Nel caso di incidente stradale causativo di lesioni, anche l’ipotetica negligenza o imperizia dei medici (di cui non vi è peraltro traccia nel presente processo), persino ove di elevata gravità, non sarebbe comunque idonea ad elidere il nesso causale tra la condotta e l’evento morte, in quanto l’intervento dei sanitari costituisce, rispetto al soggetto leso, un fatto tipico e prevedibile, anche nei potenziali errori di cura, mentre ai fini della esclusione del nesso di causalità occorre un errore sanitario del tutto eccezionale e da solo determinante l’evento letale
Nel caso di lesioni personali seguite da decesso della vittima dell’azione delittuosa, l’eventuale negligenza o imperizia dei medici possa elidere il nesso di causalità tra la condotta lesiva dell’agente e l’evento morte. La colpa dei medici, infatti, anche se grave, non può ritenersi causa autonoma ed indipendente rispetto al comportamento dell’agente che, provocando il fatto lesivo, ha reso necessario l’intervento dei sanitari. Infatti la negligenza o imperizia dei medici non costituisce di per sé un fatto imprevedibile, eccezionale, atipico rispetto alla serie causale precedente di cui costituisce uno sviluppo evolutivo normale anche se non immancabile
La c.d. teoria del rischio: l’individuazione del rischio quale chiave di volta per la lettura degli intrecci causali; l’intervento di fattori la cui concausalità è determinante e di significato tale da assorbire la spiegazione giuridica esclusiva dell’evento; la congruenza tra i rischi. Il fatto illecito altrui non esclude in radice l’imputazione dell’evento al primo agente, che avrà luogo fino a quando l’intervento del terzo, in relazione all’intero concreto decorso causale dalla condotta iniziale all’evento, non abbia soppiantato il rischio originario. L’imputazione non sarà invece esclusa quando l’evento risultante dal fatto del terzo possa dirsi realizzazione sinergica anche del rischio creato dal primo agente. Tale approccio è utile – secondo la Cassazione – anche quando la condotta illecita ha già prodotto conseguenze lesive, ma esse vengono portate ad esiti ulteriori e più gravi da condizioni sopravvenute, che possono essere costituite da comportamenti umani o da fatti naturali. Si tratta dell’ambito efficacemente tratteggiato dai casi di scuola della vittima di un attentato che muore durante il trasporto in ospedale a causa di un incidente stradale, o di un incendio sviluppatosi nell’ospedale. L’approccio fondato sulla comparazione dei rischi consente di escludere l’imputazione al primo agente quando le lesioni originarie non avevano creato un pericolo per la vita, ma l’errore del medico attiva un decorso mortale che si innesta sulle lesioni di base e le conduce a processi nuovi e letali: viene creato un pericolo inesistente che si realizza nell’evento. Discorso analogo può esser fatto quando la condotta colposa del medico interviene dopo che il pericolo originario era stato debellato da precedenti cure: anche qui viene prodotto un rischio mortale nuovo.
Suprema Corte di Cassazione
sezione IV penale
sentenza 7 luglio 2016, n. 28246
Ritenuto in fatto
1. La Corte di appello di Milano ha integralmente confermato la sentenza del Tribunale di Lodi di condanna di R.M.M. per il reato di omicidio colposo di F.D. , fatto commesso con violazione delle norme sulla circolazione stradale, il (omissis) , decesso avvenuto il (omissis).
2. Avverso la decisione della Corte di appello ha presentato tempestivo ricorso per cassazione il difensore dell’imputata.
La sentenza, ad avviso del ricorrente, sarebbe viziata per inosservanza o erronea applicazione dell’art. 41, comma 2, cod. pen., anche in relazione alla dedotta manifesta illogicità del contenuto della consulenza tecnica posta a base della sentenza impugnata.
Non si contesta nel ricorso il fatto che, a seguito di sinistro stradale del (omissis) , ascrivibile a colpa dell’imputata, il signor F.D. abbia riportato una frattura della testa omerale (così alla p. 2 del ricorso): si contesta invece che il successivo decesso dell’investito, intervenuto a causa di una trombo embolia polmonare massiva dopo un intervento chirurgico eseguito per sostituire la testa omerale con una protesi, sia causalmente riconducibile alla condotta colpevole di guida della signora R.M.M. . Premesso che i giudici di merito sarebbero pervenuti all’affermazione di responsabilità esclusivamente sulla base della relazione medica del consulente tecnico del P.M., che ha escluso qualsiasi responsabilità medica nello sviluppo del fenomeno trombo-embolico non rinvenendo alcun profilo di colpa del sanitari, evidenziato che al momento del ricovero, subito dopo l’incidente stradale, gli stessi sanitari avevano categoricamente escluso ogni pericolo di vita del paziente, si assume che la morte dell’investito sarebbe intervenuta come complicanza del tutto eccezionale dell’intervento chirurgico posto in essere dai sanitari di (…), con conseguente necessità di applicazione della disciplina posta dall’art. 41, comma 2, cod. pen. in tema di interruzione del nesso causale (pp. 2-3 del ricorso): si richiama, al riguardo, uno specifico passaggio (p. 14, ultimo alinea) della relazione scritta del 2 gennaio 2009 del consulente tecnico del P.M..
