Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza n. 25409 del 12 novembre 2013
Svolgimento del processo
G.B., Er.Bo. e Bo.An. rispettivamente, madre, padre e fratello di M.B., deceduta nell’incidente stradale verificatosi il (omissis) sull’autostrada (omissis) , mentre era trasportata sull’automobile condotta da Gi.Ca. – hanno convenuto davanti al Tribunale di Milano il Ca. e la sua assicuratrice, s.p.a. Fondiaria-SAI, chiedendo il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali, quantificati in L. 1.771.967.897, ivi inclusa la somma di L. 1.172.798.392 a titolo di danno patrimoniale subito dagli eredi per la perdita degli introiti che la vittima – titolare del 49% dell’impresa familiare – avrebbe destinato alla famiglia.
Alla prima udienza del 5.7.2001, in assenza dei convenuti, non costituitisi per un disguido di cancelleria, è stata fissata udienza ai sensi dell’art. 184 cod. proc. civ. e, con memoria 27.9.2001, la B.G. – titolare del rimanente 51% dell’impresa familiare a suo tempo gestita con la figlia – ha chiesto che le fosse personalmente attribuita in risarcimento l’ulteriore somma di L. 1.071.303.893, a compenso dei maggiori introiti che essa la B. avrebbe potuto percepire quale socia dell’impresa, se la figlia avesse proseguito la sua attività.
I convenuti, rimessi in termini con apposito provvedimento giudiziale, si sono costituiti, resistendo alle domande ed eccependo l’inammissibilità della domanda personale della B. , perché tardiva.
Esperita l’istruttoria, con sentenza n. 6249/2004 il Tribunale ha dichiarato la responsabilità esclusiva dei convenuti nella causazione del sinistro e, respinta l’eccezione di tardività della domanda ulteriore, li ha condannati al pagamento di complessivi Euro 535.060,00 in favore di G..B. ed Euro 210.250,00 in favore di An.Bo.; entrambi anche nella qualità di eredi di Er.Bo. , deceduto nelle more del giudizio.
Il Ca. e la Fondiaria hanno proposto appello limitatamente all’ammontare dei danni.
Con sentenza 9 gennaio – 1 febbraio 2007, notificata il 10 ottobre 2007, la Corte di appello di Milano, in riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato inammissibile la domanda risarcitoria formulata dalla B. con memoria istruttoria 27.9.2001, in accoglimento della quale le era stato liquidato l’importo di Euro 100.000,00 oltre interessi; ha ridotto il risarcimento dei danni esistenziali ad Euro 150.000,00 in favore della B. e ad Euro 75.000 in favore del Bo. ; ha poi ridotto ad Euro 14.770,41 l’importo del danno funerario (da Euro 294,38, liquidati in primo grado); ha compensato per un terzo le spese di primo grado e per due terzi quelle di secondo grado, ponendo la parte rimanente a carico degli appellanti e convenuti in primo grado.
G..B. e An..Bo. propongono sei motivi di ricorso per cassazione.
Resiste Fondiaria SAI con controricorso.
Motivi della decisione
1.- Con il primo ed il secondo motivo – che possono essere congiuntamente esaminati perché connessi – i ricorrenti denunciano violazione dell’art. 163, 3 comma n. 3 e 4, cod. proc. civ., nonché violazione degli art. 24, 2 comma, e 111, 2 comma, Cost.; 183, 5 comma, cod. proc. civ., nel capo in cui la Corte di appello ha ritenuto inammissibile perché nuova la domanda di risarcimento dell’ulteriore danno patrimoniale subito da B.G. e quantificato nella memoria 27.9.2001.
Assumono che nell’atto di citazione essi hanno chiesto il risarcimento “di tutti i danni subiti…. come in narrativa determinati…. o nella diversa misura, maggiore o minore, che risulterà in corso di causa”; che fra tali danni erano esplicitamente menzionati i danni patrimoniali; che la memoria 27.9.2001 non ha fatto che quantificare i danni patrimoniali subiti dalla B. per la perdita del reddito personale, già chiesto in atto di citazione; che la giurisprudenza di questa Corte ha più volte deciso che, quando il fatto generatore di responsabilità sia unico, la deduzione in corso di causa di ulteriori voci di danno rispetto a quelle indicate con la domanda introduttiva costituisce mera modificazione della domanda proposta, e non domanda nuova (richiama Cass. n. 12683/1991 n. 7275/1997, n. 9239/2000 ed altre).
