Cassazione10

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 19 febbraio 2016, n. 3259

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28642-2012 proposto da:

MINISTERO DELL’AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato ex lege in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui e’ rappresentato e difeso per legge;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) IN LIQUIDAZIONE S.P.A. ( (OMISSIS)), quale incorporante della Soc. (OMISSIS) S.P.A., che agisce sia in proprio, sia in qualita’ di soggetto incorporante la Societa’ (OMISSIS) S.P.A. IN LIQUIDAZIONE, in persona del Liquidatore e legale rappresentante p.t. Dott. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al controricorso;

(OMISSIS) S.P.A. IN LIQUIDAZIONE, quale incorporante di (OMISSIS) S.P.A. in LIQUIDAZIONE, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

(OMISSIS) S.P.A. (gia’ (OMISSIS) S.P.A.), COMUNE CARRARA;

– intimati –

Nonche’ da:

(OMISSIS) S.P.A. (gia’ (OMISSIS) S.P.A.), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale in calce al controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrente incidentale –

contro

MINISTERO DELL’AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE, (OMISSIS) S.P.A. IN LIQUIDAZIONE, (OMISSIS) S.P.A., (OMISSIS) S.P.A. IN LIQUIDAZIONE, COMUNE CARRARA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1026/2011 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 22/10/2011, R.G.N. 867/2008 e 881/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/11/2015 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI;

udito l’Avvocato (OMISSIS) per l’Avvocatura generale dello Stato;

udito l’Avvocato (OMISSIS);

udito l’Avvocato (OMISSIS);

udito l’Avvocato (OMISSIS);

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BASILE Tommaso, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso principale ed il rigetto di quello incidentale.

RITENUTO IN FATTO

1. – Nel (OMISSIS) fu sottoposto a sequestro penale l’impianto di produzione industriale del diserbante (OMISSIS), nel territorio del Comune di Carrara, e di proprieta’ della ANIC, venendo altresi’ disposta, dal Pretore di Carrara, perizia, a seguito della quale si accertava: che detto diserbante conteneva sostanze altamente tossiche, rinvenute anche in zone adiacenti allo stabilimento, ove erano state accumulate circa 500 tonnellate di prodotti tossici liquidi e solidi; che in un rifugio antiaereo ubicato all’interno dello stabilimento erano stati depositati rifiuti presumibilmente contenenti arsenico; che, all’interno ed all’esterno dello stabilimento, erano stati rinvenuti contenitori che, per il loro progressivo deterioramento, “consentivano lo sversamento nel terreno delle sostanze ivi contenute”; che in una occasione si era verificato un incidente “causato dalla rottura di un serbatoio corroso dall’acido solforico”, riversatosi nel terreno circostante.

All’esito di tale accertamento, il perito aveva ritenuto indispensabile una bonifica integrale della zona, per cui il Pretore di Carrara, in data 22 aprile 1986, aveva revocato il sequestro “condizionandolo all’adempimento delle operazioni necessario alla bonifica dello stabilimento e delle zone limitrofe”.

1.1. – Sicche’, nel novembre 1988 il Comune di Carrara convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Massa, la (OMISSIS) S.p.A. (gia’ (OMISSIS) S.p.A.) e, adducendo che la stessa (OMISSIS) non aveva provveduto ad eseguire gli interventi necessari di bonifica e che la situazione complessiva anzidetta “aveva comportato un inquinamento del terreno e delle falde acquifere e con cio’ un danno ambientale”, chiese che fosse dichiarato che la societa’ convenuta “era obbligata a bonificare i luoghi sopra indicati” e che fosse, altresi’, condannata “a risarcire i danni materiali e morali causati dalla sua condotta”.

1.2. – Nel costituirsi in giudizio la (OMISSIS) S.p.A. eccepi’, anzitutto, la carenza di legittimazione attiva del Comune di Carrara e quella passiva propria, avendo iniziato a gestire l’impianto industriale solo nel 1983, allorquando lo stesso era stato rilevato dall’ (OMISSIS) S.p.A. al fine di risanare le societa’ del gruppo (OMISSIS); chiese, quindi, di essere autorizzata a chiamare in causa la (OMISSIS) S.p.A., precedente proprietaria dell’azienda, nonche’ la (OMISSIS) S.p.A., proprietaria di alcuni impianti produttivi siti nell’area di (OMISSIS), e la capogruppo (OMISSIS) S.p.A.; nel merito, eccepi’ la prescrizione quinquennale dei diritti risarcitori e la fondatezza della pretesa.

1.3. – Il giudice adito autorizzo’ la chiamata in causa delle predette societa’, nonche’ integro’ il contraddittorio con il Ministero dell’ambiente, il quale, costituendosi, propose “domande risarcitorie analoghe” a quelle del Comune di Carrara, eccependo pero’ l’incompetenza territoriale del Tribunale di Massa in favore di quello di Genova.

Intervennero volontariamente anche il Ministero per il coordinamento della protezione civile e la Lega Ambiente.

1.4. – Accolta dal Tribunale di Massa tale eccezione, la causa fu riassunta dinanzi al Tribunale di Genova con citazione del 5 gennaio 1995, cui segui’ la costituzione in giudizio di tutte le predette parti, ad eccezione del Ministero del coordinamento della protezione civile e di Lega Ambiente.

1.5. – Il Tribunale di Genova – istruita la causa con espletamento di ispezione giudiziale e c.t.u. per “accertare l’esistenza di un danno ambientale, le cause che lo avevano determinato e se esso era o meno irreversibile” – con sentenza del 21 marzo 2008 respinse le domande proposte dal Comune di Carrara e dal Ministero dell’ambiente.

A tal fine, il giudice di primo grado osservo’ che, inapplicabili le disposizioni di cui alla Legge n. 349 del 1986, articolo 18 (per essere la stessa legge “intervenuta successivamente alla chiusura dello stabilimento e alla cessazione dell’attivita’”, avvenuta nel marzo-giugno 1984), neppure poteva essere affermata una responsabilita’ ex articolo 2043 c.c., in assenza di allegazioni specifiche sulla condotta illecita e sulle norme che sarebbero state violate, nonche’ in mancanza di prova di un danno ambientale, in quanto l’inquinamento era circoscritto allo stabilimento industriale.

2. – Avverso tale decisione proponevano appello sia il Comune di Carrara, che il Ministero dell’ambiente, nonche’, soltanto sul capo di sentenza relativo alla compensazione delle spese di lite, la (OMISSIS) S.p.A., gia’ (OMISSIS) S.p.A.

La Corte di appello di Genova, con sentenza resa pubblica il 22 ottobre 2011, rigettava tutte le impugnazioni, con integrale conferma della sentenza impugnata e compensazione delle spese del grado.

2.1. – La Corte territoriale osservava, anzitutto, che il danno ambientale fatto valere in sede di gravame dal Comune e dal Ministero riguardava soltanto la “contaminazione del terreno e della falda acquifera sottostanti la superficie del calpestio”, giacche’ l’area dello stabilimento (OMISSIS) era stata bonificata “per quanto attiene la parte sovrastante il suolo” e cio’ “a far data dal 1994” in forza di “interventi di risanamento consistiti nello smaltimento dei rifiuti stoccati nello stabilimento, nella bonifica e demolizione degli impianti produttivi e nella demolizione degli edifici fatiscenti e degradati”, cosi’ da “eliminare tutti i rifiuti e le sorgenti di contaminazione superiori al piano di campagna”.

