Suprema Corte di Cassazione
sezione IV
sentenza 7 ottobre 2013, n. 41426
Ritenuto in fatto
1. – Con atto del 22.1.2013, M..R. , F..B. , L..B. , M.P..B. e B.F. , in qualità di parti civili costituite, hanno proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza in data 11.12.2012 con la quale il giudice dell’udienza preliminare presso il tribunale di Bergamo ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di Ro.Ma. , E..S. e L..M. per insussistenza del fatto, consistente nel prospettato omicidio colposo commesso, ai danni di G..B. (prossimo congiunto dei ricorrenti), in violazione delle norme precauzionali concernenti l’esercizio della professione sanitaria infermieristica, segnatamente provocato dall’emorragia cerebrale acuta indotta, a carico del paziente, a seguito della caduta dello stesso dal letto sul quale gli indagati erano intenti a sistemarlo, senza adottare le cautele necessarie a controllarne i movimenti e impedirgli di gettarsi a terra.
Con la sentenza impugnata, il giudice a quo ha escluso il ricorso di elementi idonei a sostenere l’accusa in giudizio, non essendo emerso alcun profilo di colpa a carico degli imputati, dovendo escludersi che agli stessi fosse nella specie ascrivibile alcun onere di adottare particolari misure di contenzione del paziente, essendo gli stessi comunque rimasti, in occasione del fatto, attorno al letto del B. , dopo averlo ivi posizionato e accudito, senza poter in alcun modo prevedere il gesto inconsulto dell’anziano paziente (che dal letto si era repentinamente lanciato per terra), eccedente rispetto alle normali forme d’insofferenza di una persona anziana; gesto inconsulto, a seguito del quale gli imputati avevano comunque immediatamente prestato tutti i necessari soccorsi.
Con l’impugnazione proposta, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per vizio di motivazione, avendo il giudice a quo contraddittoriamente ricostruito la dinamica dei fatti oggetto del procedimento, senza rilevare l’evidente contrasto tra il contenuto delle versioni fornite dagli imputati e le dichiarazioni rese dal teste L. presente al momento del fatto (che aveva riferito di un evidente stato di agitazione del paziente), dalle quali era emersa la ragionevole pre-vedibilità della condotta autolesionistica successivamente tenuta dal paziente, la cui ricostruzione, peraltro, doveva ritenersi insufficientemente operata dal giudicante, avuto riguardo alle specifiche precarie condizioni fisiche nelle quali il paziente stesso si trovava, tali da renderne difficilmente ipotizzatale uno scatto improvviso dal letto.
Sotto altro profilo, i ricorrenti si dolgono della ritenuta insussistenza, in capo agli imputati, di specifici obblighi di stretta vigilanza in relazione al caso di specie, avendo il paziente nell’occasione immediatamente mostrato al personale infermieristico segni di agitazione e insofferenza, tanto da rendere del tutto ipotizzarle la necessità di procedere all’adozione di rigorose misure di contenzione.
Da ultimo, i ricorrenti denunciano l’illogicità della motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui omette di considerare il contrasto tra la deposizione del teste L. e le dichiarazioni rese dall’imputata Ro. , circa il preteso tentativo, da quest’ultima posto in essere nell’immediatezza dei fatti, di attutire gli effetti della caduta del paziente con il proprio corpo.
Sulla base di tali argomentazioni, i ricorrenti hanno invocato l’annullamento della sentenza impugnata, con l’eventuale adozione delle statuizioni consequenziali.
Con memoria depositata in data 18.9.2013 gli imputati hanno concluso per la dichiarazione d’inammissibilità, ovvero per il rigetto del ricorso.
Considerato in diritto
2. – Il ricorso è infondato.
