Corte di Cassazione, sezione IV penale, 6 giugno 2017, n. 28010 

In tema di interruzione del nesso causale, l’eventuale errore dei sanitari nella prestazione delle cure alla vittima di un incidente stradale non può ritenersi causa autonoma ed indipendente, tale da interrompere il nesso causale tra il comportamento di colui che ha causato l’incidente e la successiva morte del ferito, atteso che l’errore medico non costituisce un accadimento al di fuori di ogni immaginazione, a maggior ragione nel caso in cui l’aggravamento della situazione clinica del ferito e la necessità di interventi chirurgici complessi risultino preventivabili in ragione della gravità delle lesioni determinate dall’incidente

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE IV PENALE

SENTENZA 6 giugno 2017, n. 28010 

 

Ritenuto in fatto

La Corte d’appello di Lecce, in data 20 maggio 2016, ha confermato la sentenza con la quale il Tribunale di Brindisi aveva condannato L.T. alla pena di giustizia, previa concessione delle attenuanti generiche in regime di prevalenza rispetto alla contestata aggravante, in relazione all’imputazione di omicidio colposo con violazione delle norme sulla circolazione stradale (art. 589, comma 2, cod.pen.) a lei contestato come commesso in (…), con condotta posta in essere il (omissis) in danno di D.L.C. , deceduto il (omissis) dello stesso anno.

La condotta contestata alla L. è di avere eseguito una manovra caratterizzata da imprudenza, negligenza imperizia nonché da violazione dell’art. 145, comma 2, del Codice della Strada: in occasione dell’incidente oggetto del giudizio, la stessa, percorrendo con la sua auto la via (…), eseguiva una manovra di svolta a sinistra all’altezza dell’intersezione con via (omissis), non avvedendosi che, dall’opposto senso di marcia, sopraggiungeva il motociclo condotto dal D.L.. Con la manovra di svolta a sinistra, l’autovettura impegnava la corsia di marcia del D.L. , che imprimeva perciò una frenata al suo motociclo; il D.L. , dopo essersi staccato dalla moto, scivolava sull’asfalto e andava a impattare con la fiancata destra dell’auto. L’urto cagionava gravi lesioni al motociclista, il quale, il (omissis), decedeva.

Sulla scorta di un’ampia istruttoria dibattimentale (e, in particolare, del contributo di numerosi periti e consulenti tecnici), la Corte salentina, dopo avere confermato la ricostruzione della dinamica dell’incidente accolta dal primo giudice, disattendeva le doglianze dell’imputata appellante, ivi comprese quelle riferite all’interruzione del nesso causale fra la condotta della L. e l’evento-morte, che nell’atto di appello formava oggetto di contestazione in relazione alla presunta imperizia nelle cure prestate al D.L. dai medici dell’ospedale di (…).

Avverso la prefata sentenza ricorre la L. , per il tramite del suo difensore di fiducia.

Il ricorso consta di due motivi di lagnanza.

2.1. Con il primo motivo, la deducente lamenta violazione di legge, con particolare riferimento alla mancata esclusione del nesso di causalità fra condotta ed evento mortale. Si duole la ricorrente de fatto che i giudici di merito non abbiano ravvisato la portata interruttiva, sotto il profilo eziologico, delle condotte imperite e negligenti dei sanitari del nosocomio (omissis), con specifico riguardo alla puntura esplorativa toracica eseguita sul D.L. prima che questi fosse dimesso dall’ospedale e che, secondo l’anatomopatologo che eseguì l’autopsia sul cadavere dello stesso, ebbe rilevanza primaria nel prodursi dell’exitus: il fattore interruttivo non deve essere necessariamente avulso dall’antecedente causale, bastando che esso si ponga come fatto atipico ed eccezionale rispetto ad esso. Dopo avere evocato, al riguardo, la necessità di eseguire un ragionamento controfattuale onde stabilire se sussista o meno, sotto il profilo della probabilità logica, una dipendenza causale del decesso del D.L. dalla condotta della L. , si ribadisce che le condotte invasive poste in essere dai sanitari del’ospedale di (…) a oltre due mesi di distanza dall’incidente, per come ritenuto anche in sede peritale, hanno integrato una causa sopravvenuta di per sé idonea a interrompere il nesso di causalità fra la condotta addebitata all’imputata e la morte della persona offesa.