2.2. – Il giudice di appello – precisato che il polo industriale interessato era stato gestito da diversi soggetti a partire dal 1935 – 1940, la’ dove la (OMISSIS) S.p.A., societa’ del gruppo (OMISSIS) S.p.A., ne era divenuta titolare dal gennaio 1983 – rilevava che “le lavorazioni svolte presso il sito di (OMISSIS)” erano “potenzialmente nocive”, che i prodotti ivi lavorati e le sostanze utilizzate “erano senza dubbio inquinanti” e che era “presumibile” che si potesse “essere verificata una contaminazione del sito, specificamente del terreno su cui esso insiste e della falda acquifera sottostante”.

2.3. – Ne’, soggiungeva la Corte ligure, aveva rilievo “la discussione sull’applicazione retroattiva” della Legge n. 349 del 1986, articolo 18 posto che tale disposizione aveva “funzione ricognitiva di diritti che gia’ ricevono tutela in forza delle norme della Costituzione e del generale divieto sancito dall’articolo 2043 c.c.”, della quale norma il citato articolo 18 era specificazione.

2.4. – Tuttavia, puntualizzava ancora il giudice di secondo grado, “l’azione di responsabilita’ civile presuppone l’illiceita’ della condotta che si afferma produttiva di danno, che deve essere realizzata contravvenendo a specifiche disposizioni di legge, o alla regole generali di diligenza e prudenza che devono regolare lo svolgimento di ogni attivita’”, quali principi di cui il Comune di Carrara non aveva “tenuto conto nel formulare la sua domanda”.

In tal senso, la (OMISSIS) era stata convenuta in giudizio in ragione unicamente dei fatti esposti dall’Amministrazione comunale, senza che gli stessi trovassero alcuna specificazione (tantomeno con l’evocazione, in sede di comparsa conclusionale, della disciplina sullo smaltimento dei rifiuti di cui alla Legge n. 915 del 1982, non essendo stata all'(OMISSIS) mai contestata alcuna violazione al riguardo), ne’ alcuna prova a supporto, giacche’: il dedotto verbale di ispezione della USL n. (OMISSIS) del (OMISSIS) aveva ad oggetto “violazioni alla normativa antinfortunistica”, non attinenti all’oggetto del giudizio; la “relazione redatta dal perito, Dott. (OMISSIS)” descriveva le condizioni dello stabilimento di (OMISSIS) nel periodo precedente al 1984, evidenziandone un deterioramento dovuto alla prolungata assenza di manutenzione, ma non mettendo in rilievo “alcun fatto significativo per potere affermare una responsabilita’ di (OMISSIS) per fatto illecito”; la “relazione del CTU prof. (OMISSIS)” aveva solo esaminato la situazione del reparto interessato all’incidente del (OMISSIS), concludendo che “era necessario bonificarlo essendosi in esso sprigionati fumi tossici, ma non ha approfondito le responsabilita’ e le cause dell’accaduto e non ha indicato le violazioni commesse”; la “relazione dell’ARPAT del 30/9/1996” ricostruiva soltanto le vicende storiche dello stabilimento e le modalita’ della sua bonifica.

Sicche’, concludeva la Corte di appello, la “genericita’ delle allegazioni attrici impedisce … di enucleare delle figure di illecito che possano giustificare un’affermazione di responsabilita’”.

2.5. – Il giudice del gravame escludeva, poi, che potesse giungersi ad un’affermazione di responsabilita’ dell’ (OMISSIS) S.p.A. in quanto ente gestore dell’area affetta da inquinamento ambientale, giacche’ lo stabilimento di (OMISSIS) era stato gestito dall'(OMISSIS) (cui era stato conferito dall’ (OMISSIS) S.p.A.) solo dal gennaio 1983 al marzo 1984 (allorquando venne chiuso dopo l’incidente del (OMISSIS)) e durante tale gestione furono prodotti soltanto “fertilizzanti ed erbicidi, in quanto gli impianti piu’ inquinanti, destinati alla produzione di acido citrico e di atrazina, che costituivano gli altri due settori di produzione della precedente proprietaria (OMISSIS), erano fermi da anni e in via di smantellamento e vennero esclusi dal trasferimento ad (OMISSIS)”.

2.6. – Peraltro, proprio una siffatta impostazione delle pretese risarcitorie (responsabilita’ derivante “non dall’individuazione degli illeciti commessi ma dall’esistenza di un inquinamento del sito di (OMISSIS)”) ne impediva l’accoglimento per prescrizione, giacche’, essendo “il fatto produttivo del danno … individuato nello svolgimento dell’attivita’ potenzialmente inquinante, la prescrizione del diritto al risarcimento non puo’ che essere fatta decorrere con la cessazione di tale attivita’”, che per le terze chiamate ( (OMISSIS) S.p.A., (OMISSIS) (OMISSIS) S.p.A. e (OMISSIS) S.p.A.) si era verificata nel 1981 (con il trasferimento ad (OMISSIS) delle attivita’ del gruppo), la’ dove la (OMISSIS) aveva iniziato la gestione dello stabilimento dal gennaio 1983, mentre la domanda giudiziale era stata notificata nel novembre 1988 e, dunque, decorsi i cinque anni di cui all’articolo 2947 c.c..

2.7. – La Corte territoriale soggiungeva che, proprio “la complessita’ delle vicende proprietarie dell’azienda e l’alternarsi di diversi soggetti negli anni”, avrebbero dovuto indurre ad una specifica “individuazione delle condotte illecite addebitate alla convenuta” ((OMISSIS)), mentre “i fatti che il Comune elenca negli atti introduttivi del giudizio, quali l’accumulo nello stabilimento di notevoli quantita’ di prodotti tossici solidi e liquidi, e la presenza di contenitori deteriorati che consentivano la fuoriuscita di sostanze anche tossiche, pur se astrattamente idonei a configurare degli illeciti, mancano pero’ della specificita’ e dei riscontri probatori necessari per trarne una affermazione di responsabilita’”. Erano, infatti, carenti allegazioni che consentissero “di apprezzare l’effettiva consistenza di tali episodi e le cause che li hanno provocati”, la’ dove gli stessi, per poter fondare la domanda risarcitoria per danno ambientale, “non devono essersi risolti in problematiche contingenti e transeunti, ma avrebbero dovuto ripetersi con una qualche continuita’ ed essere fatti oggetto di accertamenti specifici che ne enucleassero gli aspetti salienti”.

Il giudice di appello osservava, infatti, che l’ (OMISSIS) aveva contestato il “rilievo dei fatti addotti dal Comune”, deducendo : che solo alcuni impianti situati nello stabilimento (quelli per la produzione di concimi chimici e diserbanti) erano stati trasferiti, mentre le lavorazioni piu’ inquinanti erano state sospese da anni “e gli impianti per essere utilizzate non erano stati trasferiti in quanto la parte venditrice si era assunta l’onere di eliminarli”; che i rifiuti rinvenuti nello stabilimento “erano stati prodotti dalle precedenti proprietarie e non le erano stati trasferiti”, rimanendo in proprieta’ delle societa’ del gruppo (OMISSIS), impegnatesi “alla relativa bonifica”; l’episodio del (OMISSIS) aveva prodotto effetti limitati al reparto ove si era verificato, “il quale era stato da essa interamente bonificato”; la fuoriuscita di acido solforico da un serbatoio di stoccaggio, avvenuta il (OMISSIS), rappresentava “un modestissimo episodio che non aveva provocato alcun danno”, essendosi rimediato immediatamente anche con l’intervento della USL e di altri organi di controllo.

La Corte territoriale rilevava, ancora, che l’espletata c.t.u. era incentrata “sulle analisi effettuate per – riscontrare l’entita’ e la diffusione dell’inquinamento ambientale ma non si occupa di individuare i possibili responsabili e tantomeno le condotte causa del danno riscontrato”.