Espongono che – essendosi i convenuti costituiti tardivamente per un errore imputabile alla Cancelleria – il Tribunale li ha rimessi in termini, fissando una nuova udienza di prima comparizione (al 4.10.2001) ed assegnando altro termine (fino al 17.11.2001) per il deposito di memorie ex art. 183 e 184 cod. proc. civ. e per repliche (12.12.2001); che essi, avendo già formulato tutte le proprie domande con l’atto di citazione e con la memoria 27.9.2001, si sono limitati a replicare con memoria 12.12.2001 alla memoria avversaria.
Rilevano che la finalità a cui rispondono le norme di cui agli art. 183 e 184 cod. civ., con il connesso sistema delle preclusioni, è quella di assicurare il contraddittorio e il diritto di difesa: esigenze che nella specie sono state integralmente soddisfatte poiché, nel momento in cui i convenuti sono stati rimessi in termini ed è stata nuovamente fissata la prima udienza, le domande degli attori erano state interamente acquisite al giudizio, essendo stata già depositata anche la memoria 27.9.2001, contenente la nuova somma richiesta dalla Borghi in risarcimento dei danni patrimoniali.
2.- I motivi non sono fondati.
2.1.- Con l’atto di citazione gli attori hanno chiesto la somma di L. 1.172.798.392 quale risarcimento del danno patrimoniale da essi congiuntamente subito a causa della perdita dell’apporto della vittima all’impresa familiare, i cui redditi venivano quasi interamente destinati al mantenimento della famiglia. Con la successiva memoria ai sensi dell’art. 184 cod. proc. civ. la sola B. ha chiesto in risarcimento l’ulteriore somma di L. 1.071.303.893, a compenso del danno patrimoniale personalmente subito a causa dei mancati introiti che la collaborazione della figlia nell’impresa le avrebbe procurato. Trattasi palesemente di domande diverse: quanto ai soggetti, perché nel primo caso i danneggiati erano tutti i parenti; nel secondo caso la sola madre, la quale fra l’altro faceva valere i danni subiti in quanto socia dell’impresa familiare e non in quanto madre; quanto al petitum, poiché sono diversi sia la natura dei danni fatti valere, sia la somma richiesta; quanto alla causa petendi, perché diversa è la ragione giuridica posta a fondamento della domanda, che investe – si ripete – la posizione dell’attrice di partecipante all’impresa.
La domanda proposta con la memoria istruttoria ha introdotto nel giudizio fatti nuovi, cioè nuovi temi di indagine e nuove ragioni di credito, la cui delibazione avrebbe richiesto apposita istruttoria.
Il fatto che le conclusioni dell’atto di citazione menzionassero genericamente il risarcimento di tutti i danni patrimoniali, e la relativa quantificazione “nella somma maggiore o minore ritenuta di giustizia”, in aggiunta alle somme indicate, non è significativo, a fronte della circostanza che l’atto contiene un apposito paragrafo dedicato alla natura e all’entità dei danni patrimoniali reclamati, paragrafo che include esclusivamente le somme che Bo.Em. aveva procurato all’impresa familiare e destinato alla famiglia, negli ultimi tre anni, e si conclude con l’affermazione che “Agli eredi di Em.Bo. deve essere risarcito l’importo di L. 1.172.798.392 a titolo di danni patrimoniali”: domanda precisa e specifica, certamente suscettibile di aggiustamenti nel quantum (nella somma maggiore o minore…), in relazione alla specifica voce di danno ivi illustrata, ma non suscettibile di estensione a soggetti diversi (la sola madre in quanto socia dell’impresa), né a voci di danno diverse (perdita di introiti personali), sì da allargare la materia del contendere alla cognizione ed alla prova di fatti nuovi e diversi da quelli già dedotti in giudizio.
2.2.- La circostanza che il Tribunale abbia rimesso in termini le parti dopo il deposito della memoria degli attori, assegnando nuovi termini ai sensi dell’art. 183 cod. proc. civ., è irrilevante.
In primo luogo la Corte di appello ha accertato che solo i convenuti, non gli attori, sono stati rimessi in termini, dovendosi ritenere intrinsecamente contraddittoria l’ordinanza 4.10.2001 (cfr. p. 10 della sentenza impugnata).