Si chiede, in conclusione, l’annullamento della sentenza impugnata.
Considerato in diritto
1. I motivi di ricorso non meritano accoglimento, siccome infondati.
1.1. Premesso che è incontroverso, come ammesso pacificamente da R.M.M. e come risultante dalle sentenze di merito, che vi fu, per distrazione dell’imputata mentre era alla guida di un’autovettura, l’investimento, peraltro avvenuto sulle strisce pedonali, del passante F.D. , che, in conseguenza, riportò vari traumi, tra i quali la frattura da scoppio della testa omerale sinistra, nel ricorso, a ben vedere, si sottopone alla Corte, anzitutto, una questione relativa ad una valutazione di puro fatto – se cioè sia ravvisabile o meno nel caso di specie una colpa dei sanitari che sottoposero il paziente all’intervento chirurgico per la sostituzione protesica della testa omerale – e che è stata in entrambi i gradi di merito già affrontata e risolta nel senso dell’assenza di profili di colpa dei medici, con motivazione che appare congrua ed immune da vizi logici.
In particolare, la validità dell’argomento sviluppato nel ricorso, secondo il quale “l’evento morte provocato dalla trombo-embolia massiva contratta dall’infortunato durante il ricovero in ospedale per la cura degli esiti di una frattura della testa omerale, è stata una complicanza talmente eccezionale delle modeste lesioni subite in conseguenza dell’incidente da non poter mai e poi mai costituire fattore causale preesistente” (così p. 4 del ricorso) risulta esclusa, sempre in punto di fatto, dagli accertamenti istruttori, il cui sviluppo appare congrui, riferiti dai giudici di merito.
In particolare, nella sentenza di secondo grado (alla p. 4), si pone in luce che “come si legge nella citata consulenza, da un lato, dall’esame della notizie riportate in cartella clinica non erano emersi nella parte lesa altri processi patologici preesistenti all’evento traumatico e/o successivamente insorti, ma comunque da esso causalmente svincolati, idonei e sufficienti a causare il decesso dell’investito e, dall’altro, del tutto corretta era la scelta terapeutica per la cura della lesione scheletrica dell’arto superiore destro, avuto riguardo alla estrema gravità della frattura della testa omerale, che non avrebbe consentito un trattamento conservativo a garanzia di un quantomeno sufficiente recupero funzionale”. Conformi le valutazioni svolte a riguardo nella motivazione della sentenza di primo grado (alle pp. 5-6).
1.2. Quanto, poi, alla questione di diritto sottesa al ragionamento svolto nel ricorso, si evidenzia che, secondo pacifica giurisprudenza di legittimità, dalla quale non vi è ragione per discostarsi, nel caso di incidente stradale causativo di lesioni, anche l’ipotetica negligenza o imperizia dei medici (di cui non vi è peraltro traccia nel presente processo), persino ove di elevata gravità, non sarebbe comunque idonea ad elidere il nesso causale tra la condotta e l’evento morte, in quanto l’intervento dei sanitari costituisce, rispetto al soggetto leso, un fatto tipico e prevedibile, anche nei potenziali errori di cura, mentre ai fini della esclusione del nesso di causalità occorre un errore sanitario del tutto eccezionale e da solo determinante l’evento letale (cfr., ex plurimis, Sez. 4, n. 41293 del 04/10/2007, Taborelli, Rv. 237838: “L’eventuale errore dei sanitari nella prestazione delle cure alla vittima di un incidente stradale non può ritenersi causa autonoma ed indipendente, tale da interrompere il nesso causale tra il comportamento di colui che ha causato l’incidente e la successiva morte del ferito. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso l’interruzione del nesso di causalità rilevando che l’errore medico non costituisce un accadimento al di fuori di ogni immaginazione, a maggior ragione nel caso in cui l’aggravamento della situazione clinica del ferito e la necessità di interventi chirurgici complessi risultino preventivabili in ragione della gravità delle lesioni determinate dall’incidente stradale”).
