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Suprema Corte di Cassazione 

sezione IV

sentenza n. 7433 del 14 febbraio 2013

 

Ritenuto in fatto

Il Giudice dl Pace di Roma, con sentenza in data 27 settembre 2011, condannava M. F. alla pena di euro 600,00 di multa, concesse le attenuanti generiche, quale responsabile del delitto di cui all’art. 590 cod. pen. per aver cagionato, per colpa generica, in qualità di legale rappresentante della s.r.l. “S. C.“, appaltatrice del servizio dl manutenzione e di sorveglianza, per conto del committente Comune di Roma, del lotto stradale comprendente via Aurora, lesioni personali (consistenti in una ferita lacero – contusa al cuoio capelluto, giudicata guaribile in giorni dieci) a Z. O. che in Roma, il 23 dicembre 2005, era rovinato a terra, inciampando in un moncherino di palo, presente sul marciapiede, di cm. 20 di altezza, non preventivamente asportato né adeguatamente segnalato.

IlI Giudice di pace, una volta ricostruita la dinamica del sinistro in conformità a quanto riportato nel capo di imputazione,ha ritenuto l’imputato responsabile dell’evento lesivo occorso alla persona offesa per avere il M. F. omesso, rivestendo la riferita posizione di garanzia, la sorveglianza ed il controllo sulla via Aurora e sui relativi marciapiedi trattandosi di strada ricompresa nel lotto oggetto del contratto d’appalto concluso con il Comune di Roma, non rilevando in contrario il fatto che sulla società appaltatrice dallo stesso rappresentata, non gravasse il compito specifico di rimuovere eventuali residuati della segnaletica stradale, pericolosi per l’incolumità degli utenti.
Ricorre per cassazione l’imputato, per tramite del difensore, articolando due motivi, così sintetizzati.
Con il primo motivo, lamenta il vizio dl contraddittorietà e di manifesta illogicità della motivazione, in punto alla ricostruzione della dinamica dell’incidente, per avere il Giudice di prime cure omesso di spiegare come la persona offesa, pur inciampando nel moncherino di palo posto sul ciglio del marciapiede, potesse aver lasciato le tracce ematiche (riscontrate nell’immediatezza) solo sul muro del fabbricato antistante e sul ciglio del marciapiedi a ridosso dello stesso, ad oltre due metri di distanza dal luogo del preteso sinistro.
Con la seconda censura, si duole il ricorrente della violazione degli artt. 43 e 590 cod. pen. Il Giudice di pace avrebbe errato nel ritenere l’imputato responsabile, a titolo di colpa, per inosservanza degli obblighi assunti con il contratto di appalto stipulato con il Comune di Roma, dalla società da lui rappresentata, non essendo egli tenuto, a termini del contratto stesso, alla rimozione delle strutture residue di insegne pubblicitarie o della segnaletica stradale verticale né a provvedere alla segnalazione delle insidie esistenti sulle strade ricomprese nel lotto de quo.
Conclude per l’annullamento della impugnata sentenza.
Il ricorso è infondato e deve quindi esser respinto con il conseguente onere del pagamento delle spese processuali a carico del ricorrente, ex art. 616 cod. proc. pen. Il primo motivo è inammissibile. Il ricorrente, attraverso la deduzione di vizi riferiti all’apparato motivazionale della sentenza (invero insussistenti) in punto alla ricostruzione della dinamica dell’incidente intende in realtà indurre questa Corte ad una non consentita “rivisitazione“ dell’apprezzamento delle risultanze fattuali, come emerse dall’istruttoria e come valutate dal Giudice dl pace (di tanto esclusivamente investito) che ha dato del proprio convincimento, esaustiva ed appropriata dimostrazione. In riferimento allo specifico tema, il Giudice di prime cure, in conformità alle dichiarazioni testimoniali rese dalla persona offesa, alle deposizioni degli altri testi escussi nonché alle risultanze del referto del proto soccorso ed alla documentazione fotografica, ha infatti ritenuto sufficientemente provato che lo Z. O. ebbe a procurarsi le lesioni de quibus, inciampando nel “moncherino di palo di cui all’imputazione“ che fuoriusciva per circa 20 cm. dal ciglio del marciapiedi di via Aurora, privo di protezioni o di qualsivoglia segnalazione di pericolo.
Quanto alla seconda censura dedotta, osserva il Collegio che il Giudice di prime cure ha correttamente applicato la disciplina normativa in materia di responsabilità colposa nei reati omissivi d’evento, esplicitando il raggiunto convincimento con argomentazioni scevre dai lamentati vizi di legittimità.
Sull’imputato, in veste di legale rappresentante della ditta S. C. s.r.l. quale società appaltatrice contrattualmente obbligatasi, nei confronti dell’appaltante Comune di Roma, alla manutenzione oltrechè alla sorveglianza del lotto stradale comprendente via Aurora (laddove esisteva, sul marciapiedi, l’insidia non segnalata) “mediante una squadra con orario 0 – 24” pacificamente gravava una ben precisa posizione di garanzia a tutela dell’incolumità degli utenti. Il mancato adempimento a detti compiti di sorveglianza e di controllo della strada e dei marciapiedi, teatro dell’incidente occorso allo Z. O. (a prescindere dal fatto che alla stessa ditta non incombesse anche l’obbligo di rimuovere la segnaletica stradale od i sostegni delle insegne pubblicitarie ovvero i residui moncherini dei medesimi, fonti di eventuale pericolo per i passanti) era risultato peraltro comprovato dal “rapporti relativi al periodo compreso tra il 13 dicembre ed il 28 dicembre 2005, attestanti l’effettuazione dei controlli previsti dal capitolato d’appalto manutenzione lotto B), depositati dalla difesa “nei quali non figurava menzionata l’insidia di cui trattasi. Ciò vale quindi ad integrare un’omissione genericamente colposa, causa dell’evento lesivo, ex art. 40 cpv. cod. pen., cosiccome contestata all’imputato, da ritenersi eventualmente conclusa, in uno con altre analoghe omissioni – ad altri soggetti in ipotesi ascrivibili – per la mancata manutenzione dei marciapiedi o per la mancata rimozione del moncherino di palo. Pacifico infine (come peraltro opportunamente evidenziato dalla sentenza impugnata) è il fatto che, applicato alla fattispecie il giudizio c.d. fattuale, l’evento non si sarebbe verificato ove non fosse stata omessa la condotta attiva cui l’imputato era obbligato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, lì 15 giugno 2012.

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