Cassazione 10

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE IV

SENTENZA 5 febbraio 2015, n. 5397

Ritenuto in fatto

 
-1- M.J.O. è stato tratto a giudizio davanti al Tribunale di Firenze per rispondere del reato di cui all’art. 449 cod. pen., in relazione all’art. 428 co. 1 dello stesso codice (disastro colposo a seguito di caduta di aeromobile di altrui proprietà) per avere, quale pilota del “Piper PA28R” della compagnia “Avilu s.a”, cagionato, per colpa, consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia, la caduta del velivolo, a bordo del quale si trovava anche, oltre a Ma.Fe.Ed. , copilota e già istruttore del M. , il passeggero R.R. .
Secondo l’accusa, l’imputato, in fase di atterraggio all’aeroporto (omissis) , aveva eseguito una manovra di avvicinamento alla pista secondo una traiettoria che avrebbe anticipato l’impatto al suolo rispetto alla soglia regolamentare per la pista prevista per l’atterraggio. Ciò aveva reso necessario il sorvolo della stessa pista a bassissima quota per alcune centinaia di metri prima di superare detta soglia, con conseguente perdita dell’allineamento. Il pilota, quindi, in presenza di vento in coda con una leggera componente laterale di destra, aveva perso il coordinamento dei comandi verosimilmente durante la fase di completamento dell’estrazione dei “flaps” (alette aerodinamiche che servono a sostenere il velivolo a velocità più basse), avendo fatto erroneamente ruotare il volantino a sinistra ed avendo dato “piede destro” (rotazione del timone verticale del velivolo in modo da orientare lo stesso verso destra), invece che effettuare la manovra contraria per contrastare l’impulso alla rotazione verso sinistra. Il velivolo, ormai a bassa quota, dopo avere continuato a derapare a sinistra, avvicinatosi alla condizione di stallo, ulteriormente anticipata dalla ridotta estrazione dei “flaps”, era scivolato d’ala sulla sinistra e con la stessa aveva impattato sulla strada perimetrale parallela alla pista, con conseguente rotazione seguita dal distacco dell’ala, dall’urto frontale dell’elica e del motore contro il fossato e dall’arresto dello stesso sulla rete di recinzione con il muso rivolto verso la pista.
Dell’incidente è stato chiamato a rispondere anche il Ma. che, in tesi d’accusa, pur essendosi accorto per tempo dell’inadeguato controllo del velivolo da parte del M. , era tardivamente intervenuto per correggere l’azione del pilota.
Sia il pilota che il Ma. hanno riportato varie lesioni e fratture multiple, mentre illeso è rimasto il R. .
-2- Con sentenza del 19 maggio 2010, il Tribunale di Firenze ha ritenuto il M. colpevole del delitto contestato, qualificato ai sensi dell’art. 449 co. 2 cod. pen., e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, lo ha condannato alla pena, sospesa alle condizioni di legge, di un anno e quattro mesi di reclusione, nonché al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita, “Avilu s.a.”, liquidati in Euro 30.000,00. Il Ma. è stato invece assolto per insussistenza del fatto addebitatogli.
Il giudice di primo grado ha ritenuto che l’incidente era stato causato da un errore del pilota, come emerso in sede di indagini tecniche, affidate dal PM all’ing. G. .
A tale conclusione il tribunale è pervenuto dopo avere anche dato atto che da dette indagini era stato possibile escludere che l’incidente potesse essere stato causato da anomalie meccaniche del velivolo o da avverse condizioni meteorologiche o da altri eventi, come il precedente decollo di un velivolo di più consistenti dimensioni ovvero dai comandi provenienti dai controllori di volo.
-3- Su appello proposto dall’imputato, la Corte d’Appello di Firenze, con sentenza del 31 gennaio 2012, ha confermato la decisione del primo giudice.