2.8. – Ne’, infine, poteva giungersi ad un accoglimento della domanda in base all’articolo 2050 c.c., in quanto titolo di responsabilita’ che era stato allegato solo in grado di appello e, dunque, tardivamente, trattandosi di domanda nuova rispetto a quella fondata sull’articolo 2043 c.c..

2.9. – Quanto, poi, al gravame della (OMISSIS) S.p.A. sulla compensazione delle spese di lite di primo grado, il giudice di appello rilevava che ne sussistevano giusti motivi, stante “la complessita’ della situazione di fatto su cui s’innestano le domande oggetto di causa, il fatto che e’ indubbio siano state poste in essere condotte idonee a produrre un inquinamento del suolo su cui e’ sito lo stabilimento”, la’ dove il rigetto delle pretese attoree derivava “dalla difficolta’ d’individuare, a distanza di tempo, i possibili responsabili”.

Ragioni, quelle anzidette, che consentivano la compensazione integrale anche delle spese di gravame.

3. – Per la cassazione di tale sentenza ricorre il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare sulla base di quattro motivi.

Resiste con controricorso la (OMISSIS) S.p.A. in liquidazione (quale incorporante di (OMISSIS) S.p.A. in liquidazione), la (OMISSIS) ( (OMISSIS)) S.p.A. in liquidazione (quale incorporante la (OMISSIS) S.p.A., che agisce sia in proprio sia in qualita’ di soggetto incorporante la (OMISSIS) S.p.A. in liquidazione), nonche’ la (OMISSIS) S.p.A. (gia’ (OMISSIS) S.p.A.); quest’ultima ha anche proposto ricorso incidentale sulla base di un unico motivo.

Non ha svolto attivita’ difensiva in questa sede l’intimato Comune di Carrara.

Tutte le parti costituite hanno depositato memoria.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. – Con il primo mezzo del ricorso principale del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e’ denunciata, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’articolo 2043 c.c., della Legge n. 349 del 1986, articolo 18 e del Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 311 in relazione all’articolo 2947 cod. civ.

La Corte territoriale – pur avendo correttamente riconosciuto che la tutela per il danno ambientale non puo’ essere limitata al periodo successivo alla Legge n. 349 del 1986 e che la “responsabilita’ della contaminazione del terreno e delle falde debba essere ascritta alle attivita’ industriali esercitate dalle precedenti proprietarie dello stabilimento” (cioe’ (OMISSIS) S.p.A., (OMISSIS) S.p.A. e la capogruppo (OMISSIS) S.p.A.) – avrebbe errato a ritenere che dette societa’ e la loro controllante non possano rispondere a titolo risarcitorio sul presupposto che l’azione nei loro confronti sarebbe prescritta per decorso del termine quinquennale di cui all’articolo 2947 cod. civ., essendo la domanda giudiziale del 1988, mentre l’attivita’ produttiva gia’ esercitata dalle predette societa’ ormai cessata dal 1981.

Difatti, contrariamente a quanto opinato dal giudice di appello, il danno ambientale risarcibile avrebbe, invece, natura permanente e perdurerebbe sino “a quando non si sia provveduto a rimuovere le sostanze disperse nell’ambiente, in adempimento di un obbligo legale che grava sull’autore della contaminazione”, per cui la responsabilita’ di quest’ultimo (nella specie, delle predette societa’ “che hanno operato nella zona prima della acquisizione degli impianti da parte dell’ (OMISSIS) S.p.A.”) e’ conseguenza anche della sua condotta omissiva, in relazione alla mancata bonifica ambientale e, dunque, all’eliminazione dei danni prodotti.

1.1. – Il motivo – ammissibile nella sua formulazione sotto il profilo della specificita’ ed autosufficienza (individuando lo specifico impianto motivazionale soggetto alla denuncia di violazione di legge in forza di congruenti critiche, oltre ad aver evidenziato le pertinenti ragioni di appello a suo tempo veicolate sulla questione della prescrizione) – e’ fondato nei termini di seguito precisati.

1.1.1. – La censura investe, per l’appunto, la statuizione relativa alla ravvisata maturazione (al momento della notificazione della citazione in giudizio nel novembre 1988) della prescrizione (quinquennale) dell’illecito ambientale in capo alle sole societa’ gruppo (OMISSIS), terze chiamate in causa, per lo svolgimento dell’attivita’ di chimica industriale nel sito di (OMISSIS) dagli anni 1935-1940 sino al 1981, epoca di cessazione di detta attivita’ per trasferimento degli impianti all’ (OMISSIS).

La ratio decidendi che sorregge tale statuizione si snoda attraverso un percorso che muove dalla premessa – ipotizzata dalle parti attrici, ma non negata in iure dallo stesso giudice del merito, che ne saggia la non praticabilita’ esclusivamente in punto di fatto o sotto il diverso profilo della intervenuta prescrizione – della configurabilita’ di una responsabilita’ per danno ambientale di chi gestisce il sito di cui si e’ riscontrata la presenza dell’inquinamento (p. 15 sentenza d’appello; cfr. anche sintesi ai par. 2.5. e 2.6. del “Ritenuto in fatto”, cui si rinvia). Cio’ che lo stesso giudice di secondo grado pone in rilievo (p. 12 della sentenza di appello; cfr. anche sintesi al par. 2.2. del “Ritenuto in fatto”, cui si rinvia) in riferimento alla contaminazione del terreno e della falda acquifera sottostante all’area del sito industriale.

In altri termini, la Corte territoriale, in forza di un ragionamento calibrato su inferenze logiche, ritiene presumibile che chi gestisce attivamente un sito inquinato possa essere responsabile dell’inquinamento stesso, posto, peraltro, che in detto sito la gestione e’ quella della produzione industriale chimica.

1.1.2. – Tuttavia, proprio in base ad un siffatto ragionamento, la Corte ligure ha escluso, in facto, che la presunzione potesse valere per (OMISSIS), giacche’ la relativa gestione del sito di (OMISSIS) si era protratta in tempi limitati (poco piu’ di un anno) e in riferimento ad agenti chimici poco inquinanti (fertilizzanti ed erbicidi), posto che gli impianti “piu’ inquinanti” (quelli che producevano acido citrico e atrazina) – costituenti altri due settori produttivi della (OMISSIS) – “erano fermi da anni e in via di smantellamento e vennero esclusi dal trasferimento ad ENI”.

1.1.3. – La stessa Corte di merito non ha, pero’, ritenuto di escludere “in. astratto” la validita’ probatoria della medesima presunzione nei confronti delle societa’ del gruppo (OMISSIS) – rispetto alla posizione delle quali la resistenza “in fatto” e “in concreto” del ragionamento logico inferenziale non viene affatto saggiata – ma ha assunto come dirimente (e assorbente) la prescrizione del diritto al risarcimento nei loro confronti, individuando il dies a quo del relativo termine prescrizionale dalla “cessazione” della “attivita’ potenzialmente inquinante”, che coincideva “al piu’ tardi … con il trasferimento all’ (OMISSIS) delle attivita’ del gruppo (OMISSIS) e dunque con il 1981”.

1.1.4. – Cosi’ da intendersi la ratio decidendi della sentenza impugnata in questa sede, cadono i rilievi mossi, dalle parti controricorrenti, in ordine all’asserita mancata impugnazione della statuizione di difetto di responsabilita’ civile per danno ambientale in capo alle societa’ del gruppo (OMISSIS), terze chiamate in causa, che, come tale, non e’ invece ravvisabile nella sentenza della Corte di appello.