2.2. Con il secondo motivo di ricorso, l’esponente lamenta mancata assunzione di prova decisiva, con riguardo alla mancata esecuzione della rinnovazione parziale dell’istruzione dibattimentale e, in specie, di una perizia medico-legale, la cui decisività è stata liquidata dalla Corte di merito con motivazione lacunosa ed insufficiente; le opposte conclusioni cui sono pervenuti i periti e i consulenti a proposito della rilevanza causale delle condotte dei medici ospedalieri sul prodursi del decesso del D.L. muovono, oltretutto, da ricostruzioni fra loro diverse, per cui si poneva come necessaria una nuova perizia, nel rispetto del principio in base al quale l’affermazione di penale responsabilità dell’imputato si informa al principio dell’’oltre ogni ragionevole dubbio’.

Considerato in diritto

Il primo motivo di ricorso è infondato.

Esso appare infatti teso a proporre una rivalutazione fattuale del materiale probatorio, a fronte della quale deve constatarsi che il percorso argomentativo seguito dalla Corte di merito è adeguato e ispirato a criteri logici, non sindacabili in questa sede, oltreché perfettamente allineato alla costante giurisprudenza di legittimità sul punto.

1.1. Secondo il costante indirizzo espresso in materia dalla Corte regolatrice, correttamente richiamato nella sentenza impugnata, l’eventuale errore dei sanitari nella prestazione delle cure alla vittima di un incidente stradale non può ritenersi causa autonoma ed indipendente, tale da interrompere il nesso causale tra il comportamento di colui che ha causato l’incidente e la successiva morte del ferito: ciò in quanto l’errore medico non costituisce un accadimento al di fuori di ogni immaginazione, a maggior ragione nel caso in cui l’aggravamento della situazione clinica del ferito e la necessità di interventi chirurgici complessi risultino preventivabili in ragione della gravità delle lesioni determinate dall’incidente stradale (Sez. 4, n. 41293 del 04/10/2007, Taborelli, Rv. 237838). L’interruzione del nesso di causalità tra condotta ed evento può configurarsi solo quando la causa sopravvenuta innesca un rischio nuovo, incommensurabile e del tutto eccentrico rispetto a quello originario attivato dalla prima condotta (da ultimo vds. Sez. 4, Sentenza n. 15493 del 10/03/2016, Pietramala e altri, Rv. 266786; Sez. 4, Sentenza n. 3312 del 02/12/2016, dep. 2017, Zarcone, Rv. 269001); ma ciò non può affermarsi quando, come nella specie, l’eventuale comportamento negligente di un terzo soggetto trovi la sua origine e spiegazione nella condotta colposa altrui (cfr. in linea di principio Sez. 4, Sentenza n. 18800 del 13/04/2016, Bonanni, Rv. 267255).

1.2. Nel caso di che trattasi, peraltro, la ricorrente si limita a richiamare, quale elemento deponente per il sopravvenire di un fattore eziologico avente portata interruttiva, quanto sostenuto dall’anatomopatologo che eseguì l’autopsia, secondo il quale il fatto che venne praticata al D.L. una puntura esplorativa toracica avrebbe avuto rilevanza ‘primaria’ nel prodursi dell’evento mortale; ma, da un lato, ciò non consentirebbe comunque di affermare che tale condotta terapeutica si sarebbe collocata quale causa (sopravvenuta) introduttiva di un rischio eccentrico ed avulso da quello originariamente introdotto dalla condotta colposa della ricorrente, piuttosto che come (eventuale) concausa dell’evento; dall’altro, la Corte salentina ha accuratamente motivato la propria adesione, sul punto, alle conclusioni degli altri periti e dei consulenti del Pubblico ministero, i quali hanno escluso che la condotta terapeutica censurata dalla ricorrente abbia avuto rilevanza nel decorso causale che condusse alla morte del D.L..