In secondo luogo, neppure l’art. 183 cod. proc. civ. consente di introdurre nel giudizio domande od eccezioni nuove. Nel testo di cui alla legge 26 novembre 1990, n. 353, applicabile ratione temporis perché in vigore fino al 1 marzo 2006, l’art. 183 disponeva al quarto comma che nella prima udienza di trattazione l’attore può proporre le domande e le eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto, ed entrambe le parti possono precisare e modificare le domande e le conclusioni già formulate (cfr. Cass. civ. S.U. 14 febbraio 2011 n. 3567, che ha precisato che, ove l’attore voglia eccepire la prescrizione del diritto azionato dal convenuto in riconvenzionale, è tenuto a proporre l’eccezione al più tardi alla prima udienza di trattazione, non potendo avvalersi delle memorie da depositare nei termini fissati all’art. 183, quinto comma, cod. proc. civ., in quanto finalizzate esclusivamente a consentire alle parti di precisare e modificare le domande e le eccezioni già proposte. Cfr. anche Cass. civ. Sez. I, 11 marzo 2006 n. 5390, che specifica che il quarto comma dell’art. 183 cod. proc. civ. consente all’attore di proporre nella prima udienza di trattazione domande nuove e diverse rispetto a quella originariamente proposte, solo ove esse trovino giustificazione nella domanda riconvenzionale o nelle eccezioni proposte dal convenuto, da intendersi in senso proprio, non anche nelle semplici controdeduzioni volte a contestare il fondamento dell’azione).
2.2.- Quanto all’ulteriore rilievo dei ricorrenti, secondo cui essi avevano formulato tutte le loro domande alla data in cui i convenuti, rimessi in termini, si sono costituiti, sicché non vi è stata alcuna violazione del contraddittorio, avendo i convenuti acquisito piena possibilità di controdeduzioni e di difesa, l’argomento pone effettivamente un problema da non sottovalutare: cioè quello di non intralciare il corso del processo tramite adempimenti meramente formali, qualora le esigenze sostanziali a cui i suddetti adempimenti rispondono risultino pienamente rispettate e non vi sia alcuna sostanziale violazione del contraddittorio e dei diritti di difesa.
Ciò anche in considerazione del principio fissato dall’art. 156 ult. comma cod. proc. civ., per cui la nullità non può essere pronunziata se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato. Resta il fatto che nella specie non risulta – ed i ricorrenti non chiariscono – se ed in che modo i convenuti tardivamente costituitisi (non per loro colpa), siano effettivamente e formalmente venuti a conoscenza della memoria istruttoria contenente la domanda nuova.
L’atto non è stato loro notificato, quali parti all’epoca contumaci, né può ritenersi ritualmente scambiato tramite il deposito in Cancelleria, a fronte dell’inefficacia della dichiarazione di contumacia emessa nei loro confronti. In realtà, tutta l’attività processuale svolta prima della loro costituzione tardiva è da ritenere inefficace; sicché la formulazione della domanda nuova al di fuori dell’atto di citazione – unico ritualmente notificato – nell’ambito di altro atto che non può considerarsi regolarmente scambiato e reso noto ai controinteressati, non può che essere dichiarata inammissibile.
3.- Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano violazione degli art. 112, 342 e 246 cod. proc. civ. per il fatto che la Corte di appello avrebbe pronunciato sull’eccezione di inammissibilità della domanda nuova senza che l’eccezione fosse stata espressamente riproposta con l’atto di appello.
3.1.- Il motivo non è fondato.
L’eccezione è stata formulata con il primo motivo dell’atto di appello, pur se non è stata espressamente riproposta nelle conclusioni dell’atto. E comunque nel regime delle preclusioni di cui agli art. 183 e 184 cod. proc. civ. nel testo-applicabile alla fattispecie, la questione circa la novità delle domande è sottratta alla disponibilità delle parti e va rilevata di ufficio dal giudice, in virtù del principio secondo cui il “thema decidendum” non è più modificabile dopo la chiusura della prima udienza di trattazione o dopo la scadenza del termine concesso ai sensi dell’art. 183, quinto comma, cit..
Ne consegue che, ove una domanda non sia stata proposta in primo grado nei termini perentori previsti dalla legge, essa deve essere dichiarata inammissibile anche in appello, a causa dell’inderogabile divieto di domande nuove di cui all’art. 345 del codice di rito (Cass. civ. Sez. 3, 24 gennaio 2012 n. 947).
4.- Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano violazione degli art. 2043, 2056, 1223, 1226 e 2697 cod. civ., nel capo in cui la Corte di appello ha negato la somma di Euro 40.000,00 in favore della B. e di Euro 20.000,00 in favore del Bo. , somme che il Tribunale aveva loro liquidato in via equitativa, quale capitalizzazione di erogazioni che Ma..Bo. avrebbe prevedibilmente effettuato successivamente al 2006, dopo la sua uscita dalla famiglia di origine.
