Corte di cassazione – Sezione IV penale – sentenza 25 ottobre 2011, n. 38719.Responsabilità medica, nel caso di diagnosi incerta il medico non è costretto a modificare la propria condotta

 

Il testo integrale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Sentenza 25 ottobre 2011, n. 38719


Ritenuto in fatto

Con sentenza del 13 luglio 2005 il Tribunale di Salerno – sezione distaccata di Mercato San Severino – assolveva B. B., D.M. D. e N. M. ai sensi dell’art. 530 c.p.p. dal reato di omicidio colposo in danno della paziente P. A., fatto avvenuto in Mercato San Severino il 9.04.1999.

Agli imputati, nelle loro qualità di ostetrici e membri dell’èquipe operatoria deputata ad effettuare il taglio cesareo sulla paziente, era stato contestato di avere, in cooperazione colposa tra loro, causato durante un intervento chirurgico, la morte di P. A. avvenuta per anemia acuta meta emorragica con shock ipovolemico ed arresto cardio respiratorio, conseguenti ad emorragia interna originata da complicanze da taglio cesareo, per negligenza ed imperizia consistite per D.M. D. e N. M., nell’aver effettuato il taglio cesareo in zona sovra pubica direttamente nella placenta, causando una profusa emorragia, benché fosse emersa dalla ecografia, la presenza di placenta previa che avrebbe dovuto fare optare per un taglio longitudinale al fine di evitare un abbondante sanguinamento ed, inoltre, per avere tentato ugualmente di staccare la placenta, causando un ulteriore ed imponente sanguinamento, benché l’apertura dell’addome avesse evidenziato una placenta acereta in presenza della quale, per la penetrazione dei villi nel miometrio, si determina una tenace aderenza con le pareti dell’utero con conseguente impossibilità di rimuovere completamente la placenta stessa durante il secondamento. Ai due imputati era inoltre contestato di avere omesso, in cooperazione colposa con il primario ostetrico B. B., intervenuto nel corso dell’intervento per fronteggiare la situazione di emergenza che si era determinata, di effettuare una isterectomia totale, che sarebbe stata più opportuna in considerazione della copiosa emorragia, effettuando invece una isterectomia subtotale, lasciando aperti i vasi beanti della breccia uterina; il dott. B. e il dott. N. poi, che erano intervenuti chirurgicamente sulla P. per il persistere dell’emorragia, omettevano di effettuare la legatura della più alta delle arterie ipogastriche, causando cosi una incompleta emostasi ed il mancato arresto dell’emorragia. Avverso la decisione del Tribunale di Salerno ­ Sezione distaccata di Mercato San Severino – hanno proposto appello il procuratore della Repubblica presso il giudice a qua, il difensore nell’interesse delle parti civili costituite, mentre gli imputati D.M. D. e N. M. proponevano appello incidentale.

La Corte di Appello di Salerno in data 4.5.2010, con la sentenza oggetto del presente ricorso, confermava la sentenza impugnata e condannava le parti civili al pagamento delle spese processuali del grado.

Avverso la sentenza della Corte d’appello di Salerno le parti civili costituite F. C., P. S., P. F., P. V. e P. P.proponevano ricorso per Cassazione ai dell’ articolo 576 c.p.p., ai soli effetti della responsabilit civile degli imputati per i seguenti motivi:

1) violazione dell’art. 606 comma l lett. e) c.p.p. per contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione emergente dal testo del provvedimento impugnato e da uno specifico atto del procedimento di seguito indicato nel presente motivo di gravarne, in relazione alla ritenuta mancanza di prova istologica della diagnosi di “accretismo placentare”, che, invece, emergeva da un certificazione ospedaliera acquisita agli atti del processo. Secondo i ricorrenti la Corte territoriale era pervenuta all’assoluzione degli imputati sulla base del fatto che non vi fosse prova istologica che si trattasse di una placenta acereta, elemento, questo, che avrebbe imposto ai sanitari intervenuti una diversa condotta medica. Tale assunto era invece smentito da un dato documentale, e cioè da una certificazione rilasciata dall’ASL Salerno 2, Reparto di Anatomia ed Istologia Patologica e di Citopatologia datata 19,4,1999, sequestrata dal PM e facente parte della documentazione clinica acquisita nel corso del dibattimento e, pertanto utilizzata ai fini del decidee, in cui si riporta la seguente testuale dichiarazione: “”diagnosi istologica: placenta accreta”.

2) violazione dell’articolo 606 comma 1 lett. b) ed e) c.p.p. per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione e per erronea applicazione della legge penale in relazione alla ritenuta mancanza della sussistenza della responsabilità colposa in capo ai sanitari. Osservavano sul punto le parti civili ricorrenti che, sulla base degli stessi elementi riportati in sentenza, emergeva che la morte della sig.ra P. era stata causata innanzitutto da un errore diagnostico, avvenuto prima del parto, non essendo stati valorizzati gli obiettivi elementi di rischio e quindi dopo il parto, a causa di una errata incisione, dovuta al non rendersi conto che il campo operatorio, poi evidenziato in cartella, unitamente ai già presenti fattori di rischio, indirizzava verso una placenta accreta e non percreta, poi istologicamente accertata; sia infine per un errore di valutazione, allorché fu deciso di effettuare l’isterectomia solo tardivamente.

