Suprema Corte di Cassazione
sezione IV
sentenza 3 febbraio 2016, n. 4488
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ZECCA Gaetanino – Presidente
Dott. BIANCHI Luisa – Consigliere
Dott. MENICHETTI Carla – Consigliere
Dott. PICCIALLI Patrizia – rel. Consigliere
Dott. TANGA Antonio L. – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 1199/2014 CORTE APPELLO di PALERMO, del 05/12/2014;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 09/12/2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. PICCIALLI Patrizia;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Pinelli Mario, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
(OMISSIS) ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe che, riformando quella assolutoria di primo grado, l’ha riconosciuta colpevole dei reati di cui all’articolo 189 C.d.S., comma 7 e articoli 590 e 594 c.p.; cio’ essendole stato contestato di avere, alla guida del proprio autoveicolo, colposamente investito, in prossimita’ dell’apposito attraversamento, il pedone (OMISSIS) e di essersi poi allontanata senza prestare assistenza, ed anzi proferendo espressioni ingiuriose nei confronti della persona offesa.
Il tema del processo ha riguardato l’identificazione della responsabile, sulla quale la Corte di merito, dissentendo dal primo giudice, ha ritenuto acquisita una prova certa, attraverso la valorizzazione della deposizione della persona offesa, che aveva descritto il tipo e il colore dell’autoveicolo condotta dall’investitrice, nonche’ sulla base della fotografia della targa consegnatale da una testimone.
Con il ricorso si lamenta, con il primo motivo, il vizio di motivazione, con riferimento al giudizio di responsabilita’ contestandosi l’identificazione dell’imputata. Con il secondo motivo si insta per l’applicabilita’ dell’istituto di cui all’articolo 131 bis codice penale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso e’ manifestamente infondato.
La prima doglianza e’ manifestamente infondata, vuoi perche’ generica e pretensiva, vuoi perche’ afferisce al tema dell’apprezzamento della prova, che il giudice ha sviluppato con adeguata motivazione, non rinnovabile in fatto in questa sede, valorizzando le dichiarazioni rese dal teste, assolutamente neutrale, presente al fatto.
Nell’ipotesi in esame il giudice di appello, per diversita’ di apprezzamenti, ha infatti ritenuto di pervenire a conclusioni diverse da quelle accolte dal giudice di primo grado, compiutamente sostituendo all’analisi compiuta dal primo giudice una sua analisi e svolgendo, per motivare il dissenso rispetto alla sentenza di primo grado, logiche e congrue considerazioni riguardanti la dinamica del sinistro,quale emergente dalle testimonianze assunte e dai rilievi tecnici in atti, nonche’ sui profili di colpa dell’imputata.
E’ stato cosi’ applicato il principio, in tema di motivazione della sentenza, secondo il quale nel caso di riforma da parte del giudice di appello di una decisione assolutoria emessa dal primo giudice, il secondo giudice ha l’obbligo di dimostrare specificamente l’insostenibilita’ sul piano logico e giuridico degli argomenti piu’ rilevanti della sentenza di primo grado, con rigorosa e penetrante analisi critica seguita da completa e convincente motivazione che, sovrapponendosi a tutto campo a quella del primo giudice, dia ragione delle scelte operate e della maggiore considerazione accordata ad elementi di prova diversi o diversamente valutati (v. tra le altre, Sez. 5, 5 maggio 2008, n. 35762, Alexi, rv. 241169).
Inaccoglibile e’ anche la doglianza con cui si vorrebbe venisse dichiarata la non punibilita’ dell’imputata per particolare tenuita’ del fatto.
Al proposito, e’ ormai pacifico che, nell’assenza di una disciplina transitoria, la declaratoria di non punibilita’ per particolare tenuita’ del fatto (articolo 131 bis codice penale, introdotto con il Decreto Legislativo n. 28 del 2015) e’ applicabile anche ai procedimenti in corso al momento della sua entrata in vigore e, quindi, anche a quelli pendenti in Cassazione. In tale evenienza, la Corte di legittimita’, deve in primo luogo considerare l’astratta applicabilita’ dell’istituto, avendo riguardo ai limiti edittali di pena del reato. In secondo luogo, la Corte deve verificare la ricorrenza congiunta della particolare tenuita’ dell’offesa (desunta, a sua volta, dalla modalita’ della condotta e dall’esiguita’ del danno o del pericolo, da valutarsi sulla base dei criteri indicati dall’articolo 133 codice penale, comma 1) e della non abitualita’ del reato. Nell’effettuare questo secondo apprezzamento, il giudice di legittimita’, cui e’ precluso esprimere valutazioni in fatto, non potra’ che limitarsi ad un vaglio di astratta non incompatibilita’ dei tratti della fattispecie, come risultanti dalla sentenza impugnata e dagli atti processuali, con i suindicati parametri di riferimento (di recente, Sezione 2, 30 settembre 2015, Clemente).
Nella specie, l’apprezzamento che qui deve effettuarsi, per valutare se la causa di non punibilita’ meriti di essere valutata in sede di merito (annullandosi con rinvio la sentenza di merito), conduce ad un giudizio negativo.
Nonostante che il giudice di merito abbia determinato il trattamento sanzionatorio in termini obiettivamente di favore, concedendo le generiche e il beneficio della sospensione condizionale della pena, e’ il fatto nella sua obiettivita’ che non risulta inquadrabile nel paradigma normativo dell’articolo 131 bis codice penale, ove si consideri come, nel medesimo contesto fattuale, l’imputata, coinvolta con proprie responsabilita’ nell’incidente, non solo non ha prestato assistenza ma ha anche proferito espressioni ingiuriose nei confronti della vittima.
Si tratta di una condotta non inquadrabile nel paradigma normativo della causa di non punibilita’, alla luce proprio dei parametri di cui all’articolo 133 codice penale.
Anche di recente, del resto, questa Corte ha precisato che non vi e’ incompatibilita’ fra la determinazione della pena nel minimo edittale e l’esclusione della causa di non punibilita’ per particolare tenuita’ del fatto, perche’ si tratta di operazioni interpretative rette da rationes differenti (Sezione 6, 22 ottobre 2015, Errfiki).
Alla inammissibilita’ del ricorso, riconducale a colpa della ricorrente (Corte Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), consegue la condanna della ricorrente medesima al pagamento delle spese processuali e di una somma, che congruamente si determina in euro 1.000,00, in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende.
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