Preliminarmente, dev’essere disattesa l’eccezione sollevata dagli imputati con riguardo all’asserito difetto di legittimazione attiva dei ricorrenti a proporre l’odierna impugnazione (stante la limitazione di detta legittimazione alla sola persona offesa costituita parte civile ex art. 428, co. 2, c.p.p.), atteso che, ai sensi dell’art. 90, co. 3, c.p.p., qualora la persona offesa sia deceduta in conseguenza del reato, le facoltà e i diritti previsti dalla legge sono esercitati dai prossimi congiunti.
Nel merito, rileva la corte come, con la sentenza di non luogo a procedere impugnata in questa sede, il giudice bergamasco abbia correttamente ritenuto, con motivazione esauriente e immune da vizi logico-giuridici, l’insussistenza di elementi idonei a sostenere l’accusa in giudizio, in assenza di indici idonei a giustificare il riconoscimento di eventuali profili di colpa ascrivibili a carico degli imputati.
In particolare, in contrasto con quanto sostenuto in questa sede dai ricorrenti, il giudice a quo, nel confermare come il complesso degli elementi probatori acquisiti nel corso delle indagini preliminari avesse adeguatamente chiarito l’effettivo accadimento dei fatti secondo la successione degli eventi narrati dai protagonisti e dalle persone presenti, ha superato l’eventuale asserita contraddizione tra la deposizione resa dal teste L. e quanto dichiarato dagli imputati (circa le condizioni di calma, ovvero di agitazione del paziente), sottolineando come, per quanto il paziente mostrasse insofferenza alle operazioni di accudimento degli infermieri (continuando a cercare di sollevarsi dal letto e rifiutandosi di rimanere fermo), tale atteggiamento appariva tale da rendere del tutto imprevedibile il successivo inconsulto gesto di gettarsi per terra (di per sé eccedente le normali forme d’insofferenza di una persona anziana), tenuto conto che, a fronte di un paziente documentalmente segnalato come “parzialmente autosufficiente”, gli operatori avevano comunque provveduto ad adagiare il B. sul letto, rimanendogli attorno e contestualmente procurando di avvolgerlo nelle coperte e di accudirlo, in tal modo assicurando il compimento di tutto ciò che era nelle relative possibilità per evitarne la caduta.
Sotto altro profilo, occorre rilevare il carattere autocontraddittorio della censura argomentata dai ricorrenti, circa la pretesa carenza di motivazione in ordine alla condotta autolesionistica del paziente (ipotizzando come improbabile uno “scatto improvviso” dello stesso, avuto riguardo alle relative specifiche precarie condizioni fisiche), avendo proprio gli stessi ricorrenti evidenziato le asserite condizioni di obiettiva prevedibilità del gesto successivamente posto in essere dal B. .
La stessa denunciata omissione, relativa alla mancata applicazione, al letto del paziente, delle sponde di contenzione, è stata congruamente superata sul piano argomentativo dal giudice a quo, avendo quest’ultimo logicamente sottolineato come tali sponde avrebbero comunque potuto essere sollevate solo al termine del posizionamento del catetere e della definitiva sistemazione del paziente nel letto, attorno al quale gli infermieri erano comunque rimasti fermi, sì da escludere l’eventuale esigibilità di ulteriori e diversi comportamenti cautelari degli imputati, avuto riguardo alle specifiche circostanze di fatto agli stessi note.
Da ultimo del tutto irrilevante deve ritenersi la censura relativa alla ricostruzione in fatto del tentativo dell’imputata R. di attutire gli effetti della caduta del paziente, trattandosi di circostanza rispetto alla quale le dichiarazioni del teste L. (che ha asserito di non essersi reso conto di tale occorrenza, avendo rivolto altrove la propria attenzione) non appaiono tali da evidenziare alcun profilo di rimproverabilità nei confronti dell’imputata.
Le motivazioni così compendiate nel provvedimento impugnato a fondamento della pronuncia di non luogo a procedere devono ritenersi complessivamente coerenti, sul piano logico, e dotate d’ineccepibile linearità in chiave argomentativa, sì da sfuggire integralmente alle censure alle stesse rivolte dagli odierni ricorrenti.
P.Q.M.
la Corte Suprema di Cassazione, rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
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