Il conducente del veicolo che investe il pedone procurandone il decesso non è responsabile se ha rispettato tutte le regole legate alla diligenza e alla perizia e che, quindi, l’incidente sia derivato da cause imputabili totalmente a movimenti non prevedibili da parte del pedone
Suprema Corte di Cassazione
sezione IV penale
sentenza 10 febbraio 2017, n. 6378
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ISA Claudio – Presidente
Dott. CIAMPI Francesco Maria – Consigliere
Dott. MONTAGNI Andrea – rel. Consigliere
Dott. SERRAO Eugenia – Consigliere
Dott. CAPPELLO Gabriella – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 938/2016 CORTE APPELLO di MILANO, del 29/04/2016;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 20/01/2017 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. BALDI Fulvio, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso;
Udito il difensore avv. (OMISSIS), del Foro di Roma, sostituto dell’avv. (OMISSIS), in difisa di (OMISSIS) Elmo, che si riporta ai motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Il G.i.p. del Tribunale di Pavia, con sentenza in data 24.05.2015, resa all’esito di giudizio abbreviato, dichiarava (OMISSIS) responsabile del reato di omicidio colposo, aggravato dalla violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale, in danno di (OMISSIS). All’imputato si contesta, per negligenza, imprudenza e imperizia ed inosservanza delle norme sulla circolazione stradale, di avere provocato la morte del (OMISSIS); cio’ in quanto, in qualita’ di conducente della vettura Alfa Romeo indicata in rubrica, procedendo ad una velocita’ elevata, rispetto allo stato dei luoghi, investiva la vittima che/con una bicicletta spinta a mano/ovvero in sella al predetto velocipede, stava attraversando a velocita’ ridottissima la carreggiata.
Il giudicante riteneva sussistente il nesso di causalita’ tra la contestata violazione della regola di condotta da parte dell’automobilista e l’evento; rilevava, peraltro, che alla causazione del sinistro aveva concorso anche la condotta imprudente della vittima, che aveva attraversato in pessime condizioni di visibilita’, una strada a due corsie.
2. La Corte di Appello di Milano con la sentenza indicata in epigrafe confermava la sentenza di primo grado.
La Corte territoriale, nel censire i motivi di doglianza dedotti con l’atto di appello, rilevava in primo luogo che plurimi elementi fattuali erano indicativi della elevata velocita’ di marcia con cui l’auto procedeva al momento dell’impatto, velocita’ superiore al limite consentito e del tutto inadeguata rispetto alle condizione metereologiche in atto. Al riguardo, il Collegio valorizzava sia i danni riportati dall’auto, sia la distanza, superiore a 40 metri, intercorrente tra il punto d’urto ed il luogo ove il corpo della vittima era stato sbalzato. La Corte territoriale rilevava che il comportamento della vittima doveva ritenersi prevedibile e l’evento evitabile; a tale ultimo riguardo, la Corte di merito considerava che l’impatto con esito mortale non si sarebbe verificato, se l’automobilista avesse adeguato la velocita’ allo stato dei luoghi ed alle pessime condizioni di visibilita’, per la presenza di nebbia.
3. Avverso la richiamata sentenza della Corte di Appello ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del difensore. Il ricorso e’ affidato a quattro motivi.
Con il primo motivo l’esponente denuncia violazione di legge e vizio motivazionale, in merito al procedimento di calcolo relativo alla velocita’ di marcia del veicolo condotto dall’imputato.
L’esponente rileva che la Corte di Appello ha valorizzato i seguenti elementi: 1) la forza cinetica impressa dall’urto al corpo della vittima; 2) la distanza tra il punto d’urto e quello ove l’autoveicolo arresto’ la propria corsa; 3) la condotta di guida realizzata dall’imputato dopo l’impatto.
Con riferimento al primo punto, il ricorrente considera che lo stesso perito nominato in sede di incidente probatorio ha chiarito che il corpo della vittima venne trascinato per un certo tratto, prima di cadere, di talche’ l’applicazione del principio del lancio balistico del corpo non offre risultati attendibili. Rispetto al secondo punto, l’esponente rileva che la posizione di quiete del veicolo non fa seguito alla frenata, ma dipese dalla scelta dell’imputato, che dopo l’urto decise di proseguire la marcia sino ad una piazzola di sosta.
