Suprema Corte di Cassazione
sezione IV
sentenza 28 aprile 2014, n. 17803
Ritenuto in fatto
1. Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte d’appello di Genova ha confermato la sentenza con la quale il G.I.P. dei Tribunale di La Spezia, all’esito di giudizio abbreviato, applicata la diminuente del rito, ha condannato B.M.A. a 8 mesi di reclusione per il reato p. e p. dall’art. 589, primo e secondo comma, cod. pen., pena sospesa, oltre che al risarcimento del danno in favore della parte civile, da liquidarsi in separata sede, disponendo altresì la sospensione della patente di guida per sei mesi.
Secondo quanto pacificamente acquisito in giudizio, in data 6/3/2007, alle ore 8,45, l’automezzo condotto dal B. , mentre percorreva la strada provinciale (…), nel senso di marcia (omissis) , in un tratto di strada rettilineo e in condizioni di buona visibilità, attesa l’ora diurna e l’assenza di pioggia, impattava il ciclomotore Piaggio Ape 50 al cui interno si trovava C.G. , provocandone lo schiacciamento contro il palo metallico di sostegno posto in prossimità e, quindi, gravissime lesioni all’occupante, che ne determinavano il decesso sul colpo.
Secondo la corte territoriale, sulla scorta degli accertamenti condotti dal perito e dal consulente del P.M., doveva ritenersi accertato, al di là di ogni ragionevole dubbio, che il sinistro si fosse verificato allorché il veicolo del C. si trovava in sosta a motore spento, con a bordo lo stesso, nella piazzola antistante il cancello di casa, in attesa di ricevere le chiavi di accensione che la moglie era andata a prendere. In quel frangente il B. , sopraggiungendo a bordo del proprio veicolo, avendo perso il controllo, usciva dalla propria traiettoria e, deviando verso destra, urtava con il fianco destro il guardrail, finendo col colpire la parte posteriore del veicolo del C. che veniva sospinto violentemente contro il palo.
Il giudice di merito riteneva indimostrata e, comunque, inverosimile la tesi dell’imputato secondo cui il sinistro era da ascrivere a esclusiva responsabilità della vittima, per avere inopinatamente spostato l’Ape a motore spento sulla pubblica via, al riguardo peraltro osservando che, in ogni caso, anche ad ammettere tale circostanza, l’intervallo di tempo per effettuare la manovra sarebbe stato tale da rendere la stessa né improvvisa, né repentina, anche in tale ipotesi dovendosi pertanto configurare un comportamento gravemente colposo dell’imputato per non essersi posto nelle condizioni di avvedersi dell’ostacolo ed evitarlo, in una situazione di buona visibilità, in assenza di pioggia e in un tratto di strada rettilineo.
2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’imputato, per mezzo del proprio difensore, sulla base di tre motivi.
2.1. Con il primo deduce contraddittorietà della motivazione in relazione alla ricostruzione della dinamica del sinistro, con particolare riferimento all’asserito impatto con il guardrail.
Richiamando i rilievi contenuti nella perizia di parte e nella relazione del consulente tecnico del P.M., rileva in sintesi che da esse emerge il mancato rinvenimento sul fianco del furgone di un preciso riscontro dell’urto in questione.
2.2. Con il secondo deduce carenza di motivazione per avere la Corte d’appello omesso di esporre le ragioni a fondamento dell’affermata incidenza eziologica della assunta condotta colposa dell’imputato, in altre parole per non aver correttamente affrontato il quesito se una condotta di guida perfettamente diligente avrebbe consentito di evitare l’evento.
Rileva al riguardo che non sono stati analizzati i profili dedotti dalla difesa, che, a sostegno della tesi della immediatezza e repentinità dell’invasione della sede stradale da parte del mezzo condotto dalla vittima, aveva evidenziato che sarebbe stato altrimenti impossibile un urto contro il veicolo posteggiato nella piazzola ed aveva inoltre richiamato la deposizione del teste V.E. , nipote del C. , secondo cui quest’ultimo “solitamente usciva senza accendere il motore, tirava indietro l’Ape a mano tenendolo per il manubrio e poi lo posizionava al di fuori del cancello sullo spazio di proprietà antistante”.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, per avere la Corte emesso una sentenza di condanna sulla base di elementi inidonei a giustificarla al di là di ogni ragionevole dubbio.
Considerato in diritto
3. Il primo motivo è palesemente inconducente, investendo aspetto della ricostruzione della dinamica del sinistro – ossia il precedente sfregamento dell’autovettura sul guardrail – comunque di rilievo non dirimente, tale per cui, se anche dovesse convenirsi con la tesi difensiva secondo cui non può dirsi adeguatamente giustificata in motivazione l’affermata perdita di controllo dell’autovettura da parte dell’imputato, nondimeno l’accertamento della sua penale responsabilità troverebbe fondamento alternativo di per sé pienamente sufficiente nel fatto – in sé incontestato – dell’avvenuto impatto e, sotto il profilo della colpa, nell’addebito, allo stesso comunque ascritto in sentenza, di non aver tenuto una condotta di guida tale da consentirgli di avvedersi per tempo della manovra dell’altro conducente che, per quanto palesemente imprudente, restava tuttavia avvistabile per tempo e perciò prevenibile.
4. Su quest’ultimo punto la sentenza impugnata risulta adeguatamente motivata e resiste alle censure al riguardo proposte dal ricorrente con il secondo motivo, non potendosi revocare in dubbio l’intrinseca coerenza logica e l’adeguatezza del percorso argomentativo della impugnata sentenza, tanto più in quanto suscettibile di essere integrato – per il nuovo principio della c.d. doppia conforme – dalle argomentazioni contenute nella sentenza di primo grado, integralmente confermata.
