Suprema Corte di Cassazione
sezione IV
Sentenza n. 18603 del 24 aprile 2013
Svolgimento del processo
1. – Con atto in data 28.1.2013, il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Firenze ha proposto ricorso avverso l’ordinanza in data 9/24.12.2012 con la quale il tribunale di Firenze ha annullato il decreto di sequestro preventivo emesso dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Firenze in data 10.9.2012, con cui quest’ultimo giudice ha disposto il sequestro preventivo della società Vega s.r.l. e della relativa azienda, della società Rubino Autotrasporti s.r.l. e della relativa azienda, della società SPS s.r.l. e della relativa azienda, nel quadro del procedimento penale instaurato a carico di C.S. (cui tutte le strutture imprenditoriali sopra indicate sono
apparse riferibili) in relazione al reato di lesioni personali colpose commesso in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro ai danni del lavoratore T.G..
Con il provvedimento impugnato, il tribunale fiorentino ha evidenziato l’inammissibilità del sequestro preventivo in relazione a un’attività imprenditoriale, atteso il carattere prettamente ablatorio (e non già interdittivo) della misura cautelare in esame, tale da imporne la riferibilità esclusivamente ad una res pertinente al reato, con la conseguente sequestrabilità dei soli beni, e non già di un’impresa o di un’attività imprenditoriale, vieppiù a fronte della piana ricorribilità ai rimedi specifici di cui al d.lgs. n. 231/2001 (in tema di responsabilità amministrativa degli enti) esperibili anche in relazione al delitto di lesioni personali gravi.
Con l’impugnazione proposta, il procuratore ricorrente censura il provvedimento del tribunale di Firenze per violazione della legge processuale penale, avendo il giudice a quo erroneamente ritenuto che il sequestro in esame fosse volto all’imposizione di un’inibitoria nei confronti di un’attività imprenditoriale, e non già di un vincolo reale su beni riguardanti nella loro materialità, laddove, al contrario, detto provvedimento cautelare era stato richiesto e disposto sulle società e sulle aziende costituenti il coacervo dei beni che l’imprenditore destina alla propria impresa.
Proprio tali beni, nella specie, avevano costituito il mezzo attraverso il quale l’indagato ha commesso il reato allo stesso contestato, atteso che al C. è stata propriamente ascritta la realizzazione di un’organizzazione imprenditoriale del tutto priva di qualsivoglia forma di cautela o di misura precauzionale funzionale alla sicurezza e all’incolumità dei lavoratori impiegati.
Nessuna rilevanza, sotto altro profilo, può ricollegarsi, secondo il ricorrente, alle previsioni di cui al D.Lgs. n. 231 del 2001, stante la diversità dei presupposti delle misure cautelari disciplinate da tale testo normativo e la misura ablatoria in esame, nella specie immediatamente destinata ad inibire al C. l’esercizio di un’attività imprenditoriale pericolosa mediante l’uso dei beni strumentali di cui il medesimo ha la disponibilità.
Motivi della decisione
2. – Il ricorso è fondato.
Al di là della pacifica e indiscutibile insequestrabilità delle società commerciali in quanto tali (come erroneamente indicato nell’originario provvedimento di sequestro preventivo emesso dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Firenze), vale sotto altro aspetto evidenziare come la giurisprudenza di legittimità, in tema di sequestro preventivo di aziende, abbia conosciuto alterne vicende con riguardo al tema della sequestrabilità delle aziende strutturate per lo svolgimento di attività lavorativa con prevalente impiego di lavoratori privi di permesso di soggiorno.
Secondo un primo orientamento, deve ritenersi legittimo il sequestro preventivo di immobili, strutture e apparecchi costituenti l’azienda funzionalmente ed economicamente produttiva, allorchè essi siano impiegati per lo svolgimento dell’attività lavorativa prevalente di lavoratori stranieri privi di permesso di soggiorno, essendo l’imposizione del vincolo funzionale ad impedire la prosecuzione dello sfruttamento di manodopera illegale (Cass., Sez. 1, n. 18550/2009, Rv. 243560).
Viceversa, secondo altro orientamento, deve escludersi l’assoggettabilità a sequestro preventivo dell’immobile, delle strutture e degli apparecchi costituenti l’azienda funzionante ed economicamente produttiva in ragione dell’occupazione non totalitaria o prevalente di lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno, in quanto tali beni non sono in rapporto di pertinenzialità rispetto al reato di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 22, e succ. modd.. (Cass., Sez. 1, n. 34605/2007, Rv. 237683).
I termini del contrasto insorto, e qui rapidamente richiamato, non hanno peraltro mai investito la questione della sequestrabilità in sè dell’azienda, come bene produttivo (cfr. l’art. 2555 c.c., secondo cui l’azienda è “il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa”), bensì il suo eventuale rapporto di pertinenzialità rispetto al reato.
Sul punto, la giurisprudenza di questa corte di legittimità ha costantemente avuto modo di sottolineare come, in materia di sequestro preventivo, oggetto della misura cautelare reale può essere anche un’intera azienda, ove sussistano indizi che anche taluno soltanto dei beni aziendali, proprio per la sua collocazione strumentale, sia utilizzato per la consumazione del reato, a nulla rilevando la circostanza che l’azienda svolga anche normali attività imprenditoriali (Cass., Sez. 6, n. 27340/2008, Rv. 240574; Cass. Sez. 3, n. 6444/2007, Rv. 238819; Cass., Sez. 3, n. 47918/2003, Rv. 226896; Cass., Sez. 6, n. 36773/2003, Rv. 226820; Cass., Sez. 5, n. 25489/2002, Rv. 222065 Cass., Sez. 6, n. 29797/2001, Rv. 219855).
Deve pertanto ritenersi emessa in violazione di legge l’ordinanza in questa sede impugnata dal procuratore della repubblica di Firenze, nella parte in cui esclude in via di principio la suscettibilità dell’azienda a costituire oggetto di sequestro preventivo, indipendentemente dall’indagine di merito riguardante il rapporto di pertinenzialità della misura rispetto al reato, ovvero l’eventuale proporzionalità di detta misura cautelare rispetto alle esigenze cui è destinata.
Proprio su tale ultimo aspetto, varrà richiamare il principio sancito da Cass., Sez. 5, n. 8152/2010, Rv. 246103, nella parte in cui ammonisce come i principi di proporzionalità, adeguatezza e gradualità, dettati dall’art. 275 c.p.p., per le misure cautelari personali, devono ritenersi applicabili anche alle misure cautelari reali e devono costituire oggetto di valutazione preventiva e non eludibile da parte del giudice nell’applicazione delle cautele reali, al fine di evitare un’esasperata compressione del diritto di proprietà e di libera iniziativa economica privata. Ne consegue che, qualora detta misura trovi applicazione, il giudice deve motivare adeguatamente sulla impossibilità di conseguire il medesimo risultato della misura cautelare reale con una meno invasiva misura interdittiva.
3. – Il riscontro della fondatezza del ricorso in questa sede proposto dal procuratore della Repubblica di Firenze comporta il riconoscimento dell’invalidità del provvedimento impugnato per violazione legge, con la conseguente pronuncia del relativo annullamento e il rinvio al Tribunale di Firenze per un nuovo esame.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Firenze per nuovo esame.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 21 marzo 2013.
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