Parimenti infondato è il secondo motivo di ricorso.

È, infatti, congrua e logicamente ineccepibile (e come tale insindacabile in questa sede) la motivazione resa dalla Corte leccese nell’accreditare la tesi, espressa da buona parte degli esperti sentiti in dibattimento, secondo la quale la causazione del decesso del D.L. ad opera della condotta alla guida della L. non risulta esclusa da fattori sopravvenuti (in specie, dalle cure prestate alla vittima presso il nosocomio (omissis)).

A fronte di ciò, appare pertinente richiamare alcuni principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità.

2.1. In primo luogo va ricordato che, in tema di prova, in virtù del principio del libero convincimento, il giudice di merito, pur in assenza di una perizia d’ufficio, può scegliere tra le diverse tesi prospettate dai consulenti delle parti, quella che ritiene condivisibile, purché dia conto con motivazione accurata ed approfondita, delle ragioni della scelta nonché del contenuto della tesi disattesa e delle deduzioni contrarie delle parti e, ove tale valutazione sia effettuata in modo congruo, è inibito al giudice di legittimità procedere ad una differente valutazione, trattandosi di accertamento di fatto, come tale insindacabile in sede di legittimità (da ultimo vds. Sez. 4, n. 8527 del 13/02/2015, Sartori, Rv. 263435); al riguardo va evidenziato come la pronunzia impugnata (ancor più se letta congiuntamente alla pronunzia di primo grado, trattandosi nella specie di ‘doppia conforme’) offre ampia ed argomentata contezza del convincimento della Corte territoriale circa la ricostruzione in fatto operata attraverso gli apporti dei consulenti, prendendo in esame le diverse ricostruzioni e valutandone criticamente il percorso argomentativo.

2.2. In secondo luogo, è iusreceptum che, nel dibattimento del giudizio di appello, la rinnovazione di una perizia può essere disposta soltanto se il giudice ritenga di non essere in grado di decidere allo stato degli atti (da ultimo vds. Sez. 2, n. 36630 del 15/05/2013 – dep. 06/09/2013, Bommarito, Rv. 257062: nella citata pronunzia la S.C. ha precisato che, in caso di rigetto della relativa richiesta, la valutazione del giudice di appello, se logicamente e congruamente motivata, è incensurabile in cassazione, in quanto costituente giudizio di fatto). La lettura degli atti rende evidente che, sulla scorta delle prove raccolte, non vi erano lacune probatorie colmabili attraverso una perizia su alcuno degli aspetti rilevanti ai fini della ricostruzione dell’accaduto.

2.3. In terzo luogo, deve considerarsi che il principio dell’’oltre ogni ragionevole dubbio’ non può essere utilizzato, nel giudizio di legittimità, per valorizzare e rendere decisiva la duplicità di ricostruzioni alternative del medesimo fatto emerse in sede di merito su segnalazione della difesa, se tale duplicità sia stata oggetto di puntuale e motivata disamina da parte del giudice di appello (ex multisvds. Sez. 1, n. 53512 del 11/07/2014, Gurgone, Rv. 261600; Sez. 5, Sentenza n. 10411 del 28/01/2013, Viola, Rv. 254579).

Non pare dubbio che, nel caso di specie, la ricostruzione logico-fattuale ricavabile dalla sentenza impugnata dia conto, con un percorso logico-argomentativo del tutto adeguato, di un’accurata disamina delle emergenze probatorie e della non configurabilità delle condizioni per una rinnovazione parziale dell’istruzione dibattimentale nei termini e secondo le modalità prospettati dalla ricorrente.

Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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