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Suprema Corte di Cassazione

sezione IV

sentenza n. 38643  del 19 settembre 2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 26 aprile 2012 la Corte d’Appello di Milano confermava la sentenza resa dal Tribunale di Milano in data 8 luglio 2010 appellata da B.O., B.T. e D.E. Questi erano stati tratti a giudizio e condannati alla pena di giustizia per rispondere del reato di cui agli artt. 113, 40 cpv e 589 co. 1 e 2 c.p. per aver cagionato, nelle rispettive qualità, la morte di V.H. in cooperazione tra loro, per negligenza, imprudenza ed imperizia, nonché per violazione delle norme in materia degli infortuni sul lavoro come di seguito specificato:
B.O. quale legale rappresentante della Fonderia R.B. S.r.l. sita in Milano, via (omissis) e datore di lavoro; B.T., in qualità di socio della predetta società con funzioni di responsabile del Servizio Prevenzione; D.E. quale Presidente della M. società cooperativa a responsabilità limitata e responsabile addetto alla movimentazione dei materiali di facchinaggio.

In particolare al B. ed al B. per non aver verificato l’idoneità tecnico-professionale del lavoratore in relazione ai lavori da svolgere e per aver consentito o comunque non impedito che il V. utilizzasse la molatrice in assenza di adeguato dispositivi di protezione e di sicurezza nonché per non aver adeguatamente valutato ed eliminato i rischi concreti che la molatrice presentava ed in violazione delle seguenti norme:
art. 86 d.P.R. n. 547/1955 in quanto non presenti sulla molatrice cartelli che ne individuassero i limiti di utilizzo quali ad esempio il diametro massimo della mola da montare in relazione al numero di giri massimo;
art. 89 comma 1 e 2 del d.P.R. n. 547/1955 in quanto la cuffia di protezione non presentava caratteristiche tali da resistere alla proiezione di pezzi derivanti dalla rottura della mola ed inoltre non risultava conformata in modo tale da circondare la massima parte periferica della mola stessa:
art. 91 d.P.R. n. 547/1955 in quanto la molatrice non risultava dotata di poggia pezzi;
art. 35 comma 1 D.lvo n. 626/1994 in quanto la molatrice non risultava idonea ai fini della sicurezza, poichè la mola veniva utilizzata a velocità superiori rispetto alle condizioni stabilite dal costruttore;
inoltre in violazione delle seguenti inadempienze organizzative:
art. 7 commi 1, 2 e 3 D.lvo n. 626/1994 per non aver documentato di aver fornito informazioni circa i rischi specifici esistenti nella propria impresa alla cooperativa M.; per non aver adempiuto agli obblighi di coordinamento delle misure di sicurezza previste nei contratti di appalto, per non aver promosso gli obblighi di coordinamento circa le misure di sicurezza di cui al comma 2;
art. 4 comma 5 lett. d) ed e) D.lvo n. 626/1994 per non aver fornito al V. informazioni specifiche circa il lavoro da svolgere e per aver affidato compiti non previsti dal contratto di appalto non valutando le capacità del lavoratore;
art. 37 del D.lvo n. 626 del 1994 per non aver documentato di aver fornito al V. una informazione specifica sui rischi connessi all’utilizzo della molatrice;
art. 38 del D.lvo n. 626 del 1994 per non aver documentato di aver fornito al V. una formazione specifica sui rischi connessi all’utilizzo della molatrice.
A D.E. avendo agito in violazione delle norme in materia di igiene e sicurezza sul lavoro, in particolare:
art. 7 comma 2 del D.lvo n. 626 del 1994 per non aver adempiuto agli obblighi di coordinamento delle misure di sicurezza con il datore di lavoro della Fonderia B.;
art. 4 comma 5 lett. d) del D.lvo n. 626 del 1994 per non aver fornito al V. informative specifiche circa il lavoro da svolgere;
ed in conseguenza di ciò il V. il giorno 13 settembre 2005, mentre era intento a svolgere lavori di molatura ma materiali attraverso una molatrice veniva investito dai frammenti della mola esplosa durante le operazioni di sbavatura dei pezzi metallici, riportando lesioni personali dalle quali derivava la morte.
2. Avverso tale decisione hanno proposto ricorso a mezzo del proprio difensore:
2.1 D.E. deducendo la violazione dell’art. 606 1 comma lett. b), c) ed e), la violazione del criteri di valutazione della prova, la contraddittorietà e mancanza dl motivazione; l’erronea applicazione della legge penale e la mancanza di motivazione in relazione agli artt. 40 e 589 c.p.;
2.2 O.B. e T.B. con ricorso congiunto deducendo la violazione dell’art. 606, 1 comma lett. e) c.p.p. in relazione agli artt. 125, 192,546 e 530 c.p.p.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Così sono ricostruiti i fatti nella gravata sentenza: nel primo pomeriggio del 13 settembre 2005 presso la Fonderia R.B. S.r.l. sita in Milano alla via (omissis), V.H., mentre lavorava alla macchina molatrice, veniva investito da frammenti di mola esplosa durante le operazioni di sbavatura dei pezzi metallici. Gli UPG della ASL subito intervenuti trovavano il corpo ancora in prossimità del macchinario; vani erano i tentativi di rianimazione e l’infortunato decedeva per le gravissime lesioni riportate.

