Suprema Corte di Cassazione
sezione IV
sentenza n. 28189 del 27 giugno 2013
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 30 settembre 2010 il Tribunale di Rossano assolveva G. L. dal delitto di omicidio colposo in danno di G. B. perché il fatto non costituisce reato.
Al G. L. era stato contestato il reato di cui all’articolo 589 c.p., perché,per colpa generica e specifica e, in particolare, in violazione degli articoli 141 co.3 e 8, nonché 191 commi 3 e 4 del Codice della Strada, in data 20 marzo 2009, in Rossano, alla guida di un furgone Fiat, tenendo una condotta di guida non adeguata alle condizioni di tempo e di luogo, giacchè viaggiava su di un tratto di strada posto in pieno centro urbano, caratterizzato da una serie di attraversamenti pedonali, con fondo bagnato per la pioggia battente, non avvedendosi della presenza sulla sede viaria dell’anziana G. B., ben visibile ed avvistabile, trattandosi di tratto di strada regolarmente illuminata, investiva il suddetto pedone che cadeva al suolo e, a causa del violento impatto, decedeva a seguito di emorragia cerebrale in politraumatizzata.
Avverso la sentenza di assoluzione emessa nel giudizio di primo grado, ha proposto appello il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Rossano.
La Corte di Appello di Catanzaro in data 3.12.2012, con la sentenza oggetto del presente ricorso, in riforma della sentenza emessa nel giudizio di primo grado, dichiarava l’imputato colpevole del reato a lui ascritto e, concesse le attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante, lo condannava alla pena di anni uno di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali del doppio grado, con la sospensione condizionale della pena; disponeva altresì la sanzione amministrativa della sospensione della patente di guida per la durata di mesi quattro.
Avverso la predetta sentenza G. L. personalmente proponeva ricorso per Cassazione chiedendone l’annullamento e la censurava per i seguenti motivi:
1} Violazione dell’art. 606 lettere b), c) ed e) in relazione al contestato delitto di omicidio colposo. Secondo la difesa il giudice di appello non avrebbe operato la verifica di corrispondenza tra il materiale probatorio esistente e il contenuto della pronuncia, ritenendo pienamente conforme alla realtà oggettiva quanto affermato dal pubblico ministero ne1l’appello. In particolare non ci sarebbero state prove che la velocità di guida tenuta dal G. L. non fosse stata adeguata alle condizioni di tempo e di luogo, in particolare che egli avesse proceduto a velocità sostenuta o comunque superiore ai limiti consentiti. La difesa sul punto evidenziava quanto affermato dal giudice di primo grado che aveva dato atto che il primo consulente del pubblico ministero V. aveva posto i limiti di velocità sul luogo in 50 chilometri orari, mentre l’altro consulente, il geometra M., aveva posto il limite di velocità in quel tratto di strada in 40 chilometri orari, peraltro “indicando una segnaletica verticale invero non rilevata dalla polizia municipale che interveniva dopo il sinistro e non si sa se pertanto se apposta prima o dopo il fatto”. Inoltre, secondo la difesa, i giudici di appello avrebbero recepito, senza alcuna verifica, quanto affermato dal pubblico ministero in sede di appello a proposito del sistema di illuminazione pubblica nel tratto stradale in cui è avvenuto l’incidente, avendo gli stessi ritenuto che il consulente M. aveva verificato “che il tratto di strada sul quale e accaduto il sinistro è dotato di un sistema di illuminazione pubblica regolata da interruttore crepuscolare, ovvero con sensore che aziona l’impianto a seconda della quantità di luce”. Tale circostanza invece, secondo il ricorrente, era stata ritenuta erronea dal primo giudice proprio sulla base della produzione documentale della difesa. A proposito infine del comportamento tenuto dal pedone, osservava la difesa che lo stesso non era stato conforme alle prescrizioni di cui all’art. 190, commi 2, 3 e 4 del Codice della Strada. Il consulente del pubblico ministero M. avrebbe infatti calcolato imi maniera illogica e apodittica in 5 secondi la velocità media di attraversamento della strada da parte della vittima, considerando una velocità media di metri 1,5 al secondo. Peraltro secondo la difesa tale calcolo sarebbe stato effettuato senza che si conoscesse il punto di impatto, né il punto di inizio dell’attraversamento pedonale (non sulle strisce pedonali), né si era tenuto conto delle condizioni di tempo e di luogo che inducevano a ritenere, con alta probabilità, che la vittima, per il tempo piovoso, di sera, con illuminazione non adeguata al luogo, abbia improvvisamente e repentinamente attraversato la strada senza badare al traffico, ponendosi imprudentemente nella traiettoria del veicolo condotto dal G. L., il quale sarebbe stato costretto ad una improvvisa e non più idonea manovra di emergenza.
