oggi viene in rilievo, perche’ il contratto della cui legittimita’ si discute e’ stato stipulato nella vigenza del Decreto Legge n. 112 del 2008, articolo 18 convertito con modificazioni dalla L. n. 133 del 2008 che, nel testo applicabile ratione temporis risultante dalle modifiche apportate dalla L. n. 102 del 2009 di conversione del Decreto Legge n. 78 del 2009, al comma 1 estende alle societa’ a totale partecipazione pubblica che gestiscono servizi pubblici locali i criteri stabiliti in tema di reclutamento del personale dal Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 35, comma 3, ed al comma 2 prescrive alle “altre societa’ a partecipazione pubblica totale o di controllo” di adottare “con propri provvedimenti criteri e modalita’ per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi, anche di derivazione comunitaria, di trasparenza, pubblicita’ e imparzialita’”. Il comma 2 bis prevede, inoltre, che ” le disposizioni che stabiliscono, a carico delle amministrazioni di cui al Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165, articolo 1, comma 2, e successive modificazioni, divieti o limitazioni alle assunzioni di personale si applicano, in relazione al regime previsto per l’amministrazione controllante, anche alle societa’ a partecipazione pubblica locale totale o di controllo che siano titolari di affidamenti diretti di servizi pubblici locali senza gara, ovvero che svolgano funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale ne’ commerciale, ovvero che svolgono attivita’ nei confronti della pubblica amministrazione a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi della L. 30 dicembre 2004, n. 311, articolo 5, articolo 1.”.

Con la disposizione in commento il legislatore nazionale, pur mantenendo ferma la natura privatistica dei rapporti di lavoro, sottratti alla disciplina dettata dal Decreto Legislativo n. 165 del 2001, ha inteso estendere alle societa’ partecipate i vincoli procedurali imposti alle amministrazioni pubbliche nella fase del reclutamento del personale, perche’ l’erogazione di servizi di interesse generale pone l’esigenza di selezionare secondo criteri di merito e di trasparenza i soggetti chiamati allo svolgimento dei compiti che quell’interesse perseguono (C.d.S. – Sezione Consultiva per gli atti normativi n. 2415/2010).

La norma recepisce i principi affermati dalla Corte Costituzionale gia’ a partire dalla sentenza n. 466/1993, con la quale il Giudice delle leggi ha osservato che il solo mutamento della veste giuridica dell’ente non e’ sufficiente a giustificare la totale eliminazione dei vincoli pubblicistici, ove la privatizzazione non assuma anche “connotati sostanziali, tali da determinare l’uscita delle societa’ derivate dalla sfera della finanza pubblica”.

La giurisprudenza costituzionale distingue, dunque, la privatizzazione sostanziale da quella meramente formale (Corte Cost. nn. 29/2006, 209/2015, 55/2017) e sottolinea che in detta seconda ipotesi viene comunque in rilievo l’articolo 97 Cost., del quale il Decreto Legge n. 112 del 2008 costituisce attuazione, tanto da vincolare il legislatore regionale ex articolo 117 Cost. (Corte Cost. n. 68/2011).

2.2. In tema di societa’ partecipate le Sezioni Unite di questa Corte, chiamate a pronunciare sul riparto di giurisdizione fra giudice ordinario, contabile ed amministrativo, hanno in estrema sintesi evidenziato che la partecipazione pubblica non muta la natura di soggetto privato della societa’ la quale, quindi, resta assoggettata al regime giuridico proprio dello strumento privatistico adoperato, salve specifiche disposizioni di segno contrario o ragioni ostative di sistema che portino ad attribuire rilievo alla natura pubblica del capitale impiegato e del soggetto che possiede le azioni della persona giuridica (cfr. fra le piu’ recenti Cass. S.U. n. 24591/2016 e con riferimento ai rapporti di lavoro Cass. S.U. n. 7759/2017).

Detta ricostruzione sistematica e’ stata fatta recentemente propria dal legislatore che al Decreto Legislativo n. 165 del 2016, articolo 1, comma 3, (Testo Unico delle societa’ a partecipazione pubblica) ha previsto che “Per tutto quanto non derogato dalle disposizioni del presente decreto, si applicano alle societa’ a partecipazione pubblica le norme sulle societa’ contenute nel codice civile e le norme generali di diritto privato.”.

Quanto ai rapporti di lavoro l’articolo 19 richiama al comma 1 “le disposizioni del capo 1, titolo 2, del libro 5 del codice civile, delle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, ivi incluse quelle in materia di ammortizzatori sociali, secondo quanto previsto dalla normativa vigente, e dai contratti collettivi” facendo, pero’, salve le diverse disposizioni speciali dettate dallo stesso decreto che, per quel che qui rileva, all’articolo 19, comma 2 impone alle societa’ a controllo pubblico di stabilire “criteri e modalita’ per il reclutamento del personale nel rispetto dei principi, anche di derivazione europea, di trasparenza, pubblicita’ e imparzialita’ e dei principi di cui al Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165, articolo 35, comma 3.” ed al comma 4 prevede espressamente la nullita’ dei contratti di lavoro stipulati in difetto dei provvedimenti e delle procedure di cui al comma 2.

Il legislatore del Testo Unico, quindi, pur ribadendo la non assimilabilita’ delle societa’ partecipate agli enti pubblici e l’inapplicabilita’ ai rapporti di lavoro dalle stesse instaurati delle disposizioni dettate dal Decreto Legislativo n. 165 del 2001, ha previsto significative deroghe alla disciplina generale, che trovano la loro giustificazione nella natura del socio unico o maggioritario e negli interessi collettivi da quest’ultimo curati, sia pure attraverso il ricorso allo strumento societario.

2.3. Si e’ dato conto dei principi affermati dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimita’ nonche’ dell’evoluzione del quadro normativo perche’ da entrambi non si puo’ prescindere nel pronunciare sulle conseguenze che derivano dalla violazione del Decreto Legge n. 112 del 2008, articolo 18 e sui riflessi della normativa speciale rispetto a quella generale dettata in tema di contratti di lavoro flessibile.

Quanto al primo aspetto, premesso che non puo’ dubitarsi del carattere imperativo della disposizione in commento, ritiene il Collegio che l’omesso esperimento delle procedure concorsuali previste dal comma 1 e di quelle selettive richiamate nel comma 2 determini la nullita’ del contratto ai sensi dell’articolo 1418 c.c., comma 1, perche’ la violazione attiene al momento genetico della fattispecie negoziale e, quindi, la stessa non puo’ essere solo fonte di responsabilita’ a carico del contraente inadempiente.

Le Sezioni Unite di questa Corte, nel delimitare l’ambito delle cosiddette nullita’ virtuali, hanno osservato che in linea generale occorre tener conto della “tradizionale distinzione tra norme di comportamento dei contraenti e norme di validita’ del contratto: la violazione delle prime, tanto nella fase prenegoziale quanto in quella attuativa del rapporto, ove non sia altrimenti stabilito dalla legge, genera responsabilita’…. ma non incide sulla genesi dell’atto negoziale, quanto meno nel senso che non e’ idonea a provocarne la nullita’.”.

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