Il macchinario veniva sequestrato; successivamente esperiti gli accertamenti ed i rilievi, veniva restituito a sua richiesta all’imputato O.B.; la società dopo l’infortunio cessava l’attività, dismettendo i locali ed i mezzi di produzione tra cui la molatrice. Il V. era socio lavora della M. società cooperativa r.l. che avrebbe dovuto fornire alla Fonderia B., come da contratto, manodopera per la sola movimentazione di materiali, vale a dire facchinaggio, la raccolta degli scarti e le pulizie del magazzino e del cortile.
I giudici di merito sono rispettivamente pervenuti alla pronuncia di condanna (ed alla sua conferma) evidenziando in particolare due profili di colpa a carico degli imputati:
l’aver utilizzato una macchina obsoleta, modificata ed insicura e l’aver adibito alla macchina stessa un lavoratore, il V., privo di qualifica e non adeguatamente formato ed informato sui rischi dl utilizzo ella molatrice e per compiti non previsti dal contratto di appalto.
La gravata sentenza resiste alle censure avanzate dai ricorrenti.
Quanto al ricorso del D. osserva la Corte: con il primo motivo il ricorrente sostiene che la motivazione dei giudici di appello in ordine alle intervenute manomissioni della molatrice sarebbero smentite dalle emergenze dibattimentali che contraddirebbero gli assunti della Corte territoriale in merito al taglio della cuffia della molatrice ed alle dimensioni della mola.
Anche a voler prescindere dalla circostanza che tale aspetto per quanto sopra evidenziato attiene solo ad uno dei profili di colpa accertati dai giudici di merito, va premesso che, il sindacato dei giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve mirare a verificare che la relativa motivazione sia: a) “effettiva”, ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non “manifestamente illogica”, ovvero sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; c) non internamente “contraddittoria”, ovvero esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non logicamente “incompatibile” con altri atti del processo, dotati di una autonoma forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità cosi da vanificare o radicalmente inficiare sotto il profilo logico la motivazione.

Nella specie la motivazione della Corte territoriale appare rispondente ai suddetti requisiti, essendo stati precisati i dovuti riscontri istruttori degli assunti (desumibili dalle dichiarazioni testimoniali e degli stessi imputati e dagli esiti della disposta consulenza tecnica), restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (cfr. Sez. U, Sentenza n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794.
Quanto al secondo motivo dl gravame con cui viene dedotta l’assenza di reali argomentazioni poste a fondamento del nesso causale, va in primo luogo osservato che – come da costante giurisprudenza di questa Corte (cfr. ex plurimis, Sez. 3, Sentenza n. 13926 del 01/12/2011, Valerio, Rv. 252615), le sentenze di primo e di secondo grado si saldano tra loro e formano un unico complesso motivazionale, qualora – come avvenuto nel caso di specie – i giudici di appello abbiano esaminato le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed al fondamentali passaggi logico-giuridici della decisione e, a maggior ragione, quando i motivi di gravame non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione impugnata. Nella specie quanto al nesso di causalità il Tribunale ha evidenziato, con argomentazioni congrue, appropriate e coerenti con le risultanze emerse dall’istruttoria, che le manomissioni riscontrate nella mola e l’adibizione del V. a compiti estranei a quelli previsti dall’appalto di manodopera, integravano incontestabili antecedenti causali dell’evento che non si sarebbe verificato in presenza dell’adozione della condotta richiesta.

Quanto al ricorso proposto congiuntamente dagli altri imputati, vanno in primo luogo ribadite con riferimento al primo motivo le considerazioni appena formulate con riferimento al nesso causale.