3) Violazione dell’art.606, lett. e) per mancanza di motivazione emergente dal testo del provvedimento impugnato in relazione alla condanna alle spese di giudizio in danno delle costituite parti civili. Osservavano sul punto le parti civili ricorrenti che i giudici della Corte territoriale non avevano spiegato le motivazioni della condanna alle spese nel loro confronti, sebbene in presenza di elementi obiettivi che sembravano orientare in senso opposto, in considerazione del fatto che l’appello era stato proposto anche dal Pubblico Ministero, che sia la sentenza del Tribunale, che quella della Corte di appello aveva assolto gli imputati ai sensi dell’art.530, 2 comma c.p.p., che comunque la Corte di appello aveva accolto la richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale avanzata dalla parte civile.

L’imputata D.M. D. proponeva tempestiva memoria difensiva ai sensi dell’articolo 611 c.p.p. e concludeva chiedendo il rigetto dei ricorsi

Considerato in diritto

I proposti ricorsi sono infondati e devono pertanto essere rigettati.

Quanto ai primi due motivi le parti civili ricorrenti .hanno sostenuto che la sentenza della Corte di appello di Salerno ha fondato il suo convincimento circa la mancanza di responsabilità degli imputati sulla insussistenza di una diagnosi certa di accretismo placentare, laddove, invece, risulta acquisito al fascicolo per il dibattimento, tra la documentazione clinica, un certificato proveniente dalla ASL SA2 – Presidio Ospedaliero di Eboli -, ove si legge testualmente: Diagnosi istologica-placenta acereta. Il contrasto tra l’affermazione espressa dalla Corte territoriale e la diagnosi riportata nel sopra indicato documento integrerebbe pertanto contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.

Tanto premesso, osserva la Corte che dalla lettura della sentenza impugnata si evince che il dato documentale di cui sopra non è sfuggito alla Corte territorialej, che ha affermato a pagina 13 della sentenza impugnata che “l’ipotesi accusatoria si basa… sulla premessa di una diagnosi accertata di accretismo placentare” e che “nel caso della signora P. è stata tuttavia esclusa la presenza di una forma di accretismo placentare… dal momento che l’esame istologico non ha consentito di pervenire con certezza a siffatta diagnosi”.

La Corte territoriale, pertanto, ha tenuto conto dell’esame istologico. Tuttavia, poiché l’esito non è con certezza ascrivibile a tutto il tessuto placentare, la Corte di appello ha ritenuto di accogliere la tesi espressa dal collegio peritale secondo cui ” un eventuale fenomeno di accretismo possa essere stato semmai limitato solo ad alcune piccole zone placentari poiché gli esami micro e macroscopici non ne confermano la presenza”.

Invero il documento prodotto dalle parti ci vili ricorrenti ha ad oggetto l’esame istologico eseguito su di un frammento di tessuto, la cui provenienza è indicata in modo generico: “Sede del prelievo-Utero”.

La Corte territoriale, quindi, in considerazione della mancanza di riscontri che dessero sostegno alla diagnosi prospettata con riferimento ad un frammento prelevato in sede uterina, ha ritenuto l’esistenza di un accretismo limitato ad alcune piccole zone della placenta.

In conclusione la Corte territoriale, preso atto del contrasto evidenziatosi tra le conclusioni dei vari consulenti tecnici e periti ha ritenuto, con motivazione logica e congrua, che l’accretismo placentare fosse presente soltanto in alcune zone della placenta e ha, per conseguenza, considerato corretta la scelta della sede dell’incisione e la manovra di secondamento, “manovra lecita solo laddove non si è in presenza di una placenta acereta ma, al più, in presenza di accretismo limitato al alcune zone placentari” (cfr. pag .18 della sentenza impugnata).

Tanto premesso rileva la Corte che, per quanto attiene in particolare al controllo sulla motivazione (cfr. Cass., Sez.4, Sent. n. 4842 del 2.12.2003, Rv. 229369), la Corte di Cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento; ciò in quanto l’art. 606, comma 1, lett. e) c.p.p. non consente a questa Corte una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, perché è estraneo al giudizio di legittimità il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto a dati processuali.

Tanto premesso la motivazione della sentenza impugnata appare logica e congrua e supera quindi il vaglio di questa Corte nei limiti sopra indicati.

Passando infine all’esame del terzo motivo di ricorso Si osserva che correttamente la sentenza impugnata ha condannato e parti civili al pagamento delle spese processuali del grado, facendo corretta applicazione del principio della soccombenza.

I ricorsi proposti devono essere pertanto rigettati e i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

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