Al riguardo, considera che erroneamente il perito ha affermato che dopo l’impatto il veicolo si fermo’ in posizione di quiete sulla propria corsia; cio’ in quanto l’imputato aveva parcheggiato l’auto oltre il margine destro della carreggiata. Il deducente osserva che la Corte di Appello, rispetto a tale fondamentale questione, ha omesso di considerare il materiale probatorio che era stato specificamente indicato dalla difesa, a sostegno dell’assunto. Strettamente connessa al punto ora richiamato, e’ la terza questione sopra indicata, relativa al calcolo della velocita’ dell’auto: l’esponente osserva che il parametro del coefficiente di attrito utilizzato dal perito risulta insignificante, atteso che il punto in cui il veicolo venne parcheggiato non corrisponde altrimenti allo spazio percorso dall’automobile prima di raggiungere lo stato di quiete dopo la manovra di rallentamento. Il ricorrente sottolinea che la Corte di Appello avrebbe dovuto disporre il rinnovo della perizia cinematica, inficiata da tale erronea ricostruzione del fatto; e rileva che il ragionamento sviluppato dalla Corte distrettuale, rispetto all’accertamento della velocita’ di marcia dell’auto, risulta vulnerato dalla inversione logica nell’apprezzamento dei dati di riferimento.
Con il secondo motivo si deduce violazione di legge, vizio motivazionale e travisamento della prova, con riguardo al calcolo della velocita’ dell’auto al momento dell’impatto e rispetto alle ipotizzate diverse conseguenze lesive, non letali, che sarebbero derivate dall’urto, in caso di velocita’ moderata ed adeguata. La parte osserva che la Corte di Appello ha affermato che qualora l’imputato avesse proceduto ad una velocita’ compresa tra 30 e 45 Km/h l’impatto sarebbe avvenuto ad una velocita’ di 15 Km/h ed avrebbe avuto conseguenze non letali. Al riguardo, il ricorrente considera che tali affermazioni contrastano con le stesse conclusioni rassegnate dal perito; e rileva che il dato ipotetico relativo alla residua velocita’ di 15 Km/h, al momento dell’impatto, e’ stato indicato dal perito solo nel corso dell’esame dibattimentale. Sul punto, il deducente, considera che in ragione delle concrete condizioni di visibilita’ e dei tempi psicotecnici di reazione, ipotizzando una velocita’ di marcia di 50Km/h, l’impatto sarebbe avvenuto a 50 Km/h.
Sotto altro aspetto, il ricorrente censura la sentenza impugnata, con riguardo all’accertamento della velocita’ con la quale la vittima avrebbe effettuato l’attraversamento della carreggiata. L’esponente osserva che la Corte di Appello ha affermato che tra le due carreggiate si trovava un terrapieno; e che tale evenienza imponeva un forte rallentamento alla bicicletta. Al riguardo, nel ricorso si osserva che il terrapieno tra le due carreggiate e’ stato posizionato, in realta’, solo all’indomani del sinistro; e che la documentazione fotografica che ritrae tale terrapieno e’ stata scattata a distanza di un anno dal fatto. La parte rileva che nella annotazione redatta dai Carabinieri, sopraggiunti sul posto, e’ indicato che la strada e’ a due carreggiate, separate in quel punto da una striscia di terra a filo del manto stradale. Conclusivamente sul punto, il deducente evidenzia che la Corte di Appello ha richiamato generiche massime di esperienza, omettendo di esaminare la documentazione allegata dalla difesa.
Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge e carenza motivazionale, rispetto alla causalita’ della colpa, alla prevedibilita’ del comportamento imprudente della vittima, anche rispetto al principio di affidamento. La parte osserva che la Corte ha erroneamente affermato che la strada di cui si tratta e’ caratterizzata da intenso traffico pedonale; e rileva che la strada, al contrario, attraversa una zona industriale e periferica.
L’esponente considera che i richiamati elementi di fatto rendono, in concreto, non prevedibile la condotta gravemente imprudente posta in essere dalla vittima, che effettuo’ la manovra di attraversamento a raso in un punto ove si trova un apposito sottopassaggio.