Il motivo è inammissibile, in quanto mette in questione le valutazioni in fatto della Corte di appello circa l’effettiva sussistenza del danno.
La Corte haritenuto sommamente improbabile ed imprevedibile che l’infortunata potesse effettuare ulteriori erogazioni in denaro, a profitto di familiari a cui già apparteneva il 51% dell’impresa familiare.
Trattasi di valutazioni di merito, non censurabili in questa sede se non sotto il profilo dei vizi di motivazione, vizi che nella specie non sono stati neppure prospettati.
5.- Con il quinto motivo, denunciando violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., i ricorrenti lamentano omessa pronuncia sulle voci di danno richieste nella loro qualità di eredi del marito e padre, Bo.Er. ; in particolare, con riferimento al danno morale e al danno esistenziale, che avrebbero dovuto essere liquidati al defunto e devoluti agli eredi in aggiunta alle voci di danno loro proprie, conformemente a quanto disposto nella sentenza di primo grado.
5.1.- Il motivo non è fondato.
La Corte di appello si è limitata a dichiarare inammissibile la domanda nuova, proposta con la memoria 27.9.2001, e a ridurre la liquidazione del danno esistenziale. Ma non ha modificato la sentenza del tribunale, quanto alla titolarità dei diritti degli attori al risarcimento dei danni, diritti che incluono quanto è stato loro attribuito quali eredi di Er..Bo. .
6. Con il sesto motivo (erroneamente indicato come quinto, nel ricorso) i ricorrenti lamentano omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in riferimento alla liquidazione del danno esistenziale, che la Corte di appello avrebbe immotivatamente quantificato in un settimo della somma attribuita in risarcimento dei danni morali.
6.1.- Il motivo non è fondato.
La Corte di appello si è uniformata ai principi enunciati da questa Corte, per cui il danno esistenziale non costituisce un’autonoma voce di danno risarcibile, ma costituisce un aspetto della più ampia categoria del danno non patrimoniale. Di tale danno quindi va tenuto conto, nel determinare la somma complessivamente spettante a titolo di risarcimento dei danni non patrimoniali, a cui va apportato un congruo aumento, in misura da determinare con riguardo alle peculiarità del caso concreto (Cass. civ. S.U. 11 novembre 2008 n. 26972).
La Corte di appello ha ritenuto che, considerata l’età dei danneggiati e la composizione del nucleo familiare, la somma spettante a compensazione del danno esistenziale vada determinata in misura pari ad un settimo di quella da liquidarsi per il danno morale, così da pervenire all’importo complessivo di Euro 150.000,00 in favore della madre della vittima e di Euro 75.000,00 in favore del fratello.
Trattasi di valutazione equitativa, non suscettibile di riesame in sede di legittimità.
7.- Con il settimo motivo i ricorrenti lamentano che la Corte di appello abbia disposto la compensazione delle spese nella misura di un terzo, quanto al giudizio di primo grado, e di due terzi, quanto al grado di appello, con errata ed incongrua motivazione: assumendo cioè che l’esorbitanza delle richieste avrebbe presumibilmente ostacolato la soluzione transattiva della vertenza.
Assumono i ricorrenti che la Fondiaria, pur avendo ammesso la responsabilità del suo assicurato, non ha mai formulato alcuna offerta risarcitoria, versando un primo acconto solo nel maggio 2002, un anno e mezzo dopo l’incidente, allorché vi è stata costretta da un provvedimento del giudice di concessione di una provvisionale, provvedimento al quale aveva opposto ferma resistenza. Erroneamente, quindi, la Corte di appello ha loro imputato la mancata soluzione stragiudiziale della vertenza.
7.1.- Il motivo è inammissibile, in quanto le valutazioni dei giudici del merito circa l’opportunità o meno di disporre la compensazione totale o parziale delle spese processuali non sono suscettibili di riesame in sede di legittimità.
8.- Il ricorso deve essere rigettato.
9.- Considerata la natura della controversia, la drammaticità dell’evento e la gravità dei danni, nonché la difformità fra le sentenze di merito quanto alla relativa quantificazione, che può avere creato incertezza nei ricorrenti circa la fondatezza delle proprie ragioni, si ravvisano giusti motivi per compensare le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte di cassazione rigetta il ricorso. Compensa le spese del giudizio di cassazione.
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