1.3. Il delicato tema del rischio sanitario è stato oggetto di importanti precisazioni in recente pronunzia della S.C. (Sez. 4, n. 33329 del 05/05/2015, Sorrentino e altri, Rv. 264365), che, per la rilevanza che le stesse possono assumere nel caso in esame, appare il caso di richiamare testualmente nei più significativi passaggi argomentativi:
ebbene, la questione del rischio sanitario “(…) richiede di porre alcune enunciazioni di principio, aderenti a quelle recentemente proposte dalle Sezioni unite di questa Corte (Sez. Un 24 aprile 2014, Espenhahn, Rv. 261103).
A proposito dell’art. 41 cpv. c.p., e della cosiddetta interruzione del nesso causale, evocando la precedente giurisprudenza, si è posto in luce che il garante è il gestore di un rischio; e che il termine garante viene ampiamente utilizzato nella prassi anche in situazioni nelle quali si è in presenza di causalità commissiva e non omissiva; ed ha assunto un significato più ampio di quello originario, di cui occorre acquisire consapevolezza, traendo argomento proprio dalla norma richiamata.
Si è considerato che la necessità di limitare l’eccessiva ed indiscriminata ampiezza dell’imputazione oggettiva generata dal condizionalismo è alla base di classiche elaborazioni teoriche: la causalità adeguata, la causa efficiente, la causalità umana, la teoria del rischio. Tale istanza si rinviene altresì nel controverso art. 41 cpv. c.p.. L’esigenza cui tali teorie tentano di corrispondere è quella di limitare, separare le sfere di responsabilità, in modo che il diritto penale possa realizzare la sua vocazione ad esprimere un ben ponderato giudizio sulla paternità dell’evento illecito.
La centralità dell’idea di rischio è emersa con insistenza particolarmente nel contesto della sicurezza del lavoro… in cui, in maniera particolare, esistono diverse aree di rischio e, parallelamente, distinte sfere di responsabilità che quel rischio sono chiamate a governare… Le Sezioni unite Li hanno posto l’enunciazione che un comportamento è “interruttivo” (per restare al lessico tradizionale) non perché “eccezionale” ma perché eccentrico rispetto al rischio che il garante è chiamato a governare. Tale eccentricità renderà magari in qualche caso (ma non necessariamente) statisticamente eccezionale il comportamento ma ciò è una conseguenza accidentale e non costituisce la reale ragione dell’esclusione dell’imputazione oggettiva dell’evento. A ciò va aggiunta solo una chiosa di portata generale: l’effetto interruttivo può essere dovuto a qualunque circostanza che introduca un rischio nuovo o comunque radicalmente esorbitante rispetto a quelli che il garante è chiamato a governare.
(…) Il tema di cui si discute è stato ripetutamente esaminato da questa Corte con riferimento al rischio terapeutico. Si può dire che l’ambito che ha determinato le maggiori discussioni sulla portata dell’art. 41 cpv., è sicuramente quello in cui l’attività di cura interagisce con gli effetti determinati dalla precedente condotta illecita, aggravandoli.
La Suprema Corte ha ripetutamente escluso che, nel caso di lesioni personali seguite da decesso della vittima dell’azione delittuosa, l’eventuale negligenza o imperizia dei medici possa elidere il nesso di causalità tra la condotta lesiva dell’agente e l’evento morte. La colpa dei medici, infatti, anche se grave, non può ritenersi causa autonoma ed indipendente rispetto al comportamento dell’agente che, provocando il fatto lesivo, ha reso necessario l’intervento dei sanitari. Infatti la negligenza o imperizia dei medici non costituisce di per sé un fatto imprevedibile, eccezionale, atipico rispetto alla serie causale precedente di cui costituisce uno sviluppo evolutivo normale anche se non immancabile (ad es. Sez. I, 9 ottobre 1995, La Paglia; Sez. I, 19 gennaio 1998, Van Custem; Sez. IV, 10 marzo 1983, Di Martino). In tale approccio l’eccezionalità viene colta in modo categoriale, astratto: per definizione essa non si configura, indipendentemente dalle contingenze del caso concreto.