Per contro, le critiche del ricorrente non solo si risolvono nella mera e inammissibile prospettazione di una diversa valutazione degli elementi istruttori, facente leva in particolare sulle dichiarazioni sopra riportate del teste V.E. in sé di rilievo non univoco né decisivo nella ricostruzione del fatto, né tale dunque da disarticolare il ragionamento svolto nella sentenza impugnata, ma non si confrontano comunque neppure con il rilievo per così dire di chiusura, ed invero assorbente, svolto dalla corte territoriale secondo cui, anche ad ammettere che il C. avesse maldestramente spinto il proprio veicolo a motore spento fino a portarlo oltre lo spazio antistante la propria abitazione e all’interno della carreggiata, in ogni caso i tempi e le modalità della manovra non avrebbero potuto essere tali da renderla improvvisa al punto da non poter essere notata per tempo ed evitata.
In punto di diritto tale aspetto della vicenda risulta correttamente valorizzato dalla corte territoriale.
Giova in proposito rammentare che, secondo pacifica acquisizione della giurisprudenza di questa S.C., nei reati colposi, perché una condotta concomitante a quella dell’imputato, consistente nel comportamento imprudente della vittima, possa escludere il rapporto di causalità, è necessario che essa sia del tutto slegata dalla condotta dell’imputato, trovandosi del tutto al di fuori dello sviluppo causale da questi innescato, tanto che l’evento che si verifica si presenti come assolutamente eccezionale e da attribuire esclusivamente alla azione della vittima: situazione questa nient’affatto predicabile rispetto alla manovra di che trattasi (immissione nella pubblica via di veicolo proveniente da luogo privato) in quanto, quand’anche tacciabile di grave imprudenza, tuttavia pur sempre riconducibile al novero degli eventi prevedibili nell’ambito della circolazione stradale.
Secondo l’art. 140 cod. strada, invero, gli utenti della strada devono comportarsi in modo da non costituire pericolo o intralcio per la circolazione stradale ed in modo che sia in ogni caso salvaguardata la sicurezza stradale e secondo l’art. 141 vi è obbligo di adeguare la velocità alle concrete condizioni della circolazione e obbligo di conservare sempre il controllo del veicolo. Tali disposizioni dimostrano che la misura della diligenza che si pretende nel campo della circolazione dei veicoli è massima, richiedendosi a ciascun utente, al fine di controbilanciare la intrinseca pericolosità della specifica attività considerata, peraltro assolutamente indispensabile alla vita sociale e sempre più in espansione, una condotta di guida di assoluta prudenza della quale fa parte anche l’obbligo di preoccuparsi della possibili irregolarità di comportamento di terze persone. Il principio dell’affidamento dunque, nello specifico campo della circolazione stradale, trova un opportuno temperamento nell’opposto principio, secondo cui l’utente della strada è responsabile anche del comportamento imprudente di altri utenti purché rientri nel limite della prevedibilità (v. ex multis Sez. 4, n. 27350 del 23/05/2013, Feliziani, non mass.; Sez. 4, n. 17481 del 14/02/2008, Notarnicola, non mass.; cfr. anche Sez. 4, 28168 del 21/03/2013, Mercurio, non mass.; Sez. 4, n. 12361 del 07/02/2008, Biondo, Rv. 239258; Sez. 4, n. 9420 del 21/06/1988, Rv. 179227).
5. Discende dai superiori rilievi anche l’infondatezza del terzo motivo di ricorso, con il quale – come detto – si deduce la violazione della regola di giudizio dell’oltre il ragionevole dubbio.
Questa invero rappresenta nient’altro che, a contrario, la verifica del grado di probabilità logica attribuibile al ragionamento inferenziale con cui il giudice ricollega, sulla base delle prove raccolte, il fatto concreto alla ipotizzata spiegazione causale.
Ed invero, intanto tale ragionamento può ritenersi dotato di elevato grado di probabilità logica ed in grado pertanto di supportare il convincimento della sussistenza del nesso causale tra la condotta colposa dell’imputato e l’evento con “elevato grado di credibilità razionale”, in quanto non permanga un “dubbio ragionevole” (ossia, non meramente congetturale) che l’evento possa essere stato determinato da una causa diversa.
Né ad una diversa conclusione sul punto può indurre la modifica introdotta dall’art. 5 della legge 6 febbraio 2006, n. 46, mediante la sostituzione del comma 1 dell’art. 533 del codice di procedura penale con la disposizione secondo cui “il giudice pronuncia sentenza di condanna se l’imputato risulta colpevole del reato al di là di ogni ragionevole dubbio”.
Secondo l’opinione prevalente in giurisprudenza, infatti, tale novella non ha avuto sul punto un reale contenuto innovativo, non avendo introdotto un diverso e più restrittivo criterio di valutazione della prova, essendosi invece limitata a codificare un principio già desumibile dal sistema, in forza del quale il giudice può pronunciare sentenza di condanna solo quando non ha ragionevoli dubbi sulla responsabilità dell’imputato.
La novella, dunque, non avrebbe inciso sulla funzione di controllo del giudice di legittimità che rimarrebbe limitata alla struttura del discorso giustificativo del provvedimento, con l’impossibilità di procedere alla rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della sentenza e dunque di adottare autonomamente nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (v., in tal senso, tra le ultime pronunce, Sez. 5, n. 10411 del 28/01/2013, Viola, Rv. 254579, la quale ha precisato che tale regola di giudizio impone al giudice di giungere alla condanna solo se è possibile escludere ipotesi alternative dotate di razionalità e plausibilità; cfr. anche in tal senso Sez. 1, n. 41110 del 24/10/2011, Javad, Rv. 251507).
6. Il ricorso va pertanto rigettato, con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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