Del resto, la posizione delle anzidette societa’ ( (OMISSIS) S.p.A., (OMISSIS) S.p.A. e (OMISSIS) S.p.A.; attualmente, (OMISSIS) S.p.A. in liquidazione e (OMISSIS) S.p.A. in liquidazione), quanto alla domanda risarcitoria per responsabilita’ civile per danno ambientale, non viene dal giudice del gravame fatta oggetto di alcuna ulteriore indagine sotto altri e/o diversi profili, giacche’ la sentenza impugnata si incentra, per il resto, esclusivamente sulla dedotta responsabilita’ civile dell’ (OMISSIS) S.p.A. (attualmente (OMISSIS) S.p.A.), rispetto alla quale soltanto ne viene delibata l’insussistenza, per difetto di specifiche allegazioni e riscontri probatori (cfr., segnatamente, sintesi ai parr. 2.4. e 2.7. del “Ritenuto in fatto”, cui si rinvia).

Sicche’, non puo’ affatto reputarsi, contrariamente a quanto dedotto dalle controricorrenti (e ribadito nelle rispettive memorie) – che sia mancata una specifica censura da parte del Ministero ricorrente sulla negata responsabilita’ civile di dette societa’ (tanto da determinare, sul punto, il passaggio in giudicato della pronuncia di appello), giacche’ – come evidenziato – una siffatta statuizione negativa non e’ affatto ravvisabile nella sentenza impugnata, mentre, al contrario, ne e’ apprezzabile una in termini positivi, seppure in via meramente astratta ed ipotetica (in assenza di accertamento concreto in fatto), tale da costituire soltanto il viatico per la decisione in base alla ragione “piu’ liquida” sulla prescrizione dell’azione di risarcimento del danno ambientale.

1.1.5. – Cio’ posto, il principio di diritto che, nella specie, deve trovare applicazione e’ quello, enunciato da Cass., 6 maggio 2015, n. 9012, cosi’ massimato: “In materia di danno ambientale, la condotta antigiuridica consiste nel mantenimento dell’ambiente nelle condizioni di danneggiamento, sicche’ il termine prescrizionale dell’azione di risarcimento inizia a decorrere solo dal momento in cui tali condizioni siano state volontariamente eliminate dal danneggiante ovvero la condotta sia stata resa impossibile dalla perdita incolpevole della disponibilita’ del bene da parte di quest’ultimo”.

1.1.6. – Si tratta di principio che, sebbene relativo a fattispecie di danno ambientale determinatosi in costanza della vigenza della Legge n. 349 del 1986, articolo 18 (per fatti precedenti al 1994 o a partire da tale epoca) , e’ predicabile anche in riferimento a fattispecie sussumibile nell’articolo 2043 cod. civ., come quella in esame.

Questa Corte ha piu’ volte affermato che l’ambiente in senso giuridico, quale bene unitario ma anche immateriale, e’ espressione di un autonomo valore collettivo, specifico oggetto, come tale, di tutela da parte dell’ordinamento, che non si e’ realizzata soltanto a partire dalla Legge n. 349 del 1986, il cui articolo 18, sebbene quale norma non retroattiva, ha avuto soltanto una funzione ricognitiva di un assetto che gia’ trovava radice nella Carta costituzionale (articoli 2, 3, 9, 32, 41 e 42 Cost.) e, ai fini di una tutela piena ed organica, nell’articolo 2043 cod. civ. (cfr., tra le altre, Cass., 3 febbraio 1998, n. 1087; ma, analogamente, per l’affermazione che l’articolo 18 cit. non ha introdotto nel nostro ordinamento una nozione di danno ambientale, Cass., 10 ottobre 2008, n. 25010 e Cass., 7 marzo 2013, n. 5705), la’ dove il citato articolo 18 e’ intervenuto a definire e tipizzare l’illecito ambientale, richiedendo, quale elemento costitutivo, una condotta dolosa o colposa che sia violatrice “di disposizioni di legge o di provvedimenti adottati in base a legge, che comprometta l’ambiente, ad esso arrecando danno, alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto o in parte”.

Pertanto, ai fini dell’integrazione della responsabilita’ civile per danno ambientale in relazione a fatti anteriori alla Legge n. 349 del 1986 – e, dunque, ai sensi dell’articolo 2043 cod. civ. – il danno ingiusto (ossia l’evento lesivo della modificazione, alterazione o distruzione dell’ambiente naturale considerate da un mero punto di vista obiettivo, nella sua materialita’) deve essere determinato da una condotta, attiva od omissiva, sorretta dall’elemento soggettivo intenzionale e cioe’ dal dolo o dalla colpa. Mentre, nella vigenza della legge speciale, la predetta condotta deve anche essere qualificata dalla “violazione di disposizioni di legge o di provvedimenti adottati in base a legge”.

Quindi, anche in epoca precedente all’entrata in vigore della Legge n. 349 del 1986, rileva la condotta colposa o dolosa di danneggiamento dell’ambiente, nei termini anzidetti, che persiste nel tempo sino a quando il danneggiante mantenga (in base a libera determinazione, sempre reversibile) le condizioni di lesione ambientale (nella specie, di inquinamento) che sono dipese dal suo stesso comportamento.

Di talche’, la prescrizione inizia a decorrere dalla cessazione della situazione illegittima anzidetta ovvero dalla perdita di disponibilita’ del bene “ambiente” danneggiato, non potendosi piu’ determinare liberamente rispetto ad esso.

1.1.7. – Una tale ricostruzione giuridica, contrariamente a quanto dedotto nel ricorso e (sia pure genericamente) accennato dalle controricorrenti (in particolare, (OMISSIS), ma anche (OMISSIS)), non fa leva sull’esistenza di un “obbligo legale” di provvedere alla bonifica del sito contaminato e al ripristino ambientale delle aree compromesse e, segnatamente, sulla disciplina che un tale obbligo pone (va) in capo al soggetto che inquina (Decreto Legislativo n. 22 del 1997, articolo 17 poi abrogato dal Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 264 con annessa previsione di regolamentazione transitoria), cosi’ da individuare, anche in funzione della decorrenza della prescrizione, una condotta omissiva in contrasto con l’obbligo ex lege di attivarsi ai predetti fini, la quale, tuttavia, non potrebbe ritenersi imposta retroattivamente (sulla efficacia irretroattiva del richiamato articolo 17 cfr., tra le altre, Cass. n. 5705 del 2013, cit.).

E’ evidente, infatti, la differenza che corre tra la situazione che attiene alla cessazione di una condotta lesiva, di compromissione del bene ambiente, con relativa rimozione delle condizioni che la determinino, e la situazione che fa leva, invece, sul comportamento (direttamente imposto dalla legge) volto a porre in essere misure, lato sensu, ripristinatorie della funzionalita’ ambientale del sito inquinato.

1.1.8. – Non e’, poi, da reputare pertinente rispetto alla fattispecie in esame il precedente giurisprudenziale Cass., 22 aprile 2013, n. 9711, cosi massimato: “Ha natura di illecito istantaneo con effetti permanenti quello che determini un danno da inquinamento, dal momento che la condotta lesiva consiste in un fatto quod unico actu perfecitur, cioe’ destinato ad esaurirsi in una dimensione unitaria (sul piano logico e sostanzialmente cronologico) di concreta realizzazione, a prescindere dalla eventuale diacronia dei relativi effetti” evocato dalle parti controricorrenti (segnatamente, (OMISSIS)), giacche’ esso ha riguardo al danno (non patrimoniale) alla persona in conseguenza di inquinamento ambientale e non gia’ al danno all’ambiente quale bene autonomamente inteso, nei termini sopra evidenziati, per il cui risarcimento e’ causa.

1.1.9. – Nell’opera di sussunzione della fattispecie materiale nel paradigma normativo di riferimento (articoli 2934, 2935 e 2947 cod. civ.), la Corte territoriale non ha fatto corretta applicazione del principio di diritto operante nel caso sottoposto alla sua cognizione.