La corte territoriale ha quindi ribadito che l’incidente era stato determinato da un errore del pilota come già descritto dal tribunale ed accertato dal consulente del PM ing. G. , che doveva quindi ritenersi infondata la tesi del “jet blast” proposta dal consulente dell’imputato, in quanto priva di basi scientifiche e non riconosciuta dalla normativa internazionale, come, peraltro, lo stesso consulente, secondo il giudice del gravame, aveva riconosciuto. Così come è stata ribadita l’irrilevanza degli altri fattori ritenuti dall’ing. T. , consulente dell’imputato, quali concause dell’incidente (in particolare, le condizioni atmosferiche e la soglia di atterraggio), laddove, secondo lo stesso giudice, nessuna persuasiva analisi critica lo stesso consulente aveva proposto rispetto alla tesi dell’errore umano individuato, quale causa dell’incidente, dall’ing. G. le cui conclusioni tecniche anche il giudice del gravame ha ritenuto di condividere perché sostenute da precisi dati testimoniali e scientifici; diversamente da quelle esposte dal consulente dell’imputato, basate su dati non riscontrati dalla normativa internazionale e sul richiamo ad agenti esterni, senza soffermarsi sulla tesi dell’errore umano, pure chiaramente emersa dalle testimonianze assunte.
Infondate, infine, sono state ritenute anche le altre censure, concernenti il regime sanzionatorio e la qualificazione giuridica del fatto contestato.
-4- Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione, per il tramite del difensore, il M. , che deduce:
4.1) Mancanza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione della sentenza impugnata in punto di affermazione della responsabilità dell’imputato.
Premesso che nel capo d’imputazione si richiama la cooperazione, nell’evento, della condotta di Ma.Fe. , sostiene il ricorrente che nella sentenza non vi è alcun richiamo al predetto coimputato e che la ricostruzione della condotta del M. modifica radicalmente i profili di responsabilità individuati nell’originario impianto accusatorio, nel senso che lo stesso Ma. non sarebbe intervenuto “con ripetuti richiami verbali sui comando”, come riportato nel capo d’imputazione, bensì solo con l’ordine di “togliere il piede destro” (dalla pedaliera); e non in una fase in cui l’aereo era ormai prossimo allo stallo, bensì quando ormai esso aveva subito una deviazione verso sinistra e si era quindi già innescata la sequenza che ha portato all’impatto. I giudici, però, non hanno offerto, si sostiene nel ricorso, alcuna spiegazione di come tale dinamica sia compatibile con la condotta contestata al Ma. ; ciò costituirebbe un evidente vizio di motivazione.
La corte territoriale, soggiunge il ricorrente, avrebbe mostrato totale affidamento per le conclusioni rese dal consulente del PM che, tuttavia, si presentavano incoerenti rispetto agli atti del processo. Tali conclusioni, invero, partono da un dato probatorio costituito dalla reazione istintiva del M. di tentare di rispristinare l’allineamento del velivolo “dando piede destro” alla pedaliera, dedotto dall’ordine rivolto dal Ma. all’imputato, ricordato dal R. , di “togliere il piede”, laddove ciò non autorizzerebbe a ritenere che si trattasse del piede destro, come apoditticamente ritenuto dai giudici del merito. Tale deduzione, che è stata dagli stessi giudici posta alla base della tesi dell’incrocio dei comandi (volantino verso sinistra e posizionamento del piede destro sulla pedaliera), sarebbe quindi frutto del travisamento della testimonianza del R. .
Ugualmente incoerente rispetto alle emergenze probatorie sarebbe la considerazione del giudice del gravame secondo cui l’aereo aveva mutato direzione in concomitanza con l’azionamento dei “flaps”, di guisa che, per contrastare la rotazione verso sinistra, il pilota aveva dato “piede a destra”, laddove l’ing. G. aveva in dibattimento riferito un fatto diverso, e cioè, che il velivolo aveva perso l’allineamento ed avrebbe iniziato a derapare ben prima di impennarsi. Lo stesso consulente, peraltro, aveva rilevato delle discordanze nei racconti degli occupanti il velivolo, che avevano fatto riferimento ad un sorvolo della pista ad un metro di altezza, poi di cinque metri; elementi di incerta valutazione, secondo lo stesso consulente, non essendo corroborati da dati strumentali. Di tali considerazioni la corte territoriale non avrebbe tenuto conto, così come della ipotesi avanzata dallo stesso ing. G. , secondo cui il pilota, avendo visto scendere il velivolo, avesse tirato a sé la cloche per prendere quota e mantenerlo in volo.