A cui può aggiungersi, con riferimento alla specifica doglianza, secondo cui sarebbe impossibile valutare la sussistenza o meno del nesso causale non essendo stato possibile stabilire con esattezza la causa dello “scoppio” della molatrice, che sul punto correttamente entrambe le sentenze di merito hanno sottolineato come, indipendentemente dalle cause dello scoppio, le violazioni riscontrate avevano comunque avuto carattere determinante nella causazione dell’evento e come ciò che rilevi, considerato che l’esplosione della mola è un rischio residuale connaturato al macchinario, piuttosto che le cause dello scoppio testo, le condotte per lo più omissive che, non consentendo di fronteggiare le conseguenze della verificata esplosione, hanno concorso a determinare l’evento letale.
Deducono inoltre i ricorrenti la mancata valutazione soggettiva delle due diverse posizioni del B. e del B.
Va premesso a riguardo- come condivisibilmente già ritenuto da questa Corte-,che se più sono i titolari della posizione di garanzia ovvero dell’obbligo di impedire l’evento, ciascuno è per intero destinatario dell’obbligo di tutela impostogli dalla legge (Cass. sez. 4, 19.5.2004 n. 46515 riv. 230398) fin quando si esaurisce il rapporto che ha legittimato la costituzione della suddetta posizione di garanzia, per cui l’omessa applicazione di una cautela antinfortunistica è addebitabile ad ognuno dei titolari di tale posizione. Ciò posto, il B. per la qualità rivestita, appare sicuramente titolare di una posizione di garanzia che, come è noto, compete al datore di lavoro in quanto ex lege onerato dell’obbligo di prevenire la verificazione di eventi dannosi connessi all’espletamento dell’attività lavorativa. Compete al datore di lavoro in particolare l’istruzione dei lavoratori sui rischi di determinati lavori con la conseguente necessità di adottare le dovute misure di sicurezza e, soprattutto, Il controllo continuo, pressante, per imporre che l lavoratori rispettino quelle norme, si adeguino alle misure in esse previste e sfuggano alla superficiale tentazione dl trascurarle. Quanto al B., lo stesso pacificamente rivestiva il ruolo di RSPP. Come precisato da questa Corte, il RSPP, può essere ritenuto (cor)responsabile del verificarsi di un infortunio, ogni qualvolta questo sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l’obbligo di conoscere e segnalare, dovendosi presumere che alla segnalazione avrebbe fatto seguito l’adozione, da parte del datore di lavoro, delle necessarie iniziative idonee a neutralizzare detta situazione (v. in tal senso Sez. 4, 21 dicembre 2010, Di Mascio, rv. 249626,ed i riferimenti in essa contenuti). Il RSPP, quindi, è chiamato a rispondere qualora, agendo con imperizia, negligenza, imprudenza o inosservanza di leggi e discipline, abbia dato un suggerimento sbagliato o abbia trascurato di segnalare una situazione dl rischio, inducendo, così, il datore di lavoro ad omettere l’adozione di una doverosa misura prevenzionale, risponderà insieme a questi dell’evento dannoso derivatone, essendo a lui ascrivibile un titolo di colpa professionale che può assumere anche un carattere addirittura esclusivo (Sezione 4, 15 luglio 2010, Scagliarini). Ciò perché, in tale evenienza, l’omissione colposa al potere-dovere di segnalazione in capo al RSPP, impedendo l’attivazione da parte dei soggetti muniti delle necessarie possibilità di intervento, finirebbe con il costituire (con)causa dell’evento dannoso verificatosi in ragione della mancata rimozione della condizione di rischio:
con la conseguenza, quindi, che, qualora il RSPP, agendo con imperizia, negligenza, imprudenza o inosservanza di leggi e discipline, abbia dato un suggerimento sbagliato o abbia trascurato di segnalare una situazione di rischio, inducendo, cosi, il datore di lavoro ad omettere l’adozione di una doverosa misura prevenzionale, ben può e deve essere chiamato a rispondere insieme a questi in virtù del combinato disposto dell’art. 113 c.p., e art. 41 c.p., comma 1 dell’evento dannoso derivatone.
Senza contare poi che nel caso di specie è emerso, quanto all’organizzazione del lavoro, che era il B. ad essere sempre presente in azienda, ad assegnare i compiti ed a destinare il personale alle macchine, ad avere infine contatti con la Cooperativa M. per il personale necessario, così assumendo anche la figura di dirigente o preposto.

La decisione impugnata è, pertanto, in linea con i principi sopra indicati, avendo la Corte di merito apprezzato che l’incidente si verificò per evidenti carenze della macchina molatrice, il cui rischio non era stato idoneamente posto in luce dal B..
4. I ricorsi vanno pertanto rigettati; ne consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso nella camera dl consiglio del 5 marzo 2013

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