Il giudice del merito ne ha, infatti, colto solo in parte la portata effettuale, individuando – quale illecito permanente, in quanto correlato alla condotta che si protrae nel tempo ed alimenta continuamente l’evento dannoso (tra le altre, Cass., 1 febbraio 1995, n. 1156) – il termine di decorrenza della prescrizione quinquennale (da illecito aquiliano) nella cessazione dell’attivita’ di produzione industriale inquinante (per trasferimento degli impianti all’ENI), senza, pero’, dare effettivo rilievo (e non solo nella stessa esegesi) all’eliminazione delle condizioni , inquinanti del sito ad opera dello stesso danneggiante (ovvero, le societa’ del gruppo (OMISSIS)).

La Corte ligure, sebbene abbia accennato al fatto che i settori piu’ inquinanti, “fermi da anni e in via di smantellamento”, erano stati esclusi dal suddetto trasferimento, non ha poi considerato come potesse una tale situazione In facto escludere, in lure, la decorrenza del dies a quo della prescrizione a fronte della persistente disponibilita’ di taluni impianti nocivi in capo alla predette societa’ e senza che abbia affermato esservi stata la completa elisione delle cause di inquinamento del terreno e della relativa falda acquifera.

1.1.10. – In siffatti precisati termini il motivo va, quindi, accolto, avendo il giudice di appello effettuato in modo incompiuto, e non del tutto correttamente, la sussunzione dei fatti accertati nella fattispecie legale della prescrizione alla luce del principio di diritto sopra enunciato.

Principio che e’ stato inteso solo parzialmente nella sua piu’ ampia portata, operandosi, quindi, una correlata valutazione monca della situazione all’uopo rilevante: persistente disponibilita’ degli impianti piu’ inquinanti e incertezza sulla effettiva eliminazione della condizioni di lesivita’ ambientale del sito.

Cio’ restando impregiudicati non solo il piu’ approfondito apprezzamento dei suddetti fatti ai fini dell’operativita’, o meno, della prescrizione, ma, ovviamente, anche la questione relativa alla sussistenza della responsabilita’ delle stesse societa’ del gruppo (OMISSIS), quale delibazione che – come sopra detto – e’ stata compiuta soltanto in astratto e in funzione della decisione sulla ragione “piu’ liquida” della prescrizione dell’azione risarcitoria.

2. – Con il secondo mezzo del ricorso principale e’ dedotta, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’articolo 2558 cod. civ., in relazione all’articolo 2043 cod. civ., Legge n. 349 del 1986, articolo 18 e Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 311.

La Corte di appello avrebbe errato a ritenere che la (OMISSIS) S.p.A. (gia’ (OMISSIS) S.p.A. e poi (OMISSIS) S.p.A.) non sia “tenuta a rispondere dell’adempimento delle obbligazioni sorte a carico della propria dante causa soc. (OMISSIS) s.p.a. per gli illeciti ambientali da essa commessi”.

Una siffatta impostazione sarebbe contraria al principio, dettato dal Trattato U.E., “chi inquina paga”, il quale potrebbe essere facilmente aggirato ove il soggetto responsabile dell’inquinamento ceda l’azienda ad un terzo (cosi da non rispondere del danno per aver cessato l’attivita’) ed il terzo cessionario non ne risponda perche’ non responsabile personalmente dell’inquinamento.

Dovrebbe, invece, trovare applicazione il principio generale desumibile dall’articolo 2555 c.c. e ss., per cui il cessionario subentra in tutti i rapporti attivi e passivi relativi all’azienda ceduta e, tra questi, vanno “ricompresi quelli che derivano da obbligazioni ex lege, come quelli relativi alla riparazione dei danni ambientali prodotti”.

In particolare, la disposizione dell’articolo 2558 cod. civ. che si riferisce alla successione nei rapporti contrattuali, “deve essere estensivamente riferita a tutti i rapporti di natura obbligatoria, ivi compresi i rapporti nei confronti della pubblica Amministrazione che attengono al risarcimento dei danni arrecati all’ambiente dalla attivita’ produttiva trasferita dal precedente al nuovo titolare dell’azienda”, essendo la contaminazione del sito rispetto al quale opera la successione un “fatto notorio” (nella specie, “per effetto delle produzioni chimiche altamente inquinanti operate nel passato dalla soc. (OMISSIS) s.p.a.”).

2.1. – Il motivo e’ inammissibile.

E’ principio consolidato quello per cui, ove una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga detta questione in sede di legittimita’ ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilita’ per novita’ della censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di Cassazione di controllare ex actis la veridicita’ di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa (tra le altre, Cass., 28 luglio 2008, n. 20518; Cass., 22 gennaio 2013, n. 1435).

Nella specie, la sentenza della Corte di appello di Genova non affronta affatto la questione della responsabilita’ civile della (attualmente) (OMISSIS) per danno ambientale ex articolo 2558 cod. civ., la quale questione, all’evidenza, implica anche articolati accertamenti in fatto sulla portata della dedotta cessione aziendale – e sulle risultanze dei libri contabili, assumendo rilievo, sotto tale profilo, la norma di riferimento di cui all’articolo 2560 cod. civ. -, essendosi la relativa complessa vicenda (appena accennata in sentenza come fatto storico) finanche atteggiatasi con la riserva di taluni impianti in capo al cedente gruppo (OMISSIS).

Sicche’, avendo il ricorrente Ministero del tutto taciuto di aver instaurato il contraddittorio sulla questione anzidetta gia’ nel giudizio di merito, il motivo che la veicola in questa sede (in guisa di thema decidendum da reputarsi nuovo) e’ inammissibile.

3. – Con il terzo mezzo del ricorso principale e’ prospettata, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’articolo 2043 cod. civ., della Legge n. 349 del 1986, articolo 18 e del Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 311 nonche’ dedotto vizio di motivazione ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

La Corte territoriale avrebbe errato ad escludere “la sussistenza di una responsabilita’ diretta” della (OMISSIS) S.p.A. (gia’ (OMISSIS) S.p.A. e gia’ (OMISSIS) S.p.A.) “nella determinazione dei fatti dannosi per cui e’ causa”, mancando di valutare in modo logico ed adeguato i fatti che fonderebbero la corresponsabilita’ di detta societa’ per gli “illeciti rilevati”, in ragione “dei propri comportamenti sia commissivi che emissivi”.

Sotto un primo profilo (sub 3.1. del ricorso), il giudice di appello avrebbe incongruamente negato rilevanza all’attivita’ produttiva esercitata dalla (OMISSIS) nel periodo dall’acquisto dell’azienda (1981) al (OMISSIS), “allorquando si e’ verificato l’incidente rilevante che ha condotto alla chiusura dello stabilimento”.

Sarebbe, infatti, illogico affermare una tale estraneita’ alla vicenda solo perche’ la (OMISSIS) avrebbe prodotto “fertilizzanti ed erbicida” e non pure acido citrico ed atrazina (che rappresentavano gli altri due settori di produzione della (OMISSIS)), giacche’ cio’ non escluderebbe che la sola produzione di fertilizzanti ed erbicidi non “costituisse anch’essa concausa significativa nei processi di contaminazione”, non risultando affatto che le sostanze nocive rinvenute nel sottosuolo fossero “incompatibili con l’attivita’ che la cessionaria dell’azienda ha continuato a svolgere in loco”, posto, peraltro, che l’incidente che ha portato alla chiusura dello stabilimento si e’ verificato proprio nel corso dell’attivita’ produttiva dell’ANIC.