Più in generale, sostiene il ricorrente che la corte territoriale non si sarebbe fatta carico degli argomenti svolti nell’atto di appello; in particolare, non avrebbe rilevato che l’aereo, prima di iniziare il volo incontrollato conclusosi con l’incidente, aveva toccato il suolo, ovvero era ormai a pochi centimetri da terra, ed aveva quindi concluso l’atterraggio, come affermato dagli stessi controllori di volo, di guisa che errata sarebbe l’attribuzione della perdita di controllo del velivolo all’estrazione dei “flaps”.
La stessa corte non avrebbe considerato l’alternativa ricostruzione dei fatti proposta dal consulente dell’imputato, del tutto credibile, si sostiene nel ricorso, sul piano scientifico-aeronautico.
4.2) Mancata assunzione di prova decisiva e vizio di motivazione in relazione al rigetto della richiesta di disporre perizia tecnica ricostruttiva dell’incidente, ritenuta dal ricorrente necessaria in considerazione del contrasto rilevato tra i consulenti delle parti;
4.3) Violazione di legge e vizio di motivazione in punto di qualificazione giuridica del fatto e di trattamento sanzionatorio. Sostiene il ricorrente che non ricorrerebbe, nel caso in esame, la fattispecie delittuosa aggravata prevista dal 2^ comma dell’art. 449 cod. pen. (disastro aviatorio), bensì quella descritta al 1^ comma, atteso che nel concetto di trasporto aereo di persone deve intendersi la sola fattispecie del trasporto commerciale, cioè del trasporto di passeggeri dietro emissione di biglietto e pagamento del relativo prezzo. In ogni caso, la fattispecie di cui al 2^ comma rappresenterebbe non un reato autonomo, bensì un’aggravante del reato descritto sub comma 1^. A tale proposito, nulla avrebbe osservato la corte territoriale;
4.4) Violazione di legge in punto di intervento della parte civile. Si sostiene nel ricorso che, non essendosi la società costituitasi parte civile – “Avilu s.a.” – presentata nel giudizio di appello, la corte territoriale avrebbe dovuto dichiarare implicitamente revocata la costituzione in giudizio della stessa, ai sensi dell’art. 82 cod. proc. pen., di guisa che del tutto irrituale sarebbe la conferma, nella sentenza impugnata, delle statuizioni civili.
-5- Con memoria ed allegata documentazione pervenuta presso la cancelleria di questa Corte, il ricorrente rielabora a ribadisce le censure proposte con il ricorso in punto di affermazione della responsabilità, di mancata assunzione di perizia tecnica ricostruttiva dell’incidente, di qualificazione giuridica del fatto, che consentirebbe di prendere atto dell’intervenuta prescrizione del reato, di intervento della parte civile.
 

Considerato in diritto

 
Il ricorso è fondato, sia pure per ragioni diverse da quelle indicate dal ricorrente, in quanto concernenti la qualificazione giuridica del fatto contestato, sotto il profilo della sussistenza dello stesso.
-1- Prima di esaminare lo specifico tema che sorge dall’esame della vicenda processuale, ritiene la Corte di dovere svolgere talune premesse.
Non vi è dubbio che l’incidente aereo di che trattasi è stato determinato da un’errata manovra del pilota durante la fase di atterraggio del velivolo.
A tali conclusioni sono correttamente pervenuti i giudici del merito sulla base, non solo delle testimonianze rese dal passeggero R.R. e dai controllori di volo Mo.Fr.Ro. e V.V. , ma anche delle considerazioni svolte e dalle conclusioni rassegnate dal consulente del PM, ing. G. . Costui, invero, dopo avere escluso che l’incidente potesse essere ricondotto ad anomalie del velivolo o ad avarie ai comandi di volo e che il precedente decollo di altro velivolo, di più notevoli dimensioni – un “Airbus A 319” -, potesse avere in qualche nodo negativamente interferito con la manovre di atterraggio del “Piper”, e dopo avere anche precisato che le condizioni metereologiche erano del tutto ottimali per la buona visibilità e per la presenza di un vento debole che non poteva arrecare alcun problema alle fasi di avvicinamento e di atterraggio dello stesso velivolo, ha conclusivamente sostenuto, con argomentazioni tecniche motivatamente ritenute dai giudici del merito del tutto coerenti e condivisibili, che le cause dell’incidente dovevano ricercarsi nel “fattore umano”, cioè nella condotta dell’uomo, in particolare, del pilota, odierno ricorrente.