Con il quarto motivo il ricorrente deduce violazione di legge e vizio motivazionale, rispetto alla evitabilita’ dell’evento in relazione alla concreta avvistabilita’ del pedone e del velocipede. Sul punto la parte considera che viene in rilievo l’accertamento della distanza che separa l’interruzione del guard rail dal punto d’urto; e rileva che la motivazione della Corte territoriale risulta carente, giacche’ il Collegio si e’ limitato ad affermare che nella zona in cui si colloca il punto d’urto non e’ presente il guard rail da un tratto precedente di “lunghezza consistente”. Il deducente considera che la visibilita’ stimata era pari a 20/25 metri, al momento del fatto; di talche’ il preciso accertamento della distanza tra l’interruzione del guard rail e il punto d’impatto risulta rilevante al fine di verificare in concreto l’avvistabilita’ del pedone, posto che lo stesso guard rail costituisce una fattore che limita il campo visivo dell’automobilista.
Il ricorrente considera poi che erroneamente la Corte di merito ha affermato che il punto d’urto deve essere collocato sul margine destro della carreggiata percorsa dall’auto, quando il pedone aveva quasi ultimato l’attraversamento, da sinistra verso destra. La parte rileva che la posizione del corpo dopo l’urto ed i danni riportati dall’auto indicano che l’urto avvenne quando la vittima si trovava in corrispondenza della corsia di sorpasso, evenienza che riduce ulteriormente la concreta avvistabilita’ della vittima.
L’esponente ha depositato memoria. La parte sviluppa temi di doglianza affidati al ricorso originario e chiede l’assegnazione del fascicolo alle Sezioni Unite, in ragione del contrasto esistente rispetto alla applicabilita’ del principio di affidamento nell’ambito della circolazione stradale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ fondato.
Procedendo all’esame congiunto dei motivi di doglianza, giova ricordare che la riformulazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), da parte della L. n. 46 del 2006, articolo 8, consente di dedurre il travisamento della prova, nella forma della c.d. contraddittorieta’ processuale, consistente nella mancata corrispondenza tra il risultato probatorio utilizzato nella motivazione della sentenza e l’atto probatorio stesso, senza il limite della rilevabilita’ testuale dalla motivazione del provvedimento impugnato, potendo essere desunto anche da altri atti del processo, purche’ specificamente indicati dal ricorrente. La giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente affermato che il vizio del travisamento della prova rileva solo quando l’errore disarticola l’intero ragionamento probatorio e rende quindi illogica la motivazione per l’evidente forza dimostrativa del dato probatorio travisato (tra le altre, Sez. 6, n. 8342 del 18/11/2010, dep. 2011, P.G. in proc. Greco, Rv. 249583). Al riguardo, la Corte regolatrice ha in particolare affermato che nel giudizio di legittimita’ anche l’accertamento peritale puo’ essere oggetto di esame critico, solo nei limiti del cosi’ detto travisamento della prova, che sussiste nel caso di assunzione di una prova inesistente o quando il risultato probatorio sia diverso da quello reale in termini di “evidente incontestabilita’” (Sez. 1, n. 47252 del 17/11/2011 – dep. 20/12/2011, Esposito e altri, Rv. 251404).
2. Sulla base dei principi ermeneutici ora ricordati, il Collegio rileva che nella presente fattispecie la Corte d’appello, nel procedere alla ricostruzione della dinamica del sinistro che occupa, ha effettuato affermazioni, rispetto alla proiezione del corpo della vittima a seguito dell’impatto, alla velocita’ di marcia della autovettura ed alle modalita’ di attraversamento della sede stradale da parte del ciclista che non paiono conferenti con le evenienze probatorie specificamente indicate dal ricorrente e neppure con il contenuto degli elaborati peritali acquisiti agli atti.
Segnatamente, nel procedere all’accertamento della circostanza di fatto relativa alla velocita’ con la quale la vittima avrebbe effettuato l’attraversamento della carreggiata – evenienza refluente sul decisivo tema relativo alla concreta avvistabilita’ dell’ostacolo da parte dell’automobilista – la Corte di Appello ha affermato che tra le due carreggiate si trovava un terrapieno; ed ha quindi ritenuto che tale evenienza imponesse un forte rallentamento alla bicicletta. Tale affermazione non si confronta con i dati emergenti dalla annotazione redatta dai Carabinieri sopraggiunti nell’immediatezza del fatto, ove e’ effettivamente indicato che le carreggiate sono separate da una striscia terrosa a raso. Viene allora in rilievo l’ulteriore travisamento denunciato dal ricorrente, rispetto al reale significato probatorio da assegnare agli elementi acquisiti agli atti, laddove la Corte di merito ha ritenuto che le foto scattate dal perito, ritraenti il tratto di strada teatro del sinistro, raffigurino lo stato dei luoghi in termini corrispondenti a quello in essere al momento del fatto. Invero, la presenza di un cordolo, a contenimento del terrapieno che separa le carreggiate, non trova corrispondenza con le indicazioni fornite dai militari intervenuti, di talche’ diviene imprescindibile verificare se, all’indomani dell’incidente, siano state effettuate modifiche dell’arredo stradale.