Sotto un secondo articolato profilo (sub 3.2. e relativi sottoparagrafi del ricorso), la Corte territoriale avrebbe incongruamente ignorato gli addebiti di responsabilita’ della (OMISSIS) “connessi al tardivo avvio ed all’inadeguato svolgimento delle doverose attivita’ di prevenzione, di messa in sicurezza e di bonifica del sito, nonostante la persistente giacenza di enormi quantita’ di rifiuti pericolosi in contenitori in grave stato di deterioramento”, che da esso Ministero (e dallo stesso Comune di Carrara) erano stati rappresentati con la comparsa conclusionale in appello.

Il “giudice di appello non avrebbe negato che l’accumulo di notevoli quantita’ di prodotti tossici fosse astrattamente idonea a configurare un danno ambientale, ma avrebbe assunto, in modo contraddittorio e incoerente, che le allegazioni sui fatti erano generiche e contrastate dalle difese di controparte, svalutando, pero’, “le numerose relazioni in atti” (quella del dott. (OMISSIS), quella del dott. (OMISSIS) e quella dell’ (OMISSIS)), che dimostrerebbero un grave stato di contaminazione necessitante di immediati interventi di ripristino ambientale.

La Corte territoriale non avrebbe, poi, tenuto in nessun conto la c. t. u. espletata in primo grado, da cui emergeva che, dalla data dell’incidente del (OMISSIS) (data di conclusione della indagine sui livelli di contaminazione del sito disposta dal Ministero della protezione civile) – e “verosimilmente fino almeno all’anno 1994 (data dei primi interventi di messa in sicurezza)” -, nello stabilimento vi era “la presenza diffusa di varie sostanze tossiche”, cosi’ da potersi desumere “elementi assai specifici che attestano la mancata adozione delle doverose misure di prevenzione, volte alla rimozione delle sostanze nocive presenti nello stabilimento”, tanto da integrare “gli estremi delle responsabilita’ per omissione, che la stessa Corte di appello ritiene configurabile in astratto”.

Sarebbe, poi, inadeguata ed illogica la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui esclude la responsabilita’ della (OMISSIS) “per i rifiuti presenti nello stabilimento” perche’ “prodotti dalle precedenti proprietarie”, non essendo ammissibile che quest’ultime si fossero riservate la proprieta’ dei rifiuti pericolosi lasciati in giacenza, in quanto gli obblighi di smaltimento derivano da norme di ordine pubblico e non derogabili dai privati.

Inoltre, la Corte di appello avrebbe equivocato la difesa di esso Ministero sugli interventi di bonifica attivati nell’anno 1994, con cio’ intendendosi evidenziare che i rifiuti inquinanti e gli impianti fatiscenti erano “rimasti abbandonati in sito per oltre 10 anni, durante i quali hanno conservato la loro potenziale capacita’ di contaminazione”.

La Corte ligure non avrebbe poi affatto considerato le “documentate difese dell’Amministrazione” (memoria difensiva del 10 giugno 2009 con allegati documenti) riguardanti gli sviluppi del procedimento attivato ai sensi del Decreto Legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, articolo 17 … allo scopo di mettere in sicurezza e di bonificare il sito inquinato”, dalle quali emergeva: che nel 2002 (nel corso di indagini previste dal “piano di caratterizzazione”) erano stati riscontrati “superamenti dei valori di legge per i parametri” di numerosi sostanze tossiche; che nel 2004/2005 erano stati adottati interventi di messa in sicurezza dei suoli e della falda acquifera; che i lavori di numerose Conferenze decisorie (dal 2004 al 2007) avevano evidenziato la “necessita’ di integrare l’intervento di messa in sicurezza, al fine di impedire la diffusione della contaminazione verso l’esterno dell’area in esame, e di effettuare consistenti attivita’ di bonifica”, con rimozione di ingente volume di terreno in base ad “apposito progetto che la soc. (OMISSIS) s.p.a. aveva l’onere di redigere e di sottoporre ad approvazione”.

Di qui, la prova, trascurata dalla Corte territoriale, circa il fatto che la (OMISSIS) aveva provveduto solo dopo venti anni dalla cessazione della attivita’ – e dunque tardivamente – ad una parziale messa in sicurezza del sito e, dunque, la prova di un persistente comportamento omissivo in ordine al danno ambientale presente sul terreno di sua proprieta’, dovendo il proprietario stesso quantomeno attivarsi urgentemente “per evitare che l’esistente inquinamento si aggravi ulteriormente”, come del resto affermato dalla stessa giurisprudenza eurounitaria.

Infine, la motivazione della sentenza impugnata sarebbe insufficiente ed illogica nella parte in cui svaluta “la rilevanza dei gravi episodi che si sono verificati nello stabilimento gestito dalla (OMISSIS) s.p.a.”, ossia quello del (OMISSIS) (che ha portato alla cessazione dell’attivita’ produttiva) e quello della fuoriuscita di arsenico avvenuta il (OMISSIS).

3.1. – Il motivo – le cui censure si rivolgono alla motivazione della sentenza di appello che ha escluso una responsabilita’ diretta della (attuale) (OMISSIS) sia per comportamenti propri di inquinamento, sia per “omessa e/o tardiva attivazione nella bonifica” del sito di (OMISSIS) – non puo’ trovare accoglimento.

3.1.1. – Esso e’ inammissibile quanto alla denunciata violazione e falsa applicazione di legge ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 giacche’ – ancor prima di confrontarsi con i contenuti della giurisprudenza di questa Corte nella materia implicata (secondo il paradigma di cui all’articolo 360-bis cod. proc. civ.) – non veicola affatto un error in iudicando, neppure sotto il profilo del vizio di sussunzione, limitandosi a postulare in astratto – e, in sostanza, nella sola rubrica del motivo – la violazione di una serie di disposizioni, rispetto alla quale manca di argomentare nell’ottica della specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie (tra le tante, Cass., 26 giugno 2013, n. 16038).

Dunque, oltre a non porsi alcuna effettiva questione sull’interpretazione delle norme che si deducono implicate e regolatrici del caso concreto, anche il profilo della loro applicazione alla fattispecie materiale e’ estraneo alla doglianza cosi come prospettata, non venendo criticata la valutazione del giudice del merito nel porre in relazione la fattispecie legale rettamente interpretata con quella concreta, cosi come ricostruita dal medesimo giudice (cfr., tra le altre, Cass., sez. un., 18 novembre 2010, n. 23287; Cass., 28 novembre 2007, n. 24756; Cass., 26 settembre 2005, n. 18782), bensi’ collocando la denuncia sul diverso piano dell’erroneita’ della ricognizione, ad opera sempre del giudice di merito, della fattispecie concreta tramite le risultanze di causa.

Il che, piuttosto, viene a configurarsi come censura consentanea al paradigma legale di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nella formulazione antecedente alla novella legislativa del 2012.

Ed e’ proprio sotto il profilo della denuncia di un vizio di motivazione che si orienta, del resto, l’intero mezzo.

