Corte di Cassazione, sezione IV penale, sentenza 20 settembre 2016, n. 39028

In tema di responsabilità medica per configurare l’elemento soggettivo della colpa per violazione di una regola precauzionale, è necessario sussista la prevedibilità ed evitabilità dell’evento, da valutarsi alla stregua dell’agente modello razionale, tenuto conto delle circostanze del caso concreto conosciute o conoscibili dall’agente reale. Ne consegue che se non sussiste “ex ante” la concreta prevedibilità dell’evento, ovvero la situazione non lascia presagire l’evento poi verificatosi, nessun addebito di colpa può essere mosso al medico

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE IV PENALE

SENTENZA 20 settembre 2016, n. 39028

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza dei 16112010 il Tribunale di Biella assolveva, perché il fatto non costituisce reato, S.G. dal delitto di cui all’art. 589 c.p. per l’omicidio colposo in danno di D.M..
All’imputata era stato addebitato che, in qualità di medico di guardia della Casa Circondariale di Biella, in presenza di un detenuto, il D., con disturbi psichici, disagio ed insofferenza da questi manifestati verso il compagno di cella, aveva disposto la sua restrizione in una cella di isolamento, senza sorveglianza e senza che fossero asportate le lenzuola dal materasso, di tal che il D. si suicidava alle ore 22.35 del 2232003 per impiccagione alla inferriata della cella. Riteneva il giudice di primo grado, nel pronunciare l’assoluzione, che mancasse la prova dell’elemento soggettivo del reato.
Con sentenza del 5112014 la Corte di Appello di Torino, nel pronunciarsi sull’impugnazione proposta dalle parti civili, confermava la sentenza di primo grado, ritenendo la imprevedibilità dell’evento.
2. Avverso la sentenza hanno proposto due separati ricorsi per cassazione i difensori delle parti civili, che in questa sede vengono riassunti unitariamente, lamentando
2.1. la erronea applicazione della legge per non essere stata acquisita agli atti processuali una lettera anonima che faceva luce sugli spostamenti del D. la sera dei fatti. Erroneamente il giudice di merito aveva ritenuto che la inutilizzabilità inibisse la acquisizione della lettera agli atti. Tale acquisizione avrebbe consentito di porre domande ai testi che, altrimenti sarebbero state ritenute non rilevanti. Inoltre del tutto ingiustificatamente non era stata ammessa la citazione del responsabile civile Ministero della Giustizia, ai sensi dell’art. 86, co. 2, c.p.p. 2.2. la erronea applicazione della legge ed il vizio della motivazione in relazione alla ritenuta assenza della colpa per la non prevedibilità del suicidio.
In sostanza l’affidamento dell’imputata, che ben era a conoscenza della patologia del detenuto, era stata riposta nel fatto che tale intenzione non era stata manifestata dai D., quasi che tale esternazione sia un presupposto necessario per riconoscere la situazione di pericolo. Dalla cartella clinica del detenuto invece emergeva la presenza inequivocabile di un disturbo della personalità che avrebbe dovuto indurre ad un’attenta sorveglianza, considerato che per esperienza tali patologie si acuiscono con il trasferimento da un Istituto ad un altro. La sentenza inoltre non considerava adeguatamente le conclusioni rassegnate dal C.T. del P.M. e dai C.T. delle parti civili che avevano ritenuto la prevedibilità dell’evento anticonservativo. Il dr. Pellegrino in sede dibattimentale, nell’interpretare l’annotazione della dimissione dal reparto “Sestante” aveva riferito che ciò era avvenuto non perché il paziente fosse guarito, ma perché non vi erano più segnali acuti della malattia di cui era portatore (disturbo della personalità).