Considerazioni del medesimo tenore si impongono con riguardo all’accertamento della velocita’ di marcia dell’auto. A tale specifico riguardo, si osserva che e’ la stessa motivazione espressa dai giudici di merito che evidenzia un insanabile profilo di intrinseca contraddittorieta’: la Corte di merito, infatti, dopo aver affermato che effettivamente il corpo della vittima venne caricato dall’auto, oblitera tale dato, nel considerare la forza cinetica impressa al corpo, in considerazione della distanza intercorrente tra il punto d’urto e quello ove il corpo venne ritrovato in posizione di quiete. Il richiamato passaggio argomentativo appare, invero, non logicamente conferente, posto che nel ragionamento probatorio non viene considerata la stessa circostanza di fatto ritenuta oggettivamente sussistente, circostanza in base alla quale un certo tratto di strada venne necessariamente percorso dal (OMISSIS), mente si trovava caricato sul cofano dell’auto.
Anche il ragionamento relativo all’accertamento della velocita’ di marcia del veicolo, come effettuato la Corte di Appello, non appare scevro delle denunziate aporie: il Collegio, infatti, nel contraddire quanto affermato dall’imputato, circa il fatto di avere percorso alcune decine di metri dopo l’investimento, sino a raggiungere una piazzola di sosta, si basa su affermazioni relative ai comportamenti che sarebbero usualmente tenuti dall’utente della strada in tali contingenze, che non risultano in alcun modo giustificate dal Collegio, neppure con il riferimento alle massime di esperienza.
Conclusivamente, si osserva che anche le valutazioni espresse in sentenza, circa l’intenso traffico pedonale che caratterizzerebbe il tratto di strada di cui si tratta, non trovano corrispondenza con lo stato dei luoghi emergente dalla documentazione fotografica agli atti, da cui emerge la presenza di specifici elementi volti ad ostacolare fisicamente la possibilita’ per i pedoni di effettuare l’attraversamento a raso della sede stradale.
E’ poi il caso di ricordare che la Corte regolatrice ha chiarito che il conducente del veicolo, in caso di investimento di un pedone, puo’ andare esente da responsabilita’, non per il solo fatto che risulti accertato un comportamento colposo (imprudente o in violazione di una specifica regola comportamentale) del pedone (una tale condotta risulterebbe, invero, concausa dell’evento lesivo, penalmente non rilevante per escludere la responsabilita’ del conducente: cfr. articolo 41 c.p., comma 1), ma che occorre che la condotta del pedone configuri, per i suoi caratteri, una vera e propria causa eccezionale, atipica, non i prevista ne’ prevedibile, che sia stata da sola sufficiente a produrre l’evento (cfr. articolo 41 c.p., comma 2).
Cio’ che puo’ ritenersi, solo allorquando il conducente del veicolo investitore (nella cui condotta non sia ovviamente ravvisabile alcun profilo di colpa, vuoi generica vuoi specifica) si sia trovato, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, nella oggettiva impossibilita’ di “avvistare” il pedone e di osservarne, comunque, tempestivamente i movimenti, attuati in modo rapido, inatteso, imprevedibile. Solo in tal caso, infatti, l’incidente potrebbe ricondursi, eziologicamente, proprio ed esclusivamente alla condotta del pedone, avulsa totalmente dalla condotta del conducente ed operante in assoluta autonomia rispetto a quest’ultima (Sez. 4, Sentenza n. 33207 del 02/07/2013, dep. 31/07/2013, Rv. 255995).
3. E bene, atteso che la motivazione posta a fondamento della sentenza impugnata appare vulnerata dalle evidenziate aporie e contraddizioni, anche di ordine processuale, come chiarito, si impone l’annullamento della stessa sentenza, con rinvio alla Corte di Appello di Milano, altra sezione, per nuovo esame della regiudicanda, alla luce dei principi di diritto sopra ricordati. Resta assorbito ogni ulteriore profilo di doglianza.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di Appello di Milano altra sezione
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