3.1.2. – A tal riguardo, occorre premettere, in linea piu’ generale, che lo scrutinio di questa Corte in ordine a censure che veicolino vizi riconducibili al n. 5 del richiamato articolo 360 e’ uno scrutinio “stretto”, nel senso che esso – per conformarsi ai caratteri che l’ordinamento processuale imprime al giudizio di legittimita’ – non puo’ oltrepassare determinati limiti, posti a presidio di una non consentita ingerenza nel “merito” della decisione assunta dal giudice “del fatto” che ha emesso la sentenza impugnata. E’ in quest’ottica, dunque, che la giurisprudenza di questa Corte (tra le tante, Cass., 21 agosto 2006, n. 13214; Cass., 26 gennaio 2007, n. 1754; Cass., 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass., 14 novembre 2013, n. 25608) ha affermato che la delibazione sulla motivazione, denunciata con ricorso per cassazione, si configura come uno scrutinio sulla logicita’ del giudizio di fatto e non consente, dunque, un riesame del merito dell’intera vicenda processuale, ma soltanto la facolta’ di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito. A quest’ultimo spetta, quindi, dare adeguata contezza dell’iter logico-argomentativo seguito per giungere ad una determinata conclusione, ma, a tal fine, al medesimo giudice del merito e’ riservato in via esclusiva il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilita’ e la concludenza, di scegliere e bilanciare (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge), tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicita’ dei fatti ad essi sottesi. Sicche’, la revisione del “ragionamento decisorio”, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, deborda dai confini della giurisdizione di legittimita’ e si risolve, invero, in una nuova formulazione del giudizio di fatto, riservato esclusivamente, come detto, allo stesso giudice del merito. Ne consegue che il preteso vizio della motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorieta’ della stessa, puo’ legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia (a tal fine occorrendo che emerga necessariamente un rapporto di causalita’ fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data alla controversia, tale da far ritenere che quella circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione della vertenza, con un giudizio di certezza e non di mera probabilita’), ovvero quando esista insanabile contrasto fra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione.

3.1.3. – Scrutinata alla luce dei principi appena ribaditi, la decisione assunta dalla Corte territoriale (cfr. sintesi ai da par. 2.1. a par. 2.7. del “Ritenuto in fatto”, cui si rinvia integralmente) si sottrae alle censure mosse dal ricorrente (sia sub 3.1., che sub 3.2. e relativi sottoparagrafi), le quali – al di la’ delle carenze strutturali che le stesse presentano (e sulle quali si dira’ piu’ avanti) – convergono essenzialmente in una critica ab externo del ragionamento decisorio seguito dal giudice del merito, mettendo in risalto non gia’ effettive e decisive insufficienze, illogicita’ o aporie insanabili che affliggano intrinsecamente detto ragionamento, ma un diverso percorso logico argomentativo, sulla scorta di una propria lettura critica delle emergenze probatorie, che, seppur plausibile, non inficia la plausibilita’ che, del pari, assiste la alternativa ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito, in forza dell’esame del complessivo corredo probatorio, al quale soltanto – come innanzi detto – spetta il compito di conchiudere il “giudizio di fatto”.

3.1.4. – Peraltro, le doglianze mosse dal Ministero si presentano irritualmente confezionate anche sotto profili ulteriori rispetto a quello gia’ evidenziato e, anzitutto, la’ dove delle varie risultanze processuali documentali (c.t.u. (OMISSIS); c.t.u. (OMISSIS); relazione (OMISSIS)), di cui si assume l’insufficiente o contraddittoria valutazione da parte del giudice del merito, oltre a non darsi contezza dei contenuti all’uopo rilevanti (ma solo adducendone la asserita portata favorevole alle tesi dello stesso ricorrente), non viene indicata la sede in cui nel fascicolo d’ufficio o in quelli di parte esse siano rinvenibili, con conseguente violazione del disposto di cui all’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6 (tra le tante, Cass., 24 ottobre 2014, n. 22607).

Nondimeno, a parte le (ancorche’) generiche censure svolte sub 3.1. del ricorso, le sole che investano la motivazione che ha negato sussistere una responsabilita’ diretta della (attuale) (OMISSIS) per l’esercizio di attivita’ di produzione industriale chimica (e che, come innanzi evidenziato, sono ben lungi – al pari delle altre censure sviluppate in ricorso – dall’integrare la denuncia di un. vizio articolo 360 c.p.c., ex n. 5 posto che si sostituiscono al giudice del merito nell’apprezzamento dei fatti e delle prove, effettuato comunque in modo sufficiente e plausibile: cfr. ancora sintesi nel “Ritenuto in fatto” che precede), le ulteriori doglianze sub 3.2. (e relativi sottoparagrafi), concernenti l’attivita’ di prevenzione, messa in sicurezza e di bonifica che la predetta societa’ non avrebbe svolto (o avrebbe effettuato inadeguatamente), si muovono, nella loro complessiva articolazione, secondo un percorso che destruttura la coerenza argomentativa della sentenza impugnata, tramite un sezionamento funzionale soltanto alla costruzione delle ragioni di impugnazione.

Ed invero, la sentenza impugnata in questa sede non si sofferma tanto sulla responsabilita’ della (attuale) (OMISSIS) per il profilo anzidetto, quanto, piuttosto, insiste ad esaminare la (eventuale) responsabilita’ della stessa societa’ per le condotte (attive od omissive) illecite di inquinamento poste in essere direttamente (in relazione alla contaminazione del terreno e della relativa falda acquifera, rispetto alla quale soltanto era stata ritenuta ancora in essere la pretesa risarcitoria, con statuizione non fatta oggetto di censure dirette e specifiche in questa sede) e, con l’evocare segnatamente il paradigma dell’illecito aquiliano ex articolo 2043 cod. civ., si riferisce eminentemente a fatti precedenti al 1936, richiamando soltanto un “modestissimo episodio” successivo (la fuoriuscita di acido solforico da un serbatoio di stoccaggio nell'(OMISSIS), reputato privo di conseguenze dannose), ma comunque precedente all’instaurazione del giudizio di primo grado ((OMISSIS)).

In siffatto contesto, il Ministero ricorrente non solo non fornisce contezza dell’impianto allegatorio di primo grado, quanto ai fatti specifici implicanti l’ (eventuale) inosservanza da parte della (attuale) (OMISSIS) di obblighi di prevenzione, messa in sicurezza e bonifica del sito di (OMISSIS), ma – e cio’ in modo comunque dirimente -, manca di evidenziare del tutto se e in che termini abbia ritualmente gravato in sede di appello la eventuale decisione sfavorevole del Tribunale sul punto, giacche’ il motivo di ricorso raccorda la critica alla sentenza della Corte ligure esclusivamente alle deduzioni effettuate con la comparsa conclusionale di secondo grado, ossia a deduzioni tardive e, dunque, inammissibili ai fini di una rituale proposizione dell’impugnazione sullo specifico thema decidendum.

Peraltro, la necessita’ che il ricorrente desse puntuale contezza dell’ambito esatto dei contenuti del contraddittorio sviluppatosi nei gradi di merito trova significativo rilievo pure in ragione del fatto che la sentenza di appello, come detto, ha esaminato la vicenda controversa essenzialmente rispetto ad un arco temporale (quello in precedenza individuato) che porta anche ad escludere, di per se’, l’applicabilita’ ratione temporis della disciplina di cui al Decreto Legislativo n. 22 del 1997, articolo 17 evocata in ricorso (con censura nel cui ambito si da rilievo anche alla documentazione depositata dal Ministero con la memoria difensiva del giugno 2009), quale norma che (come in precedenza ricordato) non ha efficacia retroattiva.

4. – Con il quarto mezzo e’ denunciata, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli articoli 2697 e 2727 cod. civ. e articolo 115 cod. proc. civ.

Le considerazioni svolte nel motivo che precede renderebbero evidente anche il vizio di violazione di legge delle norme sulla valutazione delle prove, posto che – come anche ritenuto dalla Corte di giustizia dell’U.E. -“l’addebito della responsabilita’ di inquinamento di un sito e’ accertabile anche in base a circostanze indiziarie, dotate del carattere della gravita’, precisione e concordanza, che facciano concludere per l’esistenza di un nesso causale fra la contaminazione rilevata e l’attivita’ dell’impianto gestito”.

Da siffatti principi si sarebbe discostata la Corte ligure, mancando di esaminare congruamente i vari elementi di prova addotti dagli attori e di valutarli nel complesso e nella loro reciproca coordinazione.