Considerato in diritto

1. I ricorsi sono infondati e devono essere rigettati.
2. In ordine alle censure di natura processuale, infondata è quella relativa alla lamentata illegittimità della esclusione dal processo del responsabile civile “Ministero della Giustizia” deliberata dal Tribunale con l’ordinanza del 2042010.
Va premesso che il secondo comma dell’art. 86 del c.p.p. stabilisce che la richiesta di esclusione può essere proposta dal responsabile civile, che non sia intervenuto volontariamente, anche qualora gli elementi di prova raccolti prima della citazione possano recare pregiudizio alla sua difesa in relazione a quanto previsto dagli articoli 651 e 654. Nel caso in esame nel procedimento è stato espletato incidente probatorio e ad esso non ha partecipato il responsabile civile, sicché legittimamente tale parte ha chiesto di essere esclusa dal processo.
In un caso analogo questa Corte di legittimità ha avuto modo di statuite che “Il responsabile civile ha diritto, in presenza di domanda tempestivamente formulata ai sensi dell’art. 86, comma secondo, cod.proc.pen., ad essere estromesso dal processo penale, qualora non sia stato tempestivamente citato per la partecipazione ad un incidente probatorio, finalizzato a consacrare, nel contraddittorio fra le parti, elementi di valutazione ai fini dei giudizio per esso potenzionalmente pregiudizievoli” (Sez. 3, Sentenza n. 49456 del 30/12/2003, Rv. 228000; vedi anche : Sez. 3, Sentenza n. 46746 del 02/12/2004, Rv. 231305).
Peraltro, indipendentemente dalla correttezza o meno dell’esclusione, va ricordato che le questioni concernenti l’eventuale esclusione della parte civile o l’ammissibilità della citazione del responsabile civile, che già siano state poste e risolte nel giudizio di primo grado, non possono essere oggetto di mera riproposizione nel processo di appello, dovendosi considerare in tal caso irrevocabili le deliberazioni adottate in argomento nella fase antecedente di giudizio (Sez. 4, Sentenza n. 7291 del 14/02/2003, Rv. 225727).
Per quanto detto la censura è infondata.
3. Quanto alla mancata acquisizione agli atti di una lettera anonima relativa alla vicenda in esame, va ricordato che il primo comma dell’art. 240 c.p.p. stabilisce che “I documenti che contengono dichiarazioni anonime non possono essere acquisiti né in alcun modo utilizzati, salvo che costituiscano corpo del reato o provengano comunque dall’imputato”. Sulla base di tale disposizione, la consolidata giurisprudenza di questa Corte ha stabilito che il documento anonimo non soltanto non costituisce elemento di prova, ma neppure integra notitia criminis, e pertanto del suo contenuto non può essere fatta alcuna utilizzazione in sede processuale; l’unico effetto degli elementi contenuti nella denuncia anonima, infatti, può essere quello di stimolare l’attività di iniziativa dei P.M. e della polizia giudiziaria al fine di assumere dati conoscitivi, diretti a verificare se dall’anonimo possono ricavarsi gli estremi utili per l’individuazione di una notitia criminis (cfr. Sez. 4, Sentenza n. 30313 del 10/08/2005, Rv. 232021; v. anche Sez. 6, Sentenza n. 36003 del 27/10/2006, Rv. 235279). Pertanto anche tale censura di natura processuale è infondata.
4. In relazione alle doglianze relative alla pronunciata assoluzione, la corte distrettuale nella sua motivazione ha evidenziato che
– il D. era stato arrestato per rapina aggravata il 1632002; successivamente era stato raggiunto anche da un ordine di esecuzione di pene concorrenti;
– all’epoca dei fatti era tossicodipendente e presentava disturbi di tipo psichiatrico;
– il primo giorno di detenzione si era autolesionato superficialmente agli avambracci; – il 2042002 aveva dato fuoco ad un materasso in dotazione alla cella;
– il 2742002 era stato trasferito presso la casa circondariale di Biella, presso cui aveva posto in essere nel tempo una serie di atti autolesionistici;
– per tale motivo il 25102002 era stato richiesto il trasferimento presso O.P.G.;
– il 2112002 era stato trasferito in osservazione presso il reparto “Il Sestante” della Casa circondariale di Torino;
– presso tale struttura veniva disposto il piantonamento con telecamere e la rimozione dei letterecci; tale disposizione veniva revocata il 8112002 per essersi la situazione stabilizzata;