Costui, invero, hanno sostenuto gli stessi giudici, richiamando i pareri espressi dal consulente del PM, nel procedere all’operazione di estrazione dei “flaps”, azionando una leva che si trovava sulla sua destra, aveva provocato, agendo sul volantino, una rotazione del muso del velivolo verso sinistra, per correggere il quale aveva dato “piede destro”. L’incrocio dei comandi (rotazione del volantino verso sinistra associata al tentativo di deviazione verso destra azionando il timone verticale con il piede destro) aveva provocato una situazione di stallo, esaltata da un debole vento laterale, con conseguente impennata del velivolo che, ormai fuori controllo, era ricaduto al suolo. L’incidente era stato quindi determinato da un errore di manovra commesso dal pilota che, d’altra parte, è stato anche precisato, poteva vantare una limitata esperienza, avendo accumulato pochissime ore di volo (cento, di cui meno di un terzo quale pilota comandante), poco al di sopra del minimo indispensabile per mantenere la licenza.
Non hanno omesso, peraltro, i giudici del merito, di esaminare la tesi proposta dal consulente dell’imputato, ing. T. , secondo il quale la perdita di allineamento del “Piper” era stata provocata da un fenomeno noto come “jet blast”, cioè dalle turbolenze provocate dal decollo dallo stesso aeroporto, avvenuto circa tre minuti prima dell’atterraggio del “Piper”, di un “Airbus”; turbolenze che avevano investito il piccolo velivolo costretto, dalle disposizioni impartite dalla torre di controllo, ad atterrare in prossimità del punto di decollo dell'”Airbus”. Tesi che la corte territoriale ha tuttavia ritenuto infondata, alla stregua dei giudizi espressi in proposito dal consulente del PM, posto che i tempi e gli spazi di separazione stabiliti dalla normativa internazionale per i vortici di scia, ampiamente rispettati nel caso di specie, consentono di evitare gli effetti negativi del “jet blast”.
L’incidente è stato quindi correttamente e motivatamente addebitato all’errata ed imperita manovra del pilota, mentre le censure proposte in proposito dal ricorrente si presentano palesemente infondate, ed in sostanza generalmente ripetitive di considerazioni già poste dall’imputato all’attenzione della corte territoriale, che le ha respinte con argomentazioni del tutto condivisibili ed in sintonia con le emergenze probatorie in atti; in particolare, con le conclusioni rassegnate dal consulente del Pm, giustamente apparse, diversamente da quelle svolte dal consulente dell’imputato, convincenti e sostenute da considerazioni tecniche inoppugnabili – che rendevano anche inutile il ricorso ad ulteriori approfondimenti tecnici – oltre che da dati testimoniali di sicuro rilievo e certamente attendibili.
-2- Con riferimento al tema della qualificazione giuridica del fatto contestato, proposto dal ricorrente sotto il profilo della sussistenza dell’aggravante prevista dall’art. 449 co. 2 del codice penale, osserva la Corte che esso debba essere preso in considerazione sotto il più pregnante profilo della sussistenza stessa della fattispecie contestata. A ciò potendo questa stessa Corte accingersi benché non abbia, sul punto, il ricorrente proposto uno specifico motivo di ricorso, e benché la questione non sia stata posta all’attenzione del giudice di appello, atteso che certamente rientra tra i poteri di cognizione del giudice di legittimità quello di procedere alla corretta qualificazione giuridica del fatto ove erroneamente individuata dal giudice del merito. Potendo tale potere essere esercitato, ove non siano necessari accertamenti in punto di fatto, anche d’ufficio, ex art. 609, comma secondo, cod. proc. pen., poiché l’esatta definizione giuridica del fatto, persino se più grave rispetto a quella ritenuta dal giudice di merito (non potendosi, in ogni caso, riformare in peius la pena), è, secondo la condivisa giurisprudenza di legittimità, questione rilevabile, appunto, d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio (Cass. nn. 45583/05, 4984 del 19.12.06 rv 236318, 11055/08,39841/09, 13387 del 16.5.13 rv 259730, 321 Idei 20.12.13 rv 258538).