(…) il nesso causale è stato escluso in un caso che presenta significative affinità con quello in esame (Sez. V, 27 gennaio 1976, Nidini, in C. E.D. Cass. n. 133819). Si era in presenza di un errore macroscopico del sanitario: una persona che viaggiava a bordo di un’auto subiva lesioni non molti gravi (frattura del femore e stato commotivo) a seguito di un incidente stradale nel quale si evidenziava la colpa del conducente; ricoverata in ospedale veniva sottoposta ad intervento chirurgico di osteosintesi gravato da errori di esecuzione (applicazione al femore fratturato di viti che, per la loro eccessiva lunghezza determinavano emorragie, infezione e cancrena); tale situazione determinava la necessità di tre emotrasfusioni; nell’esecuzione di tali trasfusioni il medico errava nell’individuazione del gruppo sanguigno con esito letale. La Corte ha ritenuto che tale finale condotta erronea, pur inserendosi nella serie causale dipendente dalla condotta dell’automobilista che provocò l’incidente, agì “per esclusiva forza propria” ed interruppe il nesso di condizionamento. Rispetto all’evento morte l’originaria condotta colposa dell’automobilista, pur costituendo un antecedente necessario per l’efficacia delle cause sopravvenute, assume non il ruolo di fattore causale ma di semplice occasione. Si tratta di una decisione senza dubbio condivisibile, visto che da un lato si è in presenza di un rischio non particolarmente grave, innescato dall’incidente; dall’altro si evidenzia non solo un errore di esecuzione dell’intervento di osteosintesi, ma anche e soprattutto di un errore gravissimo costituito dall’erronea individuazione del gruppo sanguigno, originatosi in una situazione in cui non si provvedeva alla cura della frattura ma si tentava di rimediare agli errori commessi dal chirurgo.
Una soluzione corretta, dunque, nella quale – tuttavia – piuttosto che la generica evocazione della occasionante della condotta colposa del conducente del veicolo, appare assai più persuasiva e razionale la considerazione dell’incongruenza e dell’incommensurabilità tra l’originario rischio attivato dall’incidente automobilistico e quello realizzatosi a causa del gravissimo errore consistito nella fallace individuazione del gruppo sanguigno.
(…) conclusivamente, la teoria del rischio evocata dalle Sezioni unite offre strumenti di analisi e ponderazione meno vaghi e più penetranti rispetto a quelli offerti dalla tradizione: in breve, l’individuazione del rischio quale chiave di volta per la lettura degli intrecci causali; l’intervento di fattori la cui concausalità è determinante e di significato tale da assorbire la spiegazione giuridica esclusiva dell’evento; la congruenza tra i rischi. Il fatto illecito altrui non esclude in radice l’imputazione dell’evento al primo agente, che avrà luogo fino a quando l’intervento del terzo, in relazione all’intero concreto decorso causale dalla condotta iniziale all’evento, non abbia soppiantato il rischio originario. L’imputazione non sarà invece esclusa quando l’evento risultante dal fatto del terzo possa dirsi realizzazione sinergica anche del rischio creato dal primo agente.
Tale approccio è utile anche quando la condotta illecita ha già prodotto conseguenze lesive, ma esse vengono portate ad esiti ulteriori e più gravi da condizioni sopravvenute, che possono essere costituite da comportamenti umani o da fatti naturali. Si tratta dell’ambito efficacemente tratteggiato dai casi di scuola della vittima di un attentato che muore durante il trasporto in ospedale a causa di un incidente stradale, o di un incendio sviluppatosi nell’ospedale (…).
L’approccio fondato sulla comparazione dei rischi consente di escludere l’imputazione al primo agente quando le lesioni originarie non avevano creato un pericolo per la vita, ma l’errore del medico attiva un decorso mortale che si innesta sulle lesioni di base e le conduce a processi nuovi e letali: viene creato un pericolo inesistente che si realizza nell’evento. Discorso analogo può esser fatto quando la condotta colposa del medico interviene dopo che il pericolo originario era stato debellato da precedenti cure: anche qui viene prodotto un rischio mortale nuovo.
La teoria del rischio spiega bene l’esclusione dell’imputazione del fatto nel caso dell’emotrasfusione sbagliata: vi è una tragica incommensurabilità tra la situazione non grave di pericolo determinata dall’incidente, che aveva comportato la rottura del femore, e l’esito mortale determinato dal macroscopico errore nell’individuazione del gruppo sanguigno”.
Ebbene, facendo applicazione della teoria del rischio nel caso di specie si giunge ad escludere qualsiasi interruzione del nesso causale da parte dei sanitari che ebbero in cura F.D. ed il cui intervento, in relazione al concreto decorso causale dalla condotta iniziale colposa dell’investitrice imputata all’evento-morte, stando a quanto accertato dai giudici di merito, che hanno adottato al riguardo motivazione congrua ed immune da vizi logici, non ha, a ben vedere, mai soppiantato il rischio originario e non ha assorbito la spiegazione giuridica esclusiva dell’evento: in particolare, hanno accertato i giudici di merito che l’intervento chirurgico al quale è stato sottoposto F.D. al fine di porre rimedio alle lesioni causate dall’investimento automobilistico da parte di R.M.M. – intervento la cui corretta effettuazione non è nemmeno posta in dubbio nel ricorso – era, nella concreta situazione che emergeva, necessario.
2. Dalle considerazioni che precedono discende il rigetto del ricorso, con conseguente condanna del ricorrente alle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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