– solo in data 1412003 il detenuto aveva compiuto un gesto autolesionistico all’avambraccio sinistro; disposta sorveglianza, questa veniva revocata il 122003;
– in data 1922003 il direttore del Dipartimento di Salute Mentale, rilevata la stabilizzazione sintomatologica, proponeva la cessazione della permanenza al “Sestante” del detenuto, il quale veniva trasferito alla Casa circondariale di Biella in data 2132003; – la sera del 21 non era stata annotata alcuna anomalia;
– nel diario clinico del 22 marzo, alle ore 21.00, a firma di un sanitario non identificato e non identificabile con l’imputata, veniva annotata la presenza di uno stato ansioso depressivo e si chiedeva visita psichiatrica urgente;
– in tale orario serale il detenuto aveva manifestato il desiderio di non rientrare in cella per avere egli ostilità verso il suo compagno e per il fatto che odiava il “blu”; – visitato dalla S., medico di guardia, dopo un colloquio di circa 45 minuti, rilevate le pulsioni aggressive verso il compagno di cella ed il desiderio di essere visitato da uno psichiatra, la dottoressa disponeva il suo alloggiamento in una cella singola presso il reparto isolamento, con disposizione di “grande sorveglianza” ed ispezione visiva ogni dieci minuti; – alle ore 22.25 l’agente di servizio visionando la cella, non avere riscontrato nulla di anomalo e che il detenuto era tranquillo;
– alle ore 22.35, alla successiva ispezione, lo rinveniva impiccato all’inferriata della cella con un lenzuolo avvolto al collo. Ne veniva inoltre constatato il decesso.
Ha ritenuto il giudice di merito che nella condotta dell’imputata non si potesse rinvenire alcun profilo di colpa. Invero il suo alloggiamento nel reparto isolamento era stato determinato dal fatto che era l’unico luogo che aveva celle singole e la sua allocazione in quel reparto si giustificava con gli intenti aggressivi manifestati nei confronti del compagno di cella. Inoltre il D., a parte un’annotazione del luglio 2002, non aveva mai manifestato intenti suicidari, ma solo esternato condotte autolesionistiche peraltro di modeste rilievo, quali il ferimento di avambracci.
5. Ciò premesso, va ricordato che questa Corte di legittimità ha avuto modo di affermare che per configurare l’elemento soggettivo della colpa per violazione di una regola precauzionale, è necessario sussista la prevedibilità ed evitabilità dell’evento, da valutarsi alla stregua dell’agente modello razionale, tenuto conto delle circostanze del caso concreto conosciute o conoscibili dall’agente reale (Sez. U, Sentenza n. 22676 del 29/05/2009). Con specifico riferimento alla verifica della “prevedibilità” dell’evento, si impone il vaglio delle possibili conseguenze di una determinata condotta commissiva od omissiva avendo presente il cosiddetto “modello d’agente” ossia il modello dell’uomo che svolge paradigmatica mente una determinata attività, che importa l’assunzione di certe responsabilità, nella comunità, la quale esige che l’operatore concreto si ispiri a quel modello e faccia tutto ciò che da questo ci si aspetta (cfr. ex plurimis, Sez. 4, Sentenza n. 22249 del 29/05/2014, Rv. 259230). Nel caso in esame il giudice di merito, con coerente motivazione, priva di manifeste illogicità, ha ritenuto che per la S. non sussistesse “ex ante” la concreta prevedibilità dell’evento, ciò in quanto gli specialisti del “Sestante” avevano rilevato la stabilizzazione della situazione clinica del D., tanto dal reinserirlo nell’ordinario circuito carcerario. Sebbene “stabilizzazione” non significhi, come osservato dalla difesa dei ricorrenti, guarigione, pur sempre era indicativa della assenza di una situazione di pericolo. La stessa scaturigine dell’intervento del medico di guardia non lasciava presagire l’evento verificatosi, considerato che il D. aveva manifestato aggressività nei confronti di un compagno di cella e non contro sé stesso.
Pertanto coerentemente la Corte distrettuale ha ritenuto corretta ed adeguata la misura cautelare adottata dall’imputata, di vigilanza visiva ogni dieci minuti, peraltro finalizzata ad evitare eventuali escandescenze e non per prevenire intenti suicidari, che la storia clinica del detenuto non consentivano di ritenere prognosticamente probabili. I ricorsi proposti sono pertanto infondati e devono essere rigettati. Consegue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

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