-3- Tanto necessariamente precisato, e rilevato che nella comune accezione del termine la parola “disastro” indica un evento distruttivo di proporzioni straordinarie, una sciagura capace di provocare danni di vaste propozioni, osserva la Corte che l’art. 449 è inserito nel capo terzo del titolo sesto del codice penale, che tratta dei delitti colposi di comune pericolo e descrive fattispecie – attraverso le quali il legislatore ha inteso proteggere beni primari dell’uomo, come la vita, l’integrità fisica, la salute – che evocano eventi di straordinaria potenzialità distruttiva (quali crolli, incendi, frane, disastri ferroviari ed aerei, naufragi) astrattamente in grado di coinvolgere un numero non individuabile di persone. Si tratta, quindi, di eventi di tale gravità e complessità da determinare, in vista del potenziale distruttivo e diffusivo di cui sono portatori, una concreta situazione di pericolo per la pubblica incolumità, nel senso della ricorrenza di un giudizio di probabilità relativo all’attitudine di taluni eventi a ledere o a mettere in pericolo un numero non individuabile di persone.
Con specifico riferimento al disastro aviatorio, occorre rilevare che l’art. 428 cod. pen., che richiama la caduta di aeromobili ed al quale fa anche espresso rinvio l’art. 449, distingue il caso che la caduta riguardi un velivolo di proprietà altrui, cioè di soggetto diverso dall’autore del fatto (comma 1) dal caso in cui costui ne è proprietario (comma 3).
Mentre nel primo caso la norma non fa riferimento alcuno al requisito del pericolo per l’incolumità pubblica, nel secondo caso la sussistenza di tale requisito è espressamente prevista, di guisa che è stato sostenuto che, allorché a cadere sia un velivolo di proprietà del reo, occorre, per la sussistenza del reato, che dal fatto derivi un concreto pericolo per la pubblica incolumità; requisito ritenuto, viceversa, non necessario nel caso di caduta di un velivolo di proprietà altrui, in relazione al quale il pericolo sarebbe presunto dalla legge.
La fattispecie descritta sub comma 1 dell’art. 428 integrerebbe, quindi, un’ipotesi di reato di pericolo presunto, sul rilievo che la caduta di un aeromobile provoca comunque allarme e determina situazioni di generale pericolo, di guisa che, ai fini della sussistenza del delitto in questione, non occorre che il giudice accerti che la caduta dell’aeromobile abbia posto in pericolo la pubblica incolumità.
Tale interpretazione, tuttavia, è stata, da alcun tempo, da questa Corte riconsiderata, nel senso che è stato ritenuto necessario che la situazione di pericolo che comunque rappresenta il presupposto al quale si ricollega la fattispecie in esame, debba comunque presentare una pur apprezzabile concretezza, in qualche modo idonea a generare una condizione di pericolo per la pubblica incolumità. Si è quindi inteso sostituire a concetto di pericolo presunto quello di pericolo astratto, di un pericolo, cioè, che presenti la concreta potenziale idoneità a determinare una situazione di pericolo per la vita, l’integrità fisica, la salute delle persone.
È stato, quindi, in proposito da questa Corte recentemente affermato (Cass. n. 36639/12) che “non integra il reato qualsiasi precipitare a terra (di un aeromobile) governato dalla sola forza di gravità ma va accertato, alla luce degli elementi concretamente determinatisi, quali le dimensioni del mezzo, il numero dei passeggeri che può essere trasportato, il luogo effettivo di caduta, l’espansività e la potenza del danno materiale, se il fatto era in grado di esporre a pericolo l’integrità fisica di un numero indeterminato di persone”. Tale verifica, è stato precisato, deve essere eseguita dal giudice con giudizio ex ante, ovvero accertando, alla luce dei fattori conosciuti e conoscibili da parte dell’agente, “se il fatto era in grado di esporre a pericolo l’integrità fisica di un numero indeterminato di persone, richiedendo il pericolo astratto, nella specie, la verosimiglianza della presenza di un numero indeterminato di persone nella sfera di esplicazione del fatto”. Con riguardo al delitto oggetto d’esame, la verifica che deve essere eseguita concerne, quindi, il possibile coinvolgimento nell’evento “di un numero indeterminato di persone” che si trovino presenti “nella sfera di esplicazione del fatto”.