2) Violazione dell’articolo 442 c.p.p. con riferimento alla condanna inflitta. Osservava sul punto la difesa del ricorrente che, nonostante si fosse proceduto con. il rito abbreviato, la Corte territoriale, che aveva emesso sentenza di condanna a seguito di impugnazione del pubblico ministero, non aveva applicato la diminuente per la scelta del rito e pertanto non aveva ridotto di un terzo la pena inflitta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso non è fondato.
Si osserva infatti (cfr. Cass., Sez. 4, Sent. n. 4842 del 2.12.2003, Rv. 229369) che, nel momento del controllo della motivazione, la Corte di Cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei i fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento; ciò in quanto l’art. 606, comma 1, lett. e) c.p.p. non consente a questa Corte una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, perché e estraneo al giudizio di legittimità il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali.
Tanto premesso la motivazione della sentenza impugnata appare logica e congrua e supera quindi il vaglio di questa Corte nei limiti sopra indicati. I giudici della Corte di appello di Catanzaro hanno infatti chiaramente evidenziato gli elementi da cui hanno dedotto la sussistenza della responsabilità del G. L. in ordine al reato ascrittogli.
In particolare hanno evidenziato le ragioni per cui dovevano ritenersi condivisibili le considerazioni svolte dal secondo consulente nominato dal pubblico ministero, M.
Sulla base delle considerazioni dello stesso, delle dichiarazioni dell’imputato, dei rilievi eseguiti dalla polizia municipale e delle osservazioni del medico legale dott. C. hanno ricostruito con motivazione logica e congrua la dinamica del sinistro, in maniera diversa rispetto alla sentenza di primo grado.
In particolare i giudici di appello hanno ritenuto che il pedone G. B. aveva attraversato la strada da sinistra verso destra (secondo la direzione di marcia del veicolo) e l’urto si era verificato tra il fianco destro della vittima e la parte anteriore destra del veicolo, ossia quando il pedone aveva quasi terminato l’attraversamento.
Sulla base dei calcoli effettuati dal consulente M., i giudici della Corte territoriale hanno ritenuto che l’imputato aveva avuto ben cinque secondi per rendersi conto della presenza del pedone e che comunque lo stesso imputato in sede di interrogatorio aveva dichiarato di avere notato il pedone in fase di attraversamento e aveva ricordato che lo stesso si trovava al centro della sua corsia di marcia, era vestito di scuro e aveva un ombrello che gli copriva la visuale.
La sentenza impugnata ha altresì evidenziato che la velocità tenuta dal G. L. non era adeguata alle condizioni di tempo e di luogo e che, in ogni caso, la condotta di guida tenuta dallo stesso era stata improntata alla massima disattenzione.
Veniva altresì evidenziato che al momento dell’incidente vi era una pioggia insistente, ma non tale da ostacolare del tutto la visibilità e che l’illuminazione pubblica sul tratto di strada in cui è accaduto il sinistro era regolata da interruttore “crepuscolare, ovvero con sensore che aziona l’impianto a seconda della quantità di luce (indipendentemente dall’orario)”.
Sulla base di tali considerazioni i giudici di appello ritenevano che non assumesse valore decisivo, per mettere in dubbio il funzionamento degli impianti}la nota con la quale i fedeli della Chiesa vicina al luogo dell’incidente avevano chiesto al Comune una maggiore illuminazione, non precludendo tale circostanza al ricorrente di avvedersi della presenza del pedone ancora prima che lo stesso venisse illuminato dai fari della vettura che procedeva in senso contrario.
Ritenevano altresì che non assumesse rilievo scriminante la circostanza che la donna stesse effettuando l’attraversamento fuori dalle strisce pedonali, poiché tale circostanza non escludeva l’obbligo del conducente dell’autovettura di rallentare e di consentire comunque l’attraversamento.
Fondato è invece il secondo motivo di ricorso.
La pena inflitta dalla Corte di appello a seguito della impugnazione del pubblico ministero avverso la sentenza di proscioglimento pronunciata dal GUP con il rito abbreviato doveva essere ridotta di un terzo, mentre ciò non è avvenuto.
La sentenza impugnata deve essere pertanto annullata senza rinvio limitatamente alla determinazione della pena; pena che viene determinata in mesi otto di reclusione.
Nel resto il ricorso deve essere rigettato.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla determinazione della pena; pena che determina in mesi otto di reclusione; rigetta il ricorso nel resto.
Così deciso in Roma il 13.06.2013
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