4.1. – Il motivo e’ inammissibile, prima ancora che infondato.

Questa Corte ha piu’ volte enunciato il principio per cui, in tema di giudizio fondato su presunzioni, la valutazione, dapprima analitica, degli indizi deve sfociare in una considerazione non atomistica, ma complessiva dei fatti che essi esibiscono, siccome globalmente convergenti in un apprezzamento di precisione, gravita’ e concordanza (Cass., 13 ottobre 2005, n. 19894; Cass., 6 giugno 2012, n. 9108; la’ dove, peraltro, non puo’ la sola mancata valutazione di un elemento indiziario dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo: Cass., 2 aprile 2009, n. 8023). Si e’ quindi, precisato, che e’ viziata da errore di diritto e censurabile in sede di legittimita’ – a tale sindacato sottraendosi l’apprezzamento circa l’esistenza degli elementi assunti a fonte di presunzione e la loro concreta rispondenza ai requisiti di legge soltanto se il relativo giudizio non risulti viziato da illogicita’ o da erronei criteri giuridici – la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento.

La censura avanzata dal ricorrente prescinde dall’individuare le specifiche parti motivazionali della sentenza che contrasterebbero, in iure, con il rammentato principio, adducendo, in modo del tutto generico e, quindi, inammissibile, di riferirsi alle “considerazioni svolte nel precedente motivo di ricorso”, la’ dove, peraltro, con esso si sviluppano anche critiche (segnatamente, quelle che muovono dal par. 3.2.) che, come detto, si basano su una selezione di passaggi argomentativi della sentenza impugnata non proprio coerente con l’impianto complessivo della decisione.

Cio’ senza tener conto, comunque, che la motivazione della Corte ligure (sintetizzata nel “Ritenuto in fatto”) e’ ben lungi, anche in riferimento alle (generiche) critiche sub 3.1. del ricorso (che, in ogni caso, non denunciano un difetto di sintesi degli elementi indiziar, ma una presunta illogicita’ della motivazione), dall’aver infranto il predetto principio, giacche’ ha valutato le risultanze processuali non solo singolarmente, ma nel loro complesso, misurandone l’efficienza probatoria anche in rapporto alla consistenza delle allegazioni fattuali dedotte da parte attrice, delle quali ha rilevato l’estrema genericita’, e delle, per converso specifiche, contestazioni di parte convenuta, quali elementi del complessivo ragionamento probatorio su cui il motivo in esame tace del tutto.

5. – Con l’unico mezzo del ricorso incidentale della (OMISSIS) S.p.A. e’ dedotta, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli articoli 91 e 92 cod. proc. civ.

La Corte territoriale avrebbe errato a ritenere che sussistessero “giusti motivi” per disporre l’integrale compensazione delle spese di primo e secondo grado.

Non vi sarebbe complessita’ della lite in punto di diritto, mentre l’impossibilita’ di individuare i responsabili del danno sarebbe da ascrivere al mancato approfondimento dei fatti anteriori al 1983 ad opera degli attori. Peraltro, sarebbe del tutto ingiustificata la compensazione in grado di appello, dopo il rigetto del gravame improntato sulla stessa linea difensiva del primo grado.

5.1. – Il motivo non puo’ trovare accoglimento.

5.1.1. – E’ principio consolidato (tra le tante, Cass. 2 luglio 2007, n. 14964) che, in tema di spese processuali e con riferimento al testo (applicabile ratione temporis nella presente controversia) dell’articolo 92 cod. proc. civ. nella versione anteriore alla sua sostituzione intervenuta per effetto della Legge n. 263 del 2005, articolo 2 la valutazione dell’opportunita’ della compensazione totale o parziale delle stesse rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito, senza che sia richiesta una specifica motivazione al riguardo. Pertanto, la relativa statuizione, quale espressione di un potere discrezionale attribuito dalla legge, e’ incensurabile in sede di legittimita’, salvo che non risulti violato il principio secondo cui le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, ovvero che la decisione del giudice di merito sulla sussistenza dei giusti motivi ai sensi del citato articolo 92 cod. proc. civ. sia accompagnata dall’indicazione di ragioni palesemente illogiche e tali da inficiare, per la loro inconsistenza o la evidente erroneita’, lo stesso processo formativo della volonta’ decisionale espressa sul punto. Pertanto, mentre, quando manchi la motivazione della statuizione, viene a mancare lo stesso presupposto del sindacato del giudice di legittimita’, ove detta statuizione sia accompagnata dai motivi, ritenuti giusti, della compensazione, sussiste il presupposto della disamina da parte della Cassazione, anche se non sotto il profilo della insufficienza della motivazione, inconcepibile a fronte della legalita’ di una omissione totale, bensi’ quanto al vizio di contraddittorieta’ di motivazione. Sotto tale profilo, tuttavia, il sindacato di legittimita’ non e’ ammissibile nella stessa ampiezza in cui tale difetto si atteggia per ogni altro capo della sentenza impugnata, bensi’ solo nei limiti in cui non sia dato comprendere la ragione della statuizione per rapportarla alla volonta’ della legge e accertare se questa sia stata o no violata.

5.1.2. – La complessita’ in “fatto” (e non in diritto) della vicenda sostanziale e l’effettiva esistenza di un inquinamento del suolo ove era ubicato lo stabilimento industriale di (OMISSIS), pur nella difficolta’ di individuarne i responsabili, rappresentano ragioni (alle quali ha fatto riferimento la Corte territoriale) pianamente comprensibili ed effettivamente correlate alla realta’ dei fatti attinenti alla controversia, tali, dunque, da sottrarre – alla luce del principio innanzi rammentato – la disposta compensazione totale delle spese di lite al sindacato di questa Corte.

6. – Va, dunque, accolto il primo motivo del ricorso principale del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, mentre devono essere rigettati i restanti motivi del medesimo ricorso.

Va, altresi’, rigettato il ricorso incidentale della (OMISSIS) S.p.A.

La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata alla Corte di appello di Genova, in diversa composizione, che si atterra’, nella sua rinnovata delibazione in punto di prescrizione dell’azione risarcitoria nei confronti delle societa’ terze chiamate in causa (OMISSIS) S.p.A. in liquidazione, quale incorporante di (OMISSIS) S.p.A. in liquidazione, e (OMISSIS) ( (OMISSIS)) S.p.A. in liquidazione, quale incorporante la (OMISSIS) S.p.A., che agisce sia in proprio sia in qualita’ di soggetto incorporante la (OMISSIS) S.p.A. in liquidazione, al principio di diritto enunciato al par. 1.1.5. che precede ed ai rilievi indicati ai par. 1.1.9. e par. 1.1.10. che precedono.

Il giudice del rinvio provvedera’ anche alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimita’ tra il Ministero ricorrente e le controricorrenti (OMISSIS) S.p.A. in liquidazione e (OMISSIS) ( (OMISSIS)) S.p.A. in liquidazione.

In ragione della reciproca soccombenza, vanno, invece, interamente compensate le anzidette spese tra il ricorrente Ministero e la (OMISSIS) S.p.A.

P.Q.M.

LA CORTE

decidendo sui ricorsi riuniti, accoglie il primo motivo del ricorso principale del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e rigetta i restanti motivi del medesimo ricorso;

rigetta il ricorso incidentale della (OMISSIS) S.p.A.;

cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di appello di Genova, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimita’ tra il Ministero ricorrente e le controricorrenti (OMISSIS) S.p.A. in liquidazione e (OMISSIS) ( (OMISSIS)) S.p.A. in liquidazione;

compensa interamente le anzidette spese tra il Ministero ricorrente e la (OMISSIS) S.p.A..

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