-4- Orbene, ribadito che l’incidente è stato causato dalla condotta colposa, sotto il profilo dell’imperizia, tenuta, durante la manovra di atterraggio, dal M. , che giustamente è stato ritenuto responsabile anche dei danni che la sua condotta ha provocato alla società proprietaria del velivolo, al risarcimento dei quali è stato giustamente condannato dal primo giudice (nulla, peraltro, rilevando l’assenza o la mancata presentazione delle conclusioni della parte civile nel giudizio di appello, non integrando tale condotta gli estremi della revoca tacita della costituzione di parte civile di cui all’art. 82, comma secondo, cod. proc. pen., essendo quest’ultima norma applicabile al solo giudizio di primo grado), osserva la Corte che, alla stregua dei condivisi principi sopra richiamati, l’incidente in questione non possa essere qualificato quale disastro aviatorio, mancando nei fatti contestati l’elemento costitutivo tipico di tale fattispecie, non potendosi sostenere, alla luce delle non contestate emergenze, che l’evento determinatosi abbia rappresentato pericolo alcuno per la pubblica incolumità.
Il tipo di velivolo coinvolto nel sinistro, il luogo di caduta dello stesso, le modalità con le quali l’incidente si è verificato, così come descritte nel capo d’imputazione e ritenute dai giudici del merito, non consentono, in realtà, di cogliere alcuno degli indici sintomatici tipici del disastro, cioè di un evento in grado, per la gravità e la complessità che lo hanno caratterizzato, di porre in pericolo l’incolumità di un indeterminato numero di persone; al contrario, le emergenze probatorie acquisite autorizzano ad escludere nel fatto qualsiasi implicazione in tal senso.
Si trattava, invero, di un piccolo velivolo (un “Piper”), adibito al trasporto di un ristrettissimo numero di persone (al momento dell’incidente, si trovano a bordo i due piloti e un passeggero), che ha perso il corretto assetto di volo, a causa di un errore commesso dal pilota, proprio nella fase terminale della manovra di atterraggio, quando già l’aeromobile si trovava, secondo quanto dichiarato dal personale in servizio alla torre di controllo, “sulla pista praticamente” (teste Vittorini) o aveva addirittura già “messo le ruote a terra” (teste Mo. ), ovvero, secondo il passeggero R. , quando essi si trovavano “molto bassi sulla pista”. In una posizione, cioè, e in un luogo che – anche in considerazione delle modalità con le quali l’incidente si è svolto -, di per sé, erano tali da escludere qualsiasi coinvolgimento nell’evento di persone diverse da quelle che si trovavano a bordo del velivolo. Questo, invero, giunto sulla pista o a pochi centimetri dalla stessa, sbilanciatosi al momento dell’atterraggio, rimasto fuori controllo, era, secondo la ricostruzione proposta dai giudici del merito, scivolato sull’ala sinistra ed aveva impattato “con l’estremità dell’ala sinistra sull’asfalto”, con conseguente distacco della stessa e “rotazione del velivolo che, dopo avere urtato frontalmente il fossato con l’elica e il motore, si era arrestato sulla rete di recinzione”.
Non vi è dubbio, quindi, che le modalità dell’incidente, la ristrettezza dell’area interessata, libera da strutture di qualsiasi tipo, ben lontana da luoghi ove avrebbero potuto trovarsi altre persone, portano ad escludere, già con valutazione ex ante, che l’incidente potesse caratterizzarsi da tale gravità e complessità, da così elevata capacità distruttiva da poter mettere a rischio la vita, l’incolumità o la salute di un indeterminato numero di persone.
-5- L’evidenza di tali conclusioni, che portano ad escludere la sussistenza del delitto contestato, e la inutilità di ulteriori approfondimenti in fatto, impongono l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata; rimanendo assorbiti i motivi di ricorso proposti dall’imputato.
 

P.Q.M.

 
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.

 

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