SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE IV PENALE
Sentenza 16 febbraio 2012, n. 6374
Svolgimento del processo
Ricorre per cassazione il difensore di fiducia di E.J. R., E.J.M. ed E.J.H. avverso la sentenza emessa in data 25.2.2011 dalla Corte di Appello di Brescia che, in parziale riforma di quella in data 25.5.2010 del GUP del tribunale di Brescia, con cui, all’esito del giudizio abbreviato, i ricorrenti erano stati riconosciuti colpevoli di vari e rispettivi reati di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 (con l’attenuante di cui al comma 5), riduceva la pena inflitta a E.J.R. e a E.J.H. ad anni 1 e mesi 10 di reclusione ed Euro 6.000,00 di multa e quella inflitta, con sospensione condizionale, a E. J.M. ad anni 1 e mesi 2 di reclusione ed Euro 4.000,00 di multa (come da ordinanza di correzione del 4.3.2011). Articola i motivi di seguito sinteticamente riportati.
1. La violazione della norma processuale stabilita a pena di nullità, già eccepita con l’impugnazione della sentenza di primo grado in relazione al mancato espletamento della prova alla quale era subordinato il giudizio abbreviato su richiesta del procuratore speciale degli imputati ed il vizio motivazionale sul punto: il teste alla cui escussione era stato subordinato il rito alternativo, F.M.G., nel corso della deposizione, aveva reso dichiarazioni autoindizianti, ma, interrotta l’assunzione della prova, non fu nominato un difensore alla teste, così impedendo la prosecuzione dell’esame al quale era stata subordinata la richiesta di giudizio abbreviato, nè era stata accolta la richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale sul punto.
2. La contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione atteso il ricorso a deduzioni logiche al fine della ricostruzione del fatto in contrasto con emergenze documentali non menzionate in sentenza: in particolare si sarebbe presunto, sulla scorta di quanto indicato dai Carabinieri nella loro nota e poichè doveva ritenersi che “i militari si fossero appostati in luoghi nei quali non era possibile vedere quanto avveniva all’interno della corte dagli stessi citata”, che la droga da consegnare alla F. fosse stata prelevata dall’abitazione di E.J.R., benchè nel verbale di arresto in flagranza (allegato al ricorso) fosse stato scritto che i militari si erano predisposti nelle adiacenze dell’abitazione di E.J.R. “in modo tale da controllare visivamente sia la predetta abitazione” sia le strade di accesso e i parcheggi adiacenti.
3. Il vizio motivazionale in ordine alla ritenuta adeguatezza della prova della responsabilità degl’imputati per il reato di cui al capo D) sulla sola scorta delle dichiarazioni rese da F.M. G. ritenuta attendibile teste di accusa.
4. Il vizio motivazionale in ordine alla ritenuta destinazione alla cessione della sostanza stupefacente di cui al capo C) dell’imputazione, essendo stata trovata occultata sotto il cambio e sotto il sedile dell’auto, appartenente ad un terzo, momentaneamente in uso ai gemelli E.J.
5. L’erronea applicazione della legge penale per la ritenuta sussumibilità di tutte le condotte contestate ad E.J.H. e a E.J.M. nella fattispecie di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 ed irrilevanza penale della condotta di acquisto di sostanza per sè e per i terzi dai quali l’acquirente aveva ricevuto mandato ed era stato finanziato.
Motivi della decisione
I ricorsi sono infondati e vanno rigettati.
Le censure mosse hanno riproposto in questa sede ancora una volta le medesime doglianze rappresentate dinanzi alla Corte territoriale e da quel giudice disattese con motivazione compiuta e congrua, immune da vizi ed assolutamente plausibile. Invero, è stata, con esaustive e corrette argomentazioni, sostenuta la piena attendibilità (riguardo alla censura sub 3) della F. che rese dichiarazioni circostanziate e puntuali (v. pag. 7 sent.), peraltro suffragate dalle dichiarazioni dell’imputato R. e dalie altre oggettive emergenze, e nulla induce a ritenere che la destinazione della sostanza stupefacente rinvenuta nell’autovettura (sub 4) fosse destinata ad uso diverso dalla cessione a terzi, ed anzi è pienamente logica la deduzione, alla luce del complessivo quadro probatorio, secondo cui questa fosse la reale destinazione di tale stupefacente. In relazione al rappresentato contrasto (sub 2) tra quanto riferito dai CC nel verbale di arresto (appostazione degli operanti in modo tale da controllare visivamente l’abitazione) a fronte della presunzione del Giudice a quo (secondo cui in CC erano appostati in luoghi dai quali non era possibile vedere quanto avveniva all’interno della “corte”), la contraddizione è solo apparente ben potendo l’angolo visuale degli operanti non essere completo non comprendendo l’intero spazio interno alla “corte” ovvero l’iniziale intento programmatico dei militari di controllare l’abitazione essere stato successivamente, nel corso dell’operazione, vanificato. Peraltro il dedotto contrasto non si pone come determinante, essendo la circostanza del prelievo dello stupefacente dall’interno dell’abitazione di E.J.R., in ordine alla quale la circostanza della visibilità della “corte” viene posta in discussione, supportata da ulteriori argomentazioni logiche di solida valenza (inutilità dell’accesso di E.J.H. ed E.J. M. all’interno della Corte in quel frangente, se fossero stati già in possesso dello stupefacente, facendo attendere l’acquirente al quale l’avrebbero potuto consegnare già in occasione del primo affiancamelo dei rispettivi mezzi precedenza rilevato dagli operanti). Quanto all’escussione della F. (sub 1), va ribadito, come correttamente ritenuto dalla Corte territoriale, che la teste fu ritualmente citata ed escussa fin quando ciò era stato consentito secondo le norme processuali vigenti: sicchè non poteva sostenersi che non fosse stato espletato l’incombente ai quale il procuratore degl’imputati aveva subordinato la richiesta di giudizio abbreviato che era stato ammesso integralmente e non già parzialmente dal GUP. Del resto, prima dell’interruzione dell’esame della teste, questa aveva avuto modo di chiarire i tratti salienti della vicenda e neppure la difesa aveva segnalato carenze delle dichiarazioni o sollecitato la prosecuzione dell’escussione previa nomina di un difensore: invero l’esarne doveva ritenersi esaurito e completo, tanto che a sensi dell’art. 422 c.p.p., comma 3, furono rassegnate le conclusioni delle parti.
In conseguenza delle suddette considerazioni, deve ritenersi come la richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, nel caso di specie, fosse del tutto inammissibile, poichè, l’escussione della teste avvenuta sol perchè a tanto era stato condizionato il giudizio abbreviato, avrebbe dovuto essere, almeno, ritenuta assolutamente necessaria ai fini della decisione, per giunta vertendosi in tema di giudizio abbreviato, in cui, se non è precluso al giudice d’appello di esercitare i poteri di integrazione probatoria, non può ritenersi consentito un diritto dell’imputato a richiedere la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale ed un corrispondente obbligo per il giudice di motivare il diniego di tale richiesta (Cass. pen. Sez. 2, n. 3609 del 18.1.2011, Rv. 249161).
Quanto alla doglianza sub 5, ritiene il Collegio di ribadire l’orientamento seguito dalla sentenza impugnata, secondo il quale è penalmente rilevante, e quindi punibile, la detenzione di sostanza stupefacente destinata al cosiddetto uso di gruppo, perchè l’irrilevanza penale, dopo l’intervento normativo della L. n. 49 del 2006, attiene soltanto alla detenzione per uso esclusivamente personale (tra le più recenti: Cass. pen. Sez. 3, n. 7971 del 13.1.2011, Rv. 249326; Sez. 3, 20.4.2011-3.10.2011, n. 35706, Garofalo, non massimata nel CED, ed altre precedenti conformi, tra cui Sez. 2, n. 23574 del 6.5.2009, Rv. 244859).
Invero, la questione dell’uso di gruppo di sostanze stupefacenti era stata risolta, sotto la previgente normativa, dalle Sezioni Unite, le quali, con la sentenza n. 4 del 1997 avevano stabilito che non sono punibili, e rientrano, pertanto, nella sfera dell’illecito amministrativo di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 75 l’acquisto e la detenzione di sostanze stupefacenti destinate all’uso personale che avvengano, sin dall’inizio, per conto e nell’interesse anche di soggetti diversi dall’agente, quando è certa, ab origine, la identità dei medesimi, nonchè manifèsta la volontà di essi di procurarsi le sostanze destinate al proprio consumo.
A tale conclusione le S.U. erano pervenute osservando che la omogeneità ideologica della condotta del procacciatore, rispetto allo scopo degli altri componenti del gruppo, caratterizzava la detenzione quale codetenzione ed impediva che il primo si ponesse in rapporto di estraneità rispetto ai secondi, con conseguente impossibilità di connotazione della sua condotta quale cessione.
La novella introdotta dalla L. n. 49 del 2006, nel modificare il D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1 bis, ha stabilito che è punito con le medesime pene di cui al comma 1 chiunque, senza l’autorizzazione di cui all’art. 17, comunque, illecitamente detiene sostanze stupefacenti o psicotrope, che per quantità, ovvero per modalità di presentazione, avuto riguardo al peso lordo complessivo o al confezionamento frazionato, ovvero per altre circostanze dell’azione, appaiono destinate ad un uso non esclusivamente personale.
Del pari, il novellato art. 75 dispone che è punito con delle semplici sanzioni amministrative chiunque, comunque, detiene sostanze stupefacenti o psicotrope fuori dalla ipotesi di cui all’art. 73, comma 1 bis, il che significa che è soggetto alle sanzioni amministrative solo colui che detiene dette sostanze ad uso esclusivamente personale. Il mutato quadro legislativo impone, pertanto, di riesaminare il citato consolidato orientamento giurisprudenziale, formatosi sotto il previgente regime. Infatti, la introduzione dell’avverbio “esclusivamente” assume un significato particolarmente pregnante, proprio sotto il profilo semantico, perchè una cosa è l’uso personale di droga, altra e ben diversa cosa è l’uso esclusivamente personale, frase che proprio in virtù dell’avverbio non può che condurre ad una interpretazione più restrittiva rispetto a quella che, sotto la previgente normativa, veniva data dal sinallagma “uso personale”. In tale ottica è del tutto evidente che non può più farsi rientrare nella ipotesi di uso esclusivamente personale la fattispecie del cd. uso di gruppo, all’interno della quale è inclusa sia l’ipotesi di un gruppo di persone che da mandato ad una di esse di acquistare dello stupefacente, sia l’altra ipotesi in cui l’intero gruppo procede all’acquisto della droga, destinata ad essere consumata collettivamente (Cass. pen. Sez. 2, n. 23574 del 6.5.2009, Rv. 244859, richiamata dalla sentenza impugnata).
Si comprende immediatamente che il legislatore ha inteso inibire, in un modo più severo, ogni attività connessa al traffico di stupefacenti, tant’è che ha equiparato ogni tipo di droga, eliminando la distinzione tabellare preesistente. Ne consegue che non può più farsi rientrare nella ipotesi dell’uso esclusivamente personale il cd. uso di gruppo, giacchè l’acquisto per il gruppo implica ex se che la droga non sia destinata ad uso esclusivamente personale.
Non può condividersi, pertanto, conformemente anche ai più recenti indirizzi dottrinari che non sembrano nutrire dubbi circa la rilevanza penale della condotta del mandato ad acquistare, l’opposto orientamento (di cui a Cass. pen. Sez. 6, n. 8366 del 26.1.2011, Rv. 249000; Sez. 6, n. 21375 del 27.4.2011, Rv. 250064) che considera non punibile il consumo di gruppo di sostanze stupefacenti, nell’ipotesi del mandato all’acquisto collettivo ad uno degli assuntori, e nella certezza originaria dell’identità degli altri, ai sensi del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 1-bis, lett. a), anche dopo le modifiche apportate a tale disposizione dalla L. 21 febbraio 2006, n. 49. Consegue il rigetto